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POST VOID | Recensione - Un FPS roguelike folle e psichedelico

La nostra recensione di POST VOID, un videogioco indipendente forte e potente che potrebbe darvi filo da torcere

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a cura di Nicholas Mercurio

Amo morire. Lo so, detto così può sembrare strano e, in effetti, lo è eccome: ma se c’è una cosa che adoro nei videogiochi, è morire. Morire in ogni modo, magari per un errore della telecamera come in Elden Ring, o non prendere il tempismo giusto fra una deviazione e l’altra in Sekiro, o non evitare in tempo un pugno sul grugno in Sifu, o non sconfiggere Ade in Hades, o prenderle così tanto su qualunque videogioco roguelike su cui io abbia mai messo le mani. Se c’è una cosa che mi ha insegnato POST VOID, è quella di prendere la morte con ancora più filosofia di prima, di accettarla e sì, persino di desiderarla.

Parole forti, direte voi. E avete ragione: lo sono. POST VOID, però, non ha tempo da perdere: scivola come un cadavere sul fiume. O meglio, quel cadavere sul fiume siamo noi, che non ci accorgiamo neppure di aver una visione esterna mentre esaliamo l’ultimo respiro. Quando ho pigiato il tasto d’avvio e stretto la fascia nera sulla fronte come un Johnny Lawrence qualunque, già sapevo cosa aspettarmi. Di POST VOID, delle sue morto e rinascite avevo sentito parlare nel corso di questi anni, ma non mi sono mai misurato con questa sfida prima di oggi.

Nel corso di questi giorni, approfittando del suo arrivo su PlayStation e Nintendo Switch, ho scelto di misurarmi alla pari come farebbe chiunque ami questo genere di produzioni. E ho perso il conto delle morti come non avevo mai fatto prima di ora. Qualcuno, infatti, potrebbe allontanarsi a piè veloce da un prodotto di questo calibro, e avrebbe tutta la mia comprensione, perché in effetti POST VOID è la dimostrazione di quanto ci voglia un bel po’ di pazienza prima di cimentarsi nel suo incubo fatto di proiettili, morti e disperazione a profusione. Il punto, però, non è la sua complessità. L’apice è un altro: la sua costruzione, il suo essere pazzo e sconfinato, il suo essere mostruosamente vecchia scuola, ma con un approccio misurato per il presente.

Una potenza che spacca lo schermo disintegrandolo, brutalizzando chi stringe il pad o il joycon mentre un assordante musica metal accompagna il dolore, sostituito poi da un rumore sordo, da immagini opache, bianche, grigie e nere, con segni illeggibili usciti direttamente fuori dal codice di Hammurabi di qualunque manuale del videogioco. Anche se è stato pubblicato nel 2020 soltanto per PC, aggiudicandosi elogi dalla critica specializzata, il suo arrivo su console era necessario. Necessario perché anche le utenze di PlayStation e Nintendo Switch meritavano di finire in questo abisso fatto di pixel art, violenza e illusione. Morire non è illusione. Non lo è mai stata con opere più blasonate, e non lo è neppure con POST VOID, che rappresenta l’apice di una pazzia tutta indipendente nata da uomini e donne che in una serata qualunque, in un giorno qualunque e in un momento qualunque si sono guardati, hanno posato il Briscola da parte e si sono guardati negli occhi, annuendo l’uno con l’altro, come per dire: “Sì, facciamolo”. E lo hanno fatto.

Non c’è storia che tenga

Nel senso che in POST VOID, in realtà, non c’è una trama. Neanche una lore. Se state cercando un videogioco di questo tipo, sappiate che segue in realtà un percorso decisamente più classico, abbracciando quel tipico stile inconfondibile che ha reso fenomenali gli anni dei cabinati, da cui riprende gli elementi migliori. Fatta questa premessa, il termine “Void”, in inglese, ha un significato preciso, e la traduzione letterale in italiano è “Vuoto”. Unite le due parole con “Post”, che significa “Dopo” in latino, e scoprirete che il significato un significato lascia spazio a un sacco di varie interpretazioni. Durante la mia esperienza al suo interno, mi domandavo chi fosse il protagonista, perché fosse in questo strano mondo colorato e perché ci fossero creature di ogni tipo desiderose di massacrarlo a colpi di pistola, esplosioni, pugnali ricurvi e torrette che oltre a formare buchi e numerosi fori sul suo corpo, rappresentano ben più del classico nemico da abbattere.

Il Vuoto, un luogo dominato da oscure entità sovrannaturali, è sospeso fra il tempo e lo spazio, e il suo velo è lacerato, come se un coltello spazio-dimensionale si fosse infilato nelle carni dell’Universo con il tentativo di sfilettarlo. Se quest’ultimo si espande mentre leggete, immaginate cosa capita quando, invece, quel tutto tanto osannato da Stephen Hawking diventa una prigione fatta di sbarre impossibili da superare. Mentre un ciclo continua, un altro finisce, e così via, finché la fine non arriva e l’inizio diventa un altro preludio al dolore.

Niente favole, qui. Niente storie a lieto fine, perché c’è poco da raccontare: nulla è bello, niente è commovente, tutto è reale ed è pure lecito. Descritto in questo modo potrebbe sembrarvi una royal rumble in cui è possibile usare oggetti contundenti e farla franca con l’arbitro, ovvero il folle che ha orchestrato quell’ordalia del dolore prendendo direttamente ispirazione da Saw, Freddy Kruger e Pennywise. Immaginate finire in una stanza con questi tre figuri e commettere l’errore di uscirne vivi. Non ci sarebbe nulla da fare: non ne uscireste mai sulle vostre gambe, anche perché verrebbero tranciate in due dalle forbici da giardiniere del malvagio di Nightmare.

In POST VOID non accade nulla di così macabro, ma il succo del discorso è questo: il Vuoto, un luogo etereo diviso fra realtà o pazzia, è la rappresentazione stessa di un contesto strutturato senza avere un senso preciso, perché il team di sviluppo lo ha creato in modo tale che lasciasse sgomento il giocatore. Il primo impatto, infatti, mi ha angosciato parecchie. Mi sono domandato dove fossi finito e, una volta che l'ho realizzato, sono morto senza sparare neanche un colpo. Già, ero immobilizzato, come se l’ipnosi creata da POST VOID mi avesse per un istante intorpidito le sinapsi, impedendo ai neuroni di connettersi gli uni con gli altri. Ho riprovato, e sono morto. Ho sparato a un nemico, uccidendolo, ma un altro mi aspettava nascosto, pronto a fare la sua comparsa.

Morto di nuovo, sospiro e alzo le spalle. Rido, ma non so perché. Quando ho capito che stavo sbagliando tutto, ho realizzato che il Vuoto non è un purgatorio, non è un paradiso e neppure un inferno, ma è la fine. Non contando che il personaggio porta sulla mano sinistra una testolina che perde uno strano liquido bianco che corrisponde alla vitalità, ho appurato che questo è un gran bel sogno. Si muore ma, come dicevo prima, fa tutto parte del gioco.

POST VOID: tragedia, morte e resurrezione

Come accennavo prima, POST VOID è un FPS con elementi da roguelike che prende a piene mani dal genere di appartenenza di tante altre produzioni. Non paragonandolo ad altri videogiochi, vi parlo di un’opera che prende il meglio del genere, esaltandone le qualità e dimostrando, al contrario di molte altre, un approccio originale e del tutto esclusivo. In tal senso, non ricordo altre produzioni come POST VOID attualmente sul mercato, a meno che non si parli di Hades ed altri videogiochi di questo calibro.

La produzione interessata, però, è esaltata grazie a un gameplay semplice quanto coinvolgente, strutturato in modo tale che il giocatore, da brava vittima sacrificale, sfrutti ogni bonus passivo o attivo che gli capiti durante l’esplorazione dei vari livelli, perdendoli però una volta risvegliato al punto iniziale. L’equipaggiamento che si perde diventa irrecuperabile e la casualità di cosa si ottiene dipende dal fato. A risultare fenomenale nonché strutturato con intelligenza è il gunplay, che esegue la sua sinfonia del dolore in maniera magistrale, confezionando un buon ritmo e proponendo vari modi per uccidere i nemici, al netto della rapidità di movimento.

Se potesse fare un parallelismo azzardato, POST VOID per ritmo e intensità si avvicina a Ghostrunner, lo slasher hardcore FPS sviluppato da All! In Games nel 2020, che ha dimostrato cosa significhi non preoccuparsi di allontanare l’utenza per seguire il proprio obiettivo. Come tutti sanno, però, le cose per Ghostrunner sono andate bene e, al contempo, anche POST VOID non tradiva le attese. Correre è necessario, correre è la speranza, correre e muoversi rapidamente potrebbe salvarvi la vita, mentre vi muovete all’interno delle aree di gioco. Superati infatti gli Atti, che determinano il proseguimento di ciascuna area e la prosecuzione dell’avventura, incontrerete nemici ben peggiori e più numerosi.

Abbassarsi potrebbe essere la soluzione migliore per evitare i colpi improvvisi dei nemici e delle torrette, come sparare all’impazzata e proteggersi prima che un colpo vada a segno. Non ho parlato tuttavia di un altro aspetto della struttura di gioco, rappresentata dalla testolina sopracitata che, se colpita, può provocare un’esplosione catastrofica e uccidere il protagonista all’istante, creando una classica voragine. POST VOID è una prova a tempo in cui andare veloce, volente o nolente, è obbligatorio: fermarsi decreta la morte, perdere del tempo porta alla fine di tutto e non stare attenti a evitare qualunque cosa arrivi improvvisamente da ogni angolo dei livelli, vuol dire in automatico una morte lenta, dolorosa e brutale, la stessa che, ve lo assicuro, potrebbe accompagnarvi per gran parte dell’esperienza.

Il ritmo di gioco, in tal senso, è esaltante e coinvolgente, in grado di portare per mano il giocatore in una corsa verso la zona bianca successiva per raggiungere un’altra area, che per due secondi diventa un posto sicuro finché non è il momento di tornare a sparare. La varietà degli Atti, infatti, permette di interfacciarsi con diverse creature dell’incubo capaci di seminare discordia, panico e tanto dolore.  Ogni fase, che si staglia in intervalli non particolarmente longevi, dà modo di scegliere quale arma equipaggiare e abilità usare, come l’aumento del rateo del danno dell’arma e molto altro. Nonostante usare la UZI (una specie di mitraglietta già vista in Grand Theft Auto: San Andreas), ho spesso optato per una soluzione differente, preferendo la doppietta nel pieno stile Doom, facendo strage dei nemici.

Avanzare significa inevitabilmente preparare contromisure, tattiche e ricordare persino il numero dei nemici, i luoghi sopraelevati in cui saltare e dove andare. Spesso ci saranno ulteriori percorsi secondari da seguire, a volte basterà memorizzare i luoghi già visitati, e in altrettante occasioni prepararsi a dovere per affrontare chi si avrà di fronte sarà la norma. Cosa significa correre, sparare ed evitare di essere uccisi da un numero sconfinato di avversari? Vuol dire pazientare, accettare che, prima o dopo, la morte è inevitabile e l'unico modo per prendersi gioco di lei è scegliere l’arma migliore.

Non esistono molti altri consigli che potrei dare a qualcuno per sopravvivere nel complesso e folle mondo del Vuoto, che cattura chiunque non riesca a scampare da esso e non lascia spazio alcuno a chi tenta di fuggire da questi corridoi composti di morte, tentacoli e incubi di ogni genere. Una pistola può salvare, ma è meglio essere armati invece di una doppietta, così da non correre il rischio di trovarsi altre teste di serpente fra i piedi. Anche se sarà inevitabile e non si potrà evitarlo, soprattutto durante gli Atti conclusivi.

Un’esperienza che splende anche su console

Lo ammetto, non sapevo cosa aspettarmi da POST VOID e in parte ero sicuro che mi avrebbe deluso. Invece, è andata così bene che concluderlo è stato come se avessi messo la parola “Fine” a una storia che non mi andava di finire tanto presto. Quando leggo la parola roguelike, ammetto di esaltarmi, perché con la mente torno a videogiochi appartenenti a questo genere che hanno apportato tante innovazioni e nuovi approcci al panorama. POST VOID non fa eccezione, e come potrebbe essere altrimenti? C’è la morte, che è inevitabile per chiunque. C’è un contesto, che è la fine del mondo. E c’è una testolina che esplode improvvisamente, una vera e propria co-protagonista. Al netto di qualche piccola incertezza di ritmo nelle fasi finali e di vera e propria varietà di armi che avrebbe al contrario portato ulteriore libertà d’approccio, ad affascinare è soprattutto l’ottimo valore svolto sull’implementazione e rifinitura della pixel art scelta per l’occasione.

Non è mai semplice gestirne una e far incastrare ogni aspetto perché tutto abbia una sua logica. POST VOID, oltre a confezionare un brillante versante tecnico (che però non arriva ai trenta fotogrammi al secondo), propone una delle direzioni artistiche migliori dell’ultimo anno. Provato pad alla mano, il porting adoperato non è lo stesso della versione PC, ma non significa che sia una brutta notizia, perché offre una visione totale e si amalgama in modo particolareggiato con altri aspetti dell’opera. Non è mai facile riuscire a catturare l’attenzione, e spesso risulta persino complesso riuscire a trovare le parole adatte. Morire significa anche questo.

Voto Recensione di POST VOID - PlayStation 5


8.5

Voto Finale

Il Verdetto di Tom's Hardware

Pro

  • Un contesto che affascina e spaventa

  • Se il Vuoto è questo, allora non è mai stato così bello

  • Un gunplay che arriva all'obiettivo e sorprende

  • Un comparto audio di assoluto livello

  • Pixel art, tanta pixel art, molta pixel art

Contro

  • Una maggiore varietà di armi avrebbe giovato alla produzione

  • Qualche inevitabile compenetrazione fra modelli poligonali

Commento

In conclusione, POST VOID si dimostra un videogioco potente, brutale, coinvolgente e cattivo. Non risparmia il giocatore, portandolo all'estremo, e riempie una struttura di gioco di tanti approcci diversi, dimostrandosi ben più della classica opera indipendente che viene pubblicata. POST VOID è un'opera con un enorme personalità, sorretta da un game design brillante e da un game design efficace. Psichedelico, folle e rapido, potrebbe essere una delle migliori scoperte del mese per chi sta cercando qualcosa di nuovo senza spendere troppo.

Informazioni sul prodotto

Immagine di POST VOID - PlayStation 5

POST VOID - PlayStation 5