Senua's Saga: Hellblade II Enhanced è finalmente arrivato anche sulla console di Sony e, come già indicato nella nostra lunga recensione della versione per Xbox, è un vero e proprio atto di ribellione alle dinamiche del mercato attuale.
Non ci sono missioni secondarie, non ci sono menù da spulciare o mappe da riempire di icone. Esiste solo una linea narrativa che ti afferra alla gola e ti trascina fino ai titoli di coda, senza scusarsi per la sua intensità o per la sua compattezza.
Questa purezza formale suona quasi provocatoria in un mercato che confonde spesso il valore con la quantità. L'avventura dura poche ore, ma sono ore in cui il tempo perde significato, trasformandosi in un tunnel sensoriale da cui non puoi uscire finché non raggiungi l'altra estremità.
La versione Enhanced per PS5 e PS5 Pro rappresenta la forma più compiuta dell'opera di Ninja Theory, non per i contenuti aggiuntivi, ma per la precisione con cui esprime la sua visione: il videogioco come atto emotivo, capace di scavare nella mente del giocatore con l'intensità di un romanzo o di un film.
L'Islanda come protagonista
L'Unreal Engine 5 diventa uno scalpello da scultore, plasmando un'Islanda che respira insieme a Senua. Non si tratta di un semplice fondale scenografico, ma di una vera e propria protagonista, con montagne minacciose, mari inquieti e cieli che mutano seguendo lo stato emotivo della protagonista.
Non è un'immagine "bella" nel senso convenzionale: è vera, viscerale, quasi disturbante nella sua fedeltà. Il realismo non è freddo ma sporco, imperfetto, vivo. Si percepisce nelle imperfezioni della pelle, nella tensione delle mani strette attorno all'elsa di una spada, in ogni roccia e colata lavica catturata dal reale.
La modalità Performance a 60 fotogrammi al secondo trasforma la percezione dell'opera, regalando una fluidità che amplifica il senso di presenza. Su PS5 Pro questa modalità risulta ancora più maestosa: le animazioni più fluide, i movimenti più credibili, le espressioni facciali di una eloquenza impressionante.
Il labirinto sonoro della follia
Se il comparto visivo vi avevamo già detto in passato che rapisce l'occhio, è l'audio il vero conduttore della lucida follia di Senua. Giocare con le cuffie non è un consiglio ma un obbligo morale. Le voci sussurrano alle orecchie, cambiano posizione e intensità, accusano, incoraggiano, confondono in un flusso ininterrotto che non lascia mai solo il giocatore.
Non si tratta di semplice sound design: è un mezzo narrativo, uno strumento di immedesimazione totale che ci ricorda costantemente che la mente di Senua non è un luogo sicuro.
Nella versione Enhanced questo labirinto sonoro appare ancora più stratificato e opprimente, mentre il feedback aptico del DualSense aggiunge un ulteriore livello di immersione.
Melina Juergens conferma la sua straordinaria intensità recitativa, supportata da un motion capture che raggiunge livelli tali da far dimenticare di guardare un personaggio digitale. Ogni micro-espressione diventa un tassello nel mosaico emotivo dell'opera.
Oltre le convenzioni del gameplay
Il gameplay, inteso come lo intende la maggior parte dei giocatori del globo terraqueo, non era un aspetto predominante del primo capitolo e anche in questo seguio rimane funzionale alla narrazione. I combattimenti sono più duelli rituali che scontri strategici, inquadrati con una regi cinematografica che privilegia l'impatto drammatico alla varietà delle meccaniche. È una scelta consapevole che può lasciare insoddisfatti chi cerca complessità, ma coerente con la visione d'insieme fortemente cercata da Ninja Theory.
Gli enigmi ambientali non vogliono essere prove di intelligenza ma pause di respiro tra un carico emotivo e l'altro, momenti per osservare, ascoltare, cercare senso nelle forme e nei simboli che emergono dal mondo circostante.
Per quanto riguarda, invece, le nuove aggiunte di questa Enhanced Edition, troviamo la modalità Dark Rot (che concede solo 4 fallimenti prima di ricominciare), un photo mode migliorato e il commento degli sviluppatori. Niente di trascendentale, ma sono piccolezze che riescono comunque ad arricchire un minimo l'esperienza.
Il peso dell'osare
Volendo muovere un appunto a Hellblade 2, si può dire che il suo più grande difetto è quello di non riuscire a eguagliare l'impatto generale ottenuto dal primo capitolo. Il motivo non risiede nella qualità tecnica, dove anzi surclassa l'originale e moltissime altre produzioni più blasonate, ma nella perdita di quell'effetto sorpresa che aveva reso il primo Hellblade un fulmine a ciel sereno in un panorama videoludico impreparato a una produzione di tale portata.
C'è un momento, giocando, in cui Senua si ferma su una scogliera battuta dal vento, ascoltando le voci che la inseguono mentre davanti a lei si apre l'orizzonte livido dell'Islanda. È in quell'istante che il confine tra videogioco e opera audiovisiva si trasforma in un'ombra sfumata, facendo capire quanto maestosa sia l'opera realizzata da Ninja Theory.
Allo stesso tempo però, lo stupore che colpisce in quel frangente è tutto merito di un impianto tecnico incredibile sotto molteplici aspetti e non è derivato da quel disorientamento al limite del disturbante che generò il primo capitolo nel momento in cui, indossate un paio di cuffie, la malattia mentale di Senua prendeva vita, inglobando al suo interno anche il giocatore.
Hellblade 2 resta un titolo divisivo perché chiede molto, in termini di compromessi, restituendo tantissimo in maniera non convenzionale. Non premia con armi più potenti, nuovi poteri o, anche solo, con delle sfide impegnative e appaganti, ma concede al giocatore l'onore di raccogliere una parte del peso di Senua e farlo proprio.