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a cura di Giulia Arcoraci

Il dibattito riguardante la possibilità di considerare l’open world come un “genere” a sé stante è ancora acceso e molto interessante, ma non è questa la sede per discuterne, anche se invito i lettori a rifletterci e, soprattutto, a ripensare alle loro esperienze nei vasti mondi aperti vissuti negli ultimi decenni.

In base a queste esperienze, a prescindere dai titoli open world provati, direste che sono titoli “per tutti”?Secondo il mio parere, no. Di norma i mondi aperti richiedono tanto tempo a disposizione (che non tutti possono avere), perseveranza e, purtroppo, “perdersi” nell’esplorazione tralasciando gli obiettivi principali è molto facile.

Quali sono, quindi, i potenziali problemi di questi videogiochi? Io stessa mi sono ritrovata a mettere in “pausa” alcuni titoli e riprenderli solo diverso tempo dopo, perché troppo dispersivi. Un consiglio breve per approcciarsi a questi giochi è: occhio a non perdere di vista la trama principale, il filo del gioco, perché a volte è molto facile.

Un altro punto è la gestione del mondo aperto, presto citeremo degli esempi. Iniziamo da Assassin’s Creed Valhalla (come anche Odyssey): mondi esteticamente piacevoli, su questo non c’è dubbio, ma vuoti. Davvero troppo vuoti. Le missioni secondarie sono spesso “inutili” e prive di sostanza, rendendo l’esplorazione piuttosto “passiva” e poco stimolante.

Zelda Breath of The Wild, ad esempio, perché è un titolo così ben riuscito tanto da diventare quasi un “maestro” dei titoli basati sui mondi aperti? Perché ha un’esplorazione che si potrebbe definire “attiva”: il giocatore è portato ad interagire con il mondo, viverlo, utilizzare le proprie abilità per “dissezionarne” ogni sua parte.

Prendiamo ora Red Dead Redemption 2:  ci sono anche qui distese particolarmente “vuote”, ma lo sono davvero? La Rockstar è stata in grado di dare vita ad un mondo che si muove insieme al giocatore, creando situazioni, mettendo qua e là tanti piccoli “segreti” da scoprire, animali e persone che reagiscono in più modi ad Arthur. Ed è proprio in questo che si distingue un open world ben costruito.

Passiamo ad un titolo (di vecchia data) non propriamente open world, ma ricco di mappe molto estese: Dragon Age Inquisition. Ritorniamo ai “soliti” problemi: mappe vuote, prive di reali stimoli, in cui l’esplorazione risulta spesso noiosa. Da fan accanita di Dragon Age, non potrei dire il contrario: la Bioware ha sbagliato l’approccio, pur provandoci. Si spera che con il passare degli anni abbia capito il suo errore.

Cosa desideriamo in un open world “ideale”? Dal mio punto di vista, mi piacerebbe un open world che possa essere un “mix” tra più meccaniche: capacità di creare situazioni che tengano conto di diverse scelte e approcci del giocatore, inserire missioni secondarie narrativamente interessanti che portino il giocare a “lavorare” sul mondo di gioco e sull’esplorazione, inserire una giusta quantità di nemici, arricchire il mondo con una fauna e una flora che non siano abbozzate, ma approfondite.

Chiaramente si tratta di un discorso molto generale e personale, ogni gioco ha un suo “mondo” con una sua linea ben precisa in cui, magari, alcune meccaniche non avrebbero molto senso.Negli ultimi anni, però, bisogna ammetterlo: l’open world ha catturato l’attenzione e sta diventando una sfida per tante case di sviluppo, basti pensare che anche la FromSoftware si è voluta lanciare in un mondo aperto che tutti non vediamo l’ora di scoprire.

E voi? Cosa vorreste in un Open world? Cosa non vi piace dei mondi aperti che avete provato fino ad ora? Troppe ore di gioco, troppo dispersivi, noiosi, oppure avvincenti perché siete amanti dell’esplorazione?Gli spunti di riflessione sono davvero tanti, c'è chi li odia e chi li ama, ma un fatto è certo: con gli open world la tecnologia dell'industria videoludica ha fatto davvero dei passi da gigante.