Sangue e arena
Le arene di gioco sono un’apoteosi grafica. Enormi (benchè non immense come alcune mappe del terzo capitolo), iper dettagliate e piene di elementi, mobili e non. Uno scorcio di costiera italiana (il sottoscritto crede di aver riconosciuto la natia Costiera Amalfitana, ma non ci mette la mano sul fuoco) con bancarelle stracolme di prodotti pronti ad essere scaraventati a terra, ponti sospesi su laghetti montani surreali, interminabili interni feudal-giapponesi, arene da lotta libera con annesso pubblico, strade di Las Vegas notturne luminose e trafficate, scenari giurassici popolati da dinosauri erranti... lo sfondo di gioco è inusualmente (almeno, per serie non firmate Tecmo) stracolmo di dettagli e ostacoli.
Ovviamente, tanto ben di dio non ha solo funzione estetica, perchè l’uso degli elementi di scenario è da sempre, prima ancora che in altre serie, fondamentale per la conclusione rapida dei combattimenti in DOA. Quindi, di conseguenza, alcune prese diventeranno più devastanti in prossimità dei muri, così come alcune mosse possono essere eseguite solo vicino a questi. Altra introduzione nel capitolo, non di grande impatto in termini di meccaniche di gioco, sono gli ostacoli a mezza altezza (come muretti, tavoli e via discorrendo). Qualora un lottatore ci venga scaraventato contro, questi non rimbalzerà in avanti ma verrà sbalzato oltre l’elemento di scenario. L’avversario smaliziato potrà scavalcarlo (con una semplice doppia pressione del tasto direzionale appropriato) per poi compiere un attacco in volo. Se, come detto, in termini di gameplay l’introduzione non rivoluziona il gioco, la spettacolarità dell’azione guadagna ulteriori punti.
Al contrario di quanto offrono i picchiaduro più recenti come Tekken 5, Soul Calibur III o Mortal Kombat, DOA non ha alcuna modalità di gioco alternativa da offrire al giocatore. Nessun Konquest (non che ne sentissimo la mancanza), nessuna quest mode, nessun Devil Within. DOA si limita a proporre il picchiaduro nelle ricette già note: versus, sparring, survival, time attack e story mode. La cosa di per se, facile ad immaginare, fa del giocatore solitario vittima predestinata della noia. Se il giocatore in questione ha un approccio troppo superficiale al gioco, evitando le lunghe sessioni di allenamento cui si sottopongono gli utenti più competitivi, il gioco si troverebbe ad essere prosciugato in poche ore; la modalità Story, perno del gioco in singolo, pur non essendo settata su di un livello di difficoltà semplicissimo, dando possibilità di continuare all’infinito una volta perso l’incontro svilisce il fattore sfida del gioco. Inoltre c’è da aggiungere che i filmati finali, pur realizzati con maestria in CG, sono talvolta eccessivamente stupidi o inutilmente pseudo-erotici: dite quel che volete, ma finire il gioco con Hitomi per sbloccare un filmato in cui si prepara un insalata in maglietta e mutandine non risponde propriamente alle aspettative del giocatore medio. Per non parlare della lap dance di Christie.
Alla luce di questi finali, modalità sfiziose come il watch mode (per vedere scontri salvati) e relativa modalità fotografica, assumono un retrogusto voyeuristico dichiarato e accompagnato da poco altro, che desta più di un sospetto.
La fruibilità del gioco cambia radicalmente con la presenza di altri giocatori. Quando possibile, potrà essere affrontato in Team Mode, ossia due contro due (non contemporaneamente ma dandosi turno durante i combattimenti). Avendo quattro amici è possibile anche imbastire scontri 2 contro 2. Ma è nel versus mode classico, uno contro uno, che il titolo si gode appieno, ed è in questa sede che le modifiche al gameplay illustrate fino a questo momento diventano più evidenti e palpabili.
Discorso a parte merita la funzione on line: catastrofica e disastrosa al momento, si aspetta la patch già annunciata da Itagaki-san in persona. Allo stato attuale il net code presenta più di un buco e lascia l’amaro in bocca per chi ha acquistato il titolo con la speranza di picchiarsi in allegria con utenti di tutto il mondo.