Pentiment: quando il viaggio è scrivere la propria storia

Un nostro approfondimento su Pentiment, la nuova esclusiva Microsoft sviluppata da Obsidian Entertainment in periodo storico incredibile

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a cura di Nicholas Mercurio

“La prima bozza è semplicemente raccontare a te stesso la storia”, se penso allo sviluppo di Pentiment, questa è la citazione più azzeccata. A dirlo era Terry Pratchett, il celeberrimo scrittore britannico creatore del magico Mondo Disco, una serie intelligente, incredibile e surreale, che affronta tematiche relative all’evoluzioni e alla scoperta di sé stessi. Ogni idea impressa su una pagina, ogni schizzo, ogni parola e qualunque altra formula che crea una scena, che parla di un universo e di una sua particolarità, diventa un’arte che si condivide con sé stessi e poi con altri. È così che nasce la memoria delle parole, eretta dal ricordo e dalla sensibilità, che a loro volta si infrangono nelle terre dell’ignoto.

Il nostro subconscio, in molteplici occasioni, immagina racconti ambientati in terre lontane e dimenticate, in antri oscuri e magici. E alle volte quei posti, così remoti ma comunque contemplabili nella nostra immaginazione, diventano in qualche modo una certezza su cui sorreggersi. Il peso degli anni passa e, al contempo, cosa qualcuno si trova davanti diventa misterioso. Le tenebre, però, non ottundono la mente, non riescono a scalfire il passato e nemmeno il presente. Le parole hanno una logica, e alcune di esse, recitando un antico proverbio che qualcuno attribuisce a Wolfgang Amadeus Mozart, feriscono più di una spada affilata.

In Pentiment, il nuovo videogioco di Obsidian Entertainment, quelle parole sono come macigni che si sorreggono a fatica. Una storia che inizia dal nulla, in un mondo lontano, che è riconducibile proprio al subconscio, tra l’irrazionalità e la paura, tra il dubbio e la certezza. Erasmo da Rotterdam, tornato dall’Inghilterra, scriveva: “Sono due i principali ostacoli alla conoscenza delle cose: la vergogna che offusca l’animo, e la paura che, alla vista del pericolo, distoglie dalle imprese”. Andreas, il protagonista di Pentiment, non è un guerriero come lo fu Enrico V, né è un condottiero come Giovanna d’Arco, e neppure un Santo come Francesco d’Assisi.

È un artista, un giovane che rincorre un sogno e spera di riuscire a realizzarlo. È un uomo che vive nel passato, inseguendo una pace momentanea, di cui però non conosce affatto la forma. Una scrittura del genere, se non aumentasse di ritmo, sarebbe grossomodo scontata, eppure il racconto di Pentiment, creato proprio per ripescare dalla storia un passato meraviglioso, è lo stesso che potremmo avvicinare ai grandi romanzi degli ultimi anni. In questo articolo, infatti, c’è la volontà di approfondire la narrazione e parlare delle grandi ispirazioni di Obsidian Entertainment. Si potrebbe partire citando diverse opere della lettura moderna, facendo menzione magari di Bernard Cornwell, di Ken Follett e di Umberto Eco, o dello stesso Francesco d’Assisi e il suo Cantico delle Creature.

E si potrebbe tirare fuori dal cilindro, chissà, addirittura Tommaso d’Aquino (che la produzione menziona in più di un’occasione), tra legami ancestrali, ecclesiastici e il presente forgiato dalla cupidigia di Roland, protagonista del poema epico francese "La Chanson de Roland". La conoscenza, d’altronde, è un’arma utile nei momenti complessi. Serve per avere un contatto maggiore con cosa si ha davanti e come questo possa estendersi in diversi ragionamenti. Questo approccio, scelto dal team statunitense proprio per interfacciarsi con diverse ispirazioni, funziona perché è un tipo di scrittura che parla con semplicità di grandi mutamenti e situazioni all’apparenza irrisolvibili. La mano ne affianca un’altra, il torpore caldo di un corpo diventa necessario e, nel frattempo, la storia prende una piega sempre più sinistra. Le vicende di Andreas Moler, infatti, riguardano un periodo storico diviso in due.

Da una parte il passato, con gli esempi più estremi dell’Ancien Régime, mentre dall’altra la sicurezza del Sacro Romano Impero, ancora reduce, nonostante siano passati quarant’anni, dalla furia omicida di Sigismondo. Pentiment, infatti, è ambientato tra il 1518 e il 1543, in un mondo che ancora non conosceva il Rinascimento, ma si svegliava più risoluto, abbracciando le idee di Martin Lutero, il teologo che criticò aspramente la Chiesa di Roma e venne arso sul rogo qualche tempo dopo. E in Pentiment, avanzando nell’esperienza, si nota come questo grande cambiamento stia per raggiungere ogni angolo d’Europa, fino alle coste dell’Irlanda del Nord, a Belfast. A sedere sul trono inglese, al tempo, c’era Enrico VIII, figlio di Enrico VII, uno dei rami della rosa bianca e rossa dei Tudor, figli cadetti del ramo dei Lancaster, che ebbe il coraggio di opporsi alla Chiesa di Roma, nominandosi capo della Chiesa anglicana. Gli avvenimenti di Pentiment, però, risalgono al Sacro Romano Impero, nelle terre della Germania, al confine con la Boemia, che qualcuno ha già conosciuto in Kingdom Come Deliverance, combattendo nei panni del giovane Henry, inconsapevole del proprio lignaggio.

Andreas Moler e Henry, sia chiaro, hanno in realtà molto poco in comune. Il protagonista di Pentiment, in sostanza, potrebbe ricordare a qualcuno alcuni protagonisti dei libri di Ken Follett. Mi riferisco, nello specifico, al giovane Merthin Fitzgerald, protagonista di Mondo senza Fine, il secondo volume della serie dedicata alla cittadina di Kingsbridge dello scrittore gallese. In Pentiment, tuttavia, non c’è un ponte da costruire che colleghi una sponda all’altra del fiume per permettere ai pellegrini di raggiungerla. Qui c’è un capolavoro che il protagonista, dopo essersi assicurato danari e prestigio, deve concludere.

"Guai a coloro che moriranno per i peccati mortali" - Francesco d'Assisi

La parola “Capolavoro”, che nel Medioevo aveva un significato arcaico e derivava dalla Langue d’Oil, le cosiddette lingue galloromanze, si riferiva a un concetto elevato di un’opera. Il termine era ancora più popolare, perché ogni lingua nasceva nei borghetti e nei bassifondi, diventando qualcosa di più concreto solo quando veniva approfondita nei testi. L’italiano deriva non solo dal Volgare fiorentino ma anche dal Volgare siciliano, poiché nacque presso la corte di Federico II, che conosceva il greco antico, il francese e il latino, ed era un grande lettore degli autori latini, nonché un uomo calmo e misurato.

Molti cittadini, come è avvenuto in passato con altrettante lingue, cominciarono a usare il Volgare fiorentino sotto forma di dialetto. La celebre tradizione siciliana, tramandata in seguito in Toscana da chi viveva alla corte di re Federico II, definì in seguito il Volgare fiorentino, con Dante che elaborò il suo trattato critico sull’utilizzo della lingua. Fu però con Pietro Bembo e Niccolò Machiavelli che qualcuno cominciò a considerare il Volgare fiorentino l’unica lingua capace di diffondersi sul territorio nazionale, anche se a quel tempo l’Italia era divisa in ducati, principati e piccoli regni.

Tornando a Pentiment, Andreas sta cercando di raggiungere la perfezione attraverso alla sua opera per soddisfare le aspettative del suo maestro e degli altri monaci con cui lavora. Obsidian, curando l’aspetto storico in modo attento, ha dato un tono particolareggiato ai dialoghi, cercando di rendere l’esperienza il più realistica possibile. Il termine “Capolavoro”, coniato nelle botteghe dei maestri, è infatti una prova della maturità dell’allievo. Se la supera, diventa a sua volta membro di corporazioni e di gilde. Al tempo, ce n’erano parecchie e nei libri di Ken Follett ne sono presenti parecchie, alcune di esse cappeggiate dagli uomini più illustri e facoltosi del borghetto, del quartiere, della città o del villaggio. Un lavoro storico che non potevo assolutamente non citare, considerando le grandi ispirazioni di Obsidian Entertainment, che ha seguito uno stile più maturo e consapevole rispetto ai suoi altri lavori.

Queste sono particolarità che, in un’opera di questo calibro, permettono di capire quanto sia stato complesso riuscire ad avere chiaramente ogni dettaglio ben inserito nel racconto. Se non altro, è proprio questa la grande particolarità di Pentiment: se fosse un libro, sarebbe un ottimo libro. Com’è un ottimo videogioco.

Le ispirazioni di Pentiment: da Ken Follett a Umberto Eco

Lo ammetto, i nomi che ho citato all’inizio del paragrafo sono pesanti come i macigni portati da Merthin Fitzgerald durante la costruzione del suo ponte. E se ci pensate, Merthin e Andreas hanno in comune molto più di quanto si possa immaginare. In Pentiment si possono scegliere le proprie origini e i propri percorsi di vita, e un elemento che mi ha sorpreso e catturato, ricordandomi per l’appunto Mondo senza Fine, è quando Andreas decide dove ha imparato la sua arte e affinato le sue abilità. In un momento del romanzo dello scrittore gallese, il giovane Merthin parte per Firenze e qui diventa un nastro nascente dell’architettura, edificando opere magnifiche. In contrapposizione, Andreas invece è un’artistica che legge e si ispira allo stile italiano, approfondendo di conseguenza la conoscenza dietro le parole, i simboli e i colori sgargianti dello stile fiorentino. E impara, man mano che lavora, ad approcciarsi diversamente al suo stile, elaborando opere più complesse e migliori.

Parlando invece del contesto, che è la particolarità più interessante dell’opera di Obsidian Entertainment, l'ispirazione a “Il Nome della Rosa” è alquanto palese, considerando che parte degli avvenimenti si susseguono all’interno di un’abbazia e di un convento. E “In Mondo senza Fine”, infatti, ci sono proprio un convento e un’abbazia al centro degli accadimenti della seconda e terza parte del romanzo di Ken Follett. Tuttavia, le atmosfere ricreate dal team statunitense raccontano di momenti cupi, brutali e sanguinolenti. Non facendovi spoiler, sappiate soltanto che la storia di Pentiment narra con intelligenza le vicende di un mondo in continuo mutamento, che ora si ritrova diviso e confuso. Se da una parte c’è la Chiesa, che è alla base della società dell’epoca, dall’altra c’è la nobiltà. Nel mezzo, però, c’è il popolo. Ignorante, inconsapevole e spaventato dal futuro, vive ogni momento con il timore di non raggiungere il Regno dei Cieli e sincerarsi definitivamente con il Signore. A qualcuno importa più di altri, ma è questo il punto: in Pentiment si avverte che la società dell’epoca, più preoccupata a soddisfare le richieste mai fatte di un’entità celeste, si dimentica completamente di chi è davvero in difficoltà.

Giudica, sentenzia, non prova empatia e odia indistintamente chiunque, trattando tutti dall’alto verso il basso. Altro che insegnamenti di Cristo e della Bibbia: la figura di Martin Lutero esiste per contrastare il potere della Chiesa di Roma che non parla più per Cristo, ma per i suoi emissari. Mentre mi muovevo tra le ombre dell’abbazia, contemplando le statue dei gargoyle, sapevo benissimo che c'era qualcosa in atto che temevo potesse estendersi oltre quelle mura. La maldicenza è sempre sulla bocca di tutti, specie in un villaggio lontano dalle grandi città e dai castelli dei dignitari, i quali conoscono solamente alcune sfaccettature degli accadimenti nei luoghi meno rilevanti dei loro possedimenti.

L’abbazia, che in questo caso è il centro nevralgico delle varie situazioni in atto nella produzione, è un riferimento proprio alla Sacra di San Michele, il luogo che ha ispirato Umberto Eco nella stesura del suo romanzo. È a picco di un monte raggiungibile a piedi, e ai suoi margini c’è una foresta ricoperta di aghifoglie, conifere e arbusti. E poi ci sono degli alberi, che dominano una radura illuminata dai raggi del sole. Mentre visitavo il villaggio, le foreste e i suoi pascoli, mi tornavano alla mente le descrizioni dello scrittore italiano, che ebbe la capacità di scrivere una storia appassionante.

In tal senso, alcuni dei monaci all’interno dell’abbazia ricordano proprio quelli de “Il Nome della Rosa”, ma nel caso di fratello Pietro, che è uno dei miei personaggi preferiti, il riferimento al mio adorato fratello Philip de “I Pilastri della Terra” è stato inevitabile e ho sorriso, perché ho ricordato le premure di quell’uomo che a Kingsbridge portò non soltanto una cattedrale, ma anche la beatitudine e la santità che in Pentiment si raggiunge solo a un momento specifico dell’esperienza, che preferisco non rivelare.

Quando il Medioevo di Pentiment parla a noi stessi

In Pentiment, come in tante altre opere, si scrive la propria storia. I fili del destino sono inesauribili e alcuni di essi, secondo le Norme, sono impossibili da modificare. Le Parche, tuttavia, non si opposero quando Kratos se ne infischiò delle loro profezie, tanto che proseguì il suo cammino fino a giungere sulla vetta del Monte Olimpo, reclamando la sua vendetta. Insomma, se un generale spartano può cambiare il suo fato, perché Andreas non dovrebbe? La vita, secondo Irma Vep, imita l’arte: la serie televisiva parla di come essa dia una percezione del mondo che si ha attorno differente in base alle proprie esperienze.

Nel videogioco di Obsidian, invece, c’è un mondo tutto da scoprire e comprendere appieno, composto da avvenimenti da vivere appieno. Ed è così che avvengono le scelte che si compiono, e qui il giocatore sceglie chi essere realmente. Non esiste un’intuitiva interfaccia in cui si scelgono altezza, peso e caratteristiche facciali, bensì cosa si è svolto nel corso della propria vita fino a quel momento. È un aspetto che ho trovato intrigante, perché permette di avere il controllo sulla propria esistenza, migliorando affinità, comportamenti ed esperienze. Il mio Andreas, per esempio, è un latinista, un medico e ha partecipato a lunghi viaggi in Inghilterra, conoscendo l’inglese.

È un uomo colto, attento e curioso. Il lato sicuramente più interessante dell’opera è proprio questa: consentire ai giocatori di delineare a scelta il proprio protagonista principale, con i suoi pro e i suoi contro. È anche l’aspetto, oltretutto, che convince anche durante la scoperta della struttura ludica nella sua interezza, capendo meglio cosa si cela nei meandri della psiche umana, devastata e ottenebrata dalla paura. Ricreare un contesto del genere, insomma, poteva essere un grosso rischio per il team americano, ma in realtà sapevo che sarebbe riuscito a mantenere encomiabile la sua scrittura, superandosi ancora una volta. Avevo lasciato Obsidian Entertainment nello spazio lontano lontano di The Outer Worlds, e mi sono ritrovato in periodo di stallo tra Medioevo e Rinascimento che mi ha coinvolto in maniera del tutto inaspettata.

“Nessuno di noi conosce la propria fine, o quale mano ci condurrà ad essa” – Re Baldovino

La pace non si raggiunge in maniera semplice. È necessario, a volte, sacrificare persino sé stessi prima di arrivare a comprendere come si è stati coinvolti in un racconto in cui era meglio non infilarsi. Andreas è un protagonista a cui piace essere al centro dell’attenzione, ma è tipico degli artisti che inseguono un sogno e si augurano di realizzarlo. Un viaggio per scrivere la propria è utile specialmente per comprendere ispirazioni, storie e leggende lontane, alcune delle quali necessarie da ascoltare e condividere. L’arte è anche questa, in realtà: ascolto, pazienza e tanto studio. Alle volte è meglio in compagnia, e in altrettante occasioni la scoperta può essere affrontata da sola.

Pentiment è un’opera videoludica che, traendo dal Medioevo e dal periodo successivo alla scoperta dell’America, insegna a vivere con la consapevolezza dei propri mezzi. Questa è la sua più grande morale, l’unica che ha la capacità di lasciare senza parole attraverso un gesto di un personaggio. “Noi pochi, noi felici, pochi”, diceva Enrico V a Azincourt. E come dargli torto?