Qualcuno salvi gli indie e la loro unicità

Il panorama indie odierno sta sfornando silenziosamente delle opere sempre più convincenti e lodevoli sotto diversi punti di vista.

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a cura di Ecleto Mucciacciuoli

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Viviamo in tempi frenetici oggigiorno. Siamo costantemente paralizzati da un flusso asfissiante: l’overload informativo. Nell’era dell’economia dell’attenzione, è imperativo per il mercato lanciarci degli impulsi che possano coinvolgerci direttamente. Il marketing, in tal senso, e le sue declinazioni strategiche, ci vuole avvinghiare in un sistema di fidelizzazione e partecipazione. Non che questo sia sempre un male, ma si sa, con il ronzio frastornante delle call-to-action e dei media, ormai non sappiamo dove guardare. Nel mercato odierno, e quello videoludico non è esente da questo discorso, i fruitori vivono già in un contesto tecnologico che li annichilisce quotidianamente e, in genere, ricercano stabilità in una propria comfort zone. Siamo tendenzialmente meno curiosi e abbiamo sempre meno tempo. Eppure, ci sono indie che continuano a bussare alla nostra porta.

In questa frenesia collettiva, coinvolgere la nostra attenzione richiede uno sforzo sempre maggiore da parte di chi si occupa di pubblicità e marketing. Tempo fa David Lubars, che parlava dai vertici dell’agenzia pubblicitaria Omincom, accostò metaforicamente il consumatore allo scarafaggio. Secondo la sua teoria, infatti, usare gli stessi metodi di approccio e stimolo all’acquisto era come spruzzare sopra un insetto lo stesso prodotto chimico più volte. Alla lunga l’effetto perde efficacia e serve qualcosa di diverso per farci correre. Sebbene sia una visione fortemente provocatoria, non siamo poi così distanti dalla realtà della game industry odierna.

Il marketing incanala la nostra attenzione verso un titolo, mentre ci vengono proposte sempre fresche e singolari interazioni per l’acquisto. Veicolati dall’hype e dal fomento, ci lasciamo andare in questo vortice mediatico inconsapevolmente. Cosa accade però a quei prodotti che non vantano di una strategia così imponente alle spalle? È sufficiente la sola unicità estetica e smuovere l’euforia generale?

Far gloria senza rumore

Teniamo a mente l’assunto iniziale e soffermiamoci sui record del panorama indie nel 2021. Vige, ahimè, la sempreverde statistica che un indie su diecimila riesce a sgomitare nel miasma nel dimenticatoio. Basti pensare che vi è una male inverosimile di opere minori che neanche ha il voto sulle piattaforme e che, per forza di cose, non riesce ad arrivare a lambire il tanto agognato eco mediatico. Quest’anno solamente, per citarvi alcuni esempi che mi hanno fatto sobbalzare sulla sedia, abbiamo avuto Chicory A Coloful Tale, Kena Bridge of Spirit e Lost in Random. In caso non li abbiate in mente sappiate che abbiamo fatto la recensione di tutti e tre. Il trio che prendo sotto esame ha avuto numeri davvero incoraggianti, ora considerando la natura insolita delle creazioni, ora perché hanno avuto appena il supporto - pagato a peso d’oro - delle piattaforme di distribuzione digitale.

Sono solo alcuni esempi lampanti di opere minori per budget e componenti di sviluppo che hanno dovuto lottare duramente per conquistare critica e, quindi, Metacritic. In un’era in cui il punteggio dell’aggregatore conta anche a livello contrattuale per bonus e malus economici, posso solo immaginare la gioia di queste piccole realtà. Ma se noi siamo sempre assuefatti da altre tipologie di prodotti e siamo ormai sensibili ad altre tipologie di pubblicità, come hanno fatto opere del genere a ritagliarsi la fiducia del pubblico? Cerchiamo dunque i comun denominatori. I tre giochi presi in esame a livello critico vantano una direzione artistica inusuale e vagamente nostalgica. Chicory A Colorful Tale ha un mondo che è letteralmente un album da disegno d’altri tempi, Lost in Random sembra uscito dall’universo di Tim Burton e Kena Bridge of Spirit sembra sguazzare nel mondo onirico Pixar. Si scava nella nostra memoria e, ad onor del vero, non è la prima volta né l’ultima volta che sentiremo queste sensazioni.

Terapia indie per tutti?

La libertà creativa dei piccoli team concede loro di osare verso orizzonti creativi nostalgici e sensibili in campo indie, senza dover sottostare ai dettami di un’IP o altro. Il gameplay stesso è inusuale e geniale, come il dado di Lost in Random, il pennello magico di Chicory A Colorful Tale e la magia di Kena Bridge of Spirits. Si tratta di meccaniche che non inneggiano alla difficoltà, ma che desiderano premiare il fruitore con potenza artistica e spensierata delicatezza. La scelta di questa dimensione però allontana coloro che ricercano una sfida ardua e costante, magari accompagnata da una ruggente competizione. Non sempre si riesce ad apprezzare opere che provano a smuoversi il subconscio, meno frenetiche, ma più profonde.

Le piattaforme streaming poi non sempre aiutano in tal senso. I piccoli team di sviluppo fanno già fatica a pagare gli spazi negli store, figuriamoci remunerare steamer di successo. Qualora nomi di rilievo volessero comunque portare alla luce queste creazioni, non è detto che siano affini al loro pubblico di riferimento e, quasi sicuramente, i numeri calerebbero.

Non dobbiamo per forza farne una colpa, ma riflettere su questi dettagli. Produzioni minori così insolite non hanno spesso il palcoscenico adatto per attirare l’attenzione. Il più delle volte è merito di qualche voce influente sui social, del passaparola tra amici e dell’attenzione delle testate giornalistiche. Senza dimenticare che ci sono altri aspetti secondari da sottolineare. Si tratta perlopiù di single player dal gran cuore ma dall’esigua durata e questo allontana molto fruitori. Desidero sorvolare il dualismo multiplayer-single player, ma sappiamo quanto sia complicato far digerire il genere a un pubblico abituato a contenuti decisamente più frenetici e interattivi. Al di là del gusto personale, prendiamo ogni aspetto della vicenda e non posso coprirmi gli occhi davanti a una così evidente crisi.

Un tempo gridavo a gran voce per rieducare il player a stili di gioco diversi, ma ora capisco che, complice la stressante quotidianità, ci possano essere esigenze diverse. Gli amici si riuniscono alla console o al PC per divertirsi insieme e per staccare dallo stress, quindi non vien da sé l’idea di provare qualcosa di inusuale in chiamata senza interagire a schermo. Gli indie, nella maggior parte dei casi citati, sono storie da vivere in solitudine e tranquillità, lontani dagli sballottamenti e dai pensieri pesanti. Forse è questa la loro più grande virtù, la capacità di indurci all’introspezione, chissà.

"Se costa poco, sarà meno godibile"

Giungiamo ora al ragionamento caustico sul prezzo. Innanzitutto, è bene tenere a mente che la notorietà ha un costo, sempre e comunque. L’indie che vedete a un prezzo esiguo è listato così anche perché non ha avuto spese eccessive legate alla pubblicazione o alla pubblicizzazione. Non c’è dunque da sorprendersi se ci siano vantaggi e svantaggi. Il prezzo potrebbe sicuramente convincere i fruitori più titubanti per ingolosirli, ma, fatta eccezione per la vetrina online e il passaparola incontrollato, si fa affidamento a una strategia botton up, che è impossibile da quantificare nella maggior parte dei casi.

Personalmente quando acquisto un’opera minore e questa secondo me merita di essere raccontata, non fuggo subito a cercare la penna, ma ne parlo e ne discuto ove posso. Valorizzare il lavoro del team e aiutare la crescita del brand o del loro nome, ritengo sia doveroso, conoscendo le difficoltà che si attraversano. Ricordo quando ci fu il chiacchiericcio delle malelingue, che denigravano Chicory A Colorful Tale solo perché opera fuori dal coro e prodotto di scarsa qualità. Eh sì, perché non sempre il prezzo è sintomo di gioia, può essere interpretato quasi come un problema di qualità intrinseca.

Il peso della comunicazione e il valore dell'arte

È ovvio che questo sia un ragionamento sciagurato alla base, ma si avverte anche ciò. La causa indiretta è la standardizzazione del costo del videogioco tipo. Il punto è che nel fetta di mercato dedicato ai tripla A, le dinamiche finanziarie sono diverse e hanno un peso specifico ben ponderato. Qualità e prezzo sono due variabili completamente in antitesi. Ci posso essere giochi blasonati o decantati in un certo modo che poi sono usciti con più difetti di un indie di quartiere.

Il titolo minore potrà anche essere meno ambizioso e pubblicizzato, ma il cuore artistico e poetico al suo interno sono il semplice frutto della dedizione e del lavoro. Il pubblico si lamenta di spendere poche decine di euro per un titolo unico e geniale solo perché più breve o meno conosciuto, quando invece sono pronti a pagare il doppio o il triplo per la solita minestra riscaldata. Non guasterebbe un po’ di autocritica ogni tanto.

In questa paradossale giravolta, arriviamo dunque alla conclusione. Gli indie vanno sempre difesi a spada tratta perché giungono da condizioni più complesse? No, ma vanno compresi. Oggigiorno siamo perennemente ipnotizzati da tattiche ci offuscano il nostro giudizio e che barattano le nostre emozioni per il mero senso di appartenenza a un gruppo sociale. Le opere minori hanno dimostrato a più riprese di saper sfiorare le carde della nostra anima se sono gliene diamo l’occasione. Ogni tanto, dunque, farebbe bene concederci un po’ di tempo per fare introspezione, magari immergendoci in qualche mondo inusuale e unico, per scordarci nel rumore della vita. Al costo poi di due o tre pizze, mica male, no?