Observation mi ha fatto scoprire un nuovo modo di vivere il gaming e il tempo

Observation è sicuramente una delle esperienze più originali ed interessanti sulla piazza, capace anche di far scoprire un nuovo modo di vivere il gaming.

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a cura di Alessandro Tonoli

Ci sono alcuni titoli che riescono a cambiarci drasticamente la relazione con il videogioco, con i suoi tempi di fruizione, per la precisione. Partiamo dall’assioma di base: esistono diversi tipi di giocatori. Si differenziano molto per un sacco di aspetti, fra cui, uno di questi, è come si fruiscono dei videogiochi nel fattore tempo. Ci si divide fra chi si lancia solo in lunghe sessioni di gioco o chi invece preferisce le piccole partite ritagliate fra una cosa e l’altra, o anche su quanto tempo investire sommariamente su un singolo gioco. Ci sono quelli con il “no time limits” a tutti i costi, quelli che invece lo applicano solo ad alcuni titoli (magari quelli online), altri che si vietano giochi che possano portare via troppo tempo, o anche quelli che si informano sulla durata della main quest e tirano dritto, adagiandosi su tale tempistica per riuscire a giocare più titoli possibili.

Su questo ultimo punto solitamente il metodo di approccio con il videogioco rimane più o meno lo stesso, sicuramente all’interno dello stesso genere, molte volte anche quando si spazia verso altro: difficilmente una persona che ama gironzolare senza scopo in un open world si farà troppi crucci nello “sprecare” tempo anche in giochi meno aperti, e viceversa. È un naturale comportamento che viene in automatico associare sulla base di come si gestisce il tempo nella propria vita.

Poi però arriva lui, quel gioco che ti cambia totalmente. Quel gioco che, nonostante tu appartenga all’una o all’altra fazione, ti scardina dalle tue solite abitudini e ti fa giocare in una maniera totalmente distante da quella che solitamente metti in pratica. È come un amore. Arriva in maniera improvvisa, ti stravolge, e guardandoti dall’esterno inizi praticamente a non riconoscerti più: persone che solitamente tirano dritto per le quest principali si trovano ad oziare negli spazi condivisi di un MMO a caccia di momenti assurdi con gli altri giocatori, e intransigenti completisti si dimenticano di visitare spazi di gioco perché troppo trascinati dalla narrazione principale, lasciando perdere scalette ed attività che solitamente seguono con religiosa attenzione.Generalmente non si è mai preparati a questo drastico cambio. Esattamente come in amore.

Ma ci si trova piacevolmente stravolti. Grati di poter esplorare il medium in una maniera che fino ad allora ci era stata impossibile, vuoi per gusti, vuoi per una semplice incompatibilità dei prodotti, che forse non avevano mai trovato il modo di sganciarci dalle nostre consuete abitudini. Uno dei casi più esemplificativi è sicuramente quello degli open world. Giochi che ti risucchiano con il loro ambiente senza che neanche tu te ne accorga. O i titoli simil Destiny, che mescolando abilmente la pratica online con le main quest non ti fanno accorgere di quando una parte cede il passo all’altra.

Ma non sono i soli. A volte lo possiamo notare anche titoli più piccoli con un tipo di ambizioni nettamente più contenute. A me, ad esempio, è successo con Observation. Che non ha nulla a che spartire con questi generi. E che, in aggiunta, comprende elementi di gameplay da cui solitamente mi distanzio abbastanza forzatamente. Eppure, questo piccolo titolo, è stato in grado di regalarmi un’esperienza così forte da cambiare il motivo che mi porta solitamente a stare attaccato ad un pad.

Una nuova prospettiva

Per fornirvi una rapida panoramica, Observation è un titolo pubblicato da Devolver Digital e sviluppato da No Code. L’idea del gioco è abbastanza semplice. Hai mai sognato di essere l’intelligenza artificiale di una stazione spaziale? Hai mai sognato di capire cosa si prova nell’ubiquità, essere in una stanza e al contempo in tutte le altre? Hai mai sognato di capire cosa voglia dire essere la stazione spaziale?

Ecco, se l’hai sognato, o se anche solo almeno una volta sei stato incuriosito da queste prospettive suggestive, Observation fa proprio questo. Tramite la struttura di un puzzle game estremamente narrativo impersonerete l’”Hal” della situazione. Al giocatore il compito di aiutare la malcapitata astronauta, finita guarda caso alla deriva nello spazio, per sopravvivere nella stazione spaziale risolvendo le varie criticità del momento. Ovviamente questa è solo la base di partenza. In realtà il focus si sposta già in partenza sul districare il mistero che ha portato la stazione spaziale ad essere così distante da dove doveva essere in realtà, tramite un’avventura dal fortissimo impianto narrativo capace di rivaleggiare per atmosfere e sviluppo con i big di genere.

La fantascienza non ha mai visto un gioco come Observation. Non ha mai concesso al giocatore di vedere la storia da quello strano punto di vista, non ci sono esperienze eguali che consentano di vivere, per la prima volta, la pelle artificiale di un essere fatto di dati e metadati, e da quel filtro osservare il dramma che si sviluppa tutt’intorno. Capire come ragiona, come, visivamente, percepisce il mondo, e come di conseguenza la storia si deforma dietro il grande occhio osservante.

Observation è un viaggio intenso, che ribalta la visione della realtà, un po’ come farebbe una giornata passata ad osservare il mondo dagli occhi di una mosca. Ed ecco perché, nonostante la sua struttura di gioco totalmente svincolata da binari che obbliga il giocatore a capire cosa fare e dove deve andare a parare (senza p.o.i. evidenti sulla mappa), sono riuscito a non mollare il gioco. Anzi. L’alchimia di questi elementi mi hanno permesso di vivere questo videogioco in una maniera totalmente nuova, che ho invece sempre considerato come “avversa”. E avversa non è per niente un eufemismo.

I giochi che ci allontanano

Ripartiamo da questa definizione: videogiochi avversi. Ognuno ha sicuramente i suoi. Personalmente, ritengo tali quei videogiochi che mi obbligano a capire dove andare, senza darmi una precisa destinazione sulla mappa. Li rigetto con tutto me stesso. Mica colpa loro, sia chiaro. Colpa mia che, data la ristrettezza di tempo che posso dedicare all’attività, preferisco concentrare le ore che ho a disposizione per trarre il massimo dall’esperienza. Ne consegue che girovagare eccessivamente per le mappe in assenza di una meta precisa mi fa sentire perso, abbandonato, e cado così subito vittima della frustrazione non sapendo dove dirigermi, quando ogni minuto potenzialmente per me è assolutamente prezioso.

Attenzione, non disdegno il “cazzeggio time”, tipico ad esempio degli open world, anzi. Ma quel momento è qualcosa di diverso. È qualcosa che dipende da una mia scelta. E per non sentirmi frustrato e godermi quel momento non devo, appunto, sentirmi obbligato a perdere tempo. Devo decidere di farlo io, volontariamente. E altrettanto arbitrariamente devo sapere di poter smettere procedendo in maniera repentina e lineare con il percorso che mi potrebbe portare a completare il gioco. Sono l’anti Hollow Knight, per capirci. Uno dei tanti motivi che mi sta portando ad amare la serie Yakuza è il suo bel pallino, sempre a moderata distanza, che ti permette di alternare in brevissimo tempo svago e main quest.

Il gioco che dovrebbe allontanare…

Quando ho scoperto l’esistenza di Observation mi sono infatti domandato se il titolo facesse davvero per me, in quanto lasciava potenzialmente spazio a situazioni disorientanti, anche non eccessive, ma comunque presenti. Iniziandolo più per curiosità che per altro (grazie alla sua presenza su Xbox Game Pass), tolta la prima parte iniziale, sono poi incappato in quelle classiche situazioni in cui non era proprio chiarissimo dove saresti dovuto andare per sbloccare la situazione. E quindi via. Sessioni di gioco da tre ore di cui una buona ora e mezza passata a girovagare lentamente per quella astronave cupa e opprimente senza aver esattamente chiaro cosa dovessi fare, un po’ per colpa mia, un po’ anche per alcune scelte discutibili di game design (a mio giudizio). Ma il punto non è questo.

La cosa letteralmente incredibile è che mentre sentivo il tempo sfuggirmi letteralmente via tra le dita, non partiva quel processo classico di allontanamento dal gioco che ero abituato a subire. Incredibilmente avevo già trascorso minuti e minuti girando a vuoto senza la comparsa di alcun sintomo di frustrazione, anzi, quel tempo “buttato” lo sentivo come parte integrante dell’esperienza di gioco.

Il semplice girovagare a vuoto in quella stazione spaziale mi stava donando, in ogni suo secondo, qualcosa di irrinunciabile, di prezioso, di cui ero inconsapevolmente in cerca da un sacco di tempo: mi stava facendo capire cosa si respira nei corridoi di una stazione spaziale muta, senza vita, alla deriva. Me ne faceva letteralmente respirare la fredda e un po’ tacita disperazione, potevo saggiarne praticamente l’aria. Cosa che svariati film e libri di fantascienza mi avevano fatto percepire, sognare, sì, ma mai sperimentare. Ed ecco che quella che poteva essere una perdita di tempo è diventata il vero centro dell’esperienza, il gameplay narrativo/puzzle ha passato automaticamente il testimone a un gameplay fatto di un’esperienza sensoriale totalizzante, tramite la sperimentazione di quel qualcosa di invisibile rinchiuso in quegli ambienti programmati con cura ed attenzione. Ecco che il mio modo di giocare è naturalmente mutato, senza forzature, e…

… ma invece finisce per cambiarti.

E mi accorgo di non essere più lo stesso giocatore di prima. Mi accorgo di aver sperimentato quello che per altri è sempre stato più semplice sperimentare per un sacco di ragioni differenti (più disponibilità di tempo, etc.) e sono riuscito finalmente a fruire il gaming in una maniera che fino a quel momento mi era stata preclusa; tutto grazie a un gioco che non puntava propriamente su quell’aspetto per intrattenere il giocatore (come invece magari fanno altri prodotti più orientati alla valorizzazione della lore). Ed è forse proprio per questo che ci è riuscito. Perché non mi ha dato un ambiente appositamente pensato per l’esplorazione forsennata, mi ha dato un’esperienza più minuziosa, attenta e originale, che ho poi accettato volontariamente di ampliare per godermi ogni suo dettaglio senza che fosse nell’interesse del gioco farmelo fare.

Mi ha attirato in trappola, se vogliamo. Ha fatto quel che l’innamorato fa per farsi notare: mi ha bellamente ignorato. E io mi sono svegliato rincorrendo la sua attenzione, meravigliandomi come se vedessi un ambiente virtuale per la prima volta. C’è stato un cambiamento, in me, come giocatore. Probabilmente non radicale, certo. Se c’è un motivo per cui mi piacciono e mi sono sempre piaciute esperienze di un certo tipo sicuramente quel motivo ha tutt’ora le sue gambe ben salde. Ma ora sento di avere qualcosa in più. Sento di aver acquisito maggiore consapevolezza rispetto a cosa può significare la narrativa ambientale, e, perché no, sento che anche nei giochi che affronterò, da ora in avanti, questa piccola esperienza mi permetterà di cogliere aspetti differenti, che prima probabilmente avrei trascurato. E ad ogni nuova sensazione, ad ogni nuovo ambiente che mi lascerò scivolare dentro, mi toccherà ogni volta ringraziare quel gioco, unico fra i tanti, che è stato capace di farmi vivere la bellezza più difficile da raggiungere: quella che sta oltre le nostre abitudini.

E voi? C’è un gioco che vi ha fatto cambiare totalmente le modalità con cui solitamente vi lanciate nei mondi videoludici? Scrivetecelo sotto, nei commenti!