The Dark Pictures: House of Ashes | Recensione, orrore condiviso

Ci siamo lanciati nell'esplorazione di House of Ashes, sviscerando a fondo diversi bivi narrativi e decidendo il destino di ciascun personaggio.

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a cura di Antonio Rodo

Puntuale come ogni anno, Supermassive Games ritorna con House of Ashes e la sua Anthology, The Dark Pictures, una raccolta di ben cinque storie che, di anno in anno, esplora differenti generi dell'orrore e varie leggende.
 

Sotto un clima che odora di Halloween, ci siamo lanciati - in solitaria e in compagnia - nell'esplorazione di House of Ashes, sviscerando a fondo diversi bivi narrativi e decidendo il destino di ciascun personaggio. Tra bagni di sangue e disperati tentativi di salvare a tutti la pelle, ecco com'è andata.

Il nemico del mio nemico è mio amico

Iraq, 2003. La Guerra del Golfo si è conclusa e un gruppo di soldati altamente addestrati è pronto a cominciare una missione impegnativa: recuperare ogni traccia di arma chimica dal suolo nemico. Nemmeno a dirlo, l'operazione si trasforma in un vero e proprio incubo che scimmiotta film come Aliens, Predator e The Descent; ispirazioni cinematografiche nemmeno troppo velate, a dire il vero, dal momento che lo stesso team di sviluppo le ha dichiarate. Comincia in questo modo il terzo videogioco della collana di racconti dell'orrore, che questa volta abbandona la cittadina di Little Hope e la nave fantasma per abbracciare un setting ancora una volta diverso: un tempio celato sotto un'antica grotta mesopotamica.

Il patto che i ragazzi di Supermassive Games hanno stretto con i giocatori è quindi ancora valido: immaginario orrorifico, setting e ispirazioni cinematografiche completamente aggiornati, quanto basta agli utenti per affrontare una nuova avventura. 

Premessa narrativa a parte, sono i personaggi e le loro scelte, o meglio le nostre, a contare davvero. Esattamente come nelle precedenti avventure, saranno a decine i momenti in cui, controller alla mano, sarà richiesta la nostra partecipazione, che andrà a plasmare in positivo o in negativo il carattere di ciascun personaggio, com’è anche possibile vedere nell'apposito menu. 

Le scelte sono di vario genere e alcune metteranno in gioco la moralità dei personaggi, forse anche la vostra, ma le più decisive, come puntualmente succede in produzioni di questo stampo, sono quelle che vedono la morte di uno o più personaggi. Stando agli sviluppatori, ci sono una sessantina di modi per far morire i personaggi e, a giudicare dalle due partite che abbiamo affrontato, non possiamo che confermare. Del resto, l'oscuro e minaccioso tempio è molto pericoloso, ed è dunque lecito aspettarsi scenari così tanto negativi.

Come in ogni buona storia che si rispetti, anche House of Ashes prova a tratteggiare un cast molto sfaccettato, caratterizzato come sempre da un pesante tono adolescenziale che conferisce alla produzione un aspetto da teen horror. E come per ogni capitolo della raccolta c’è almeno una presenza di rilievo all'interno del gruppo: abbiamo visto Shawn Ashmore in Man of Medan, Will Poulter in Little Hope, e adesso possiamo dare il benvenuto alla famosissima Ashley Tisdale, nota per la Serie TV MacGyver e per tantissimi altri ruoli cinematografici. 

Sarà per demerito di una sceneggiatura un po’ debole o per una caratterizzazione dei personaggi ormai troppo abusata in produzioni di questo tipo, questi nuovi personaggi non ci hanno particolarmente convinto, nonostante si noti la buona intenzione degli sceneggiatori: ciascuno di loro è infatti più o meno relazionato con gli altri e non mancano nemmeno delle backstory amorose. Il problema, in questo caso, risiede più che altro nei modi e nei tempi del racconto, incapaci di donare a questi momenti il giusto spazio e il meritato peso, apparendo sempre come improvvise interruzioni poste nel momento sbagliato. Rappresentano un contorno, una spruzzatina di quotidianità in un posto chiamato inferno, e non suscitano le reazioni sperate. 

Sebbene meritino un richiamo in rosso con tanto di punto esclamativo, questi nei non cambiano di una virgola l'obiettivo di House of Ashes: regalare ai giocatori, un po’ come Netflix insegna, una serata piacevole da passare insieme ai propri amici.

Non giocare da solo

Recita proprio così il menu principale del gioco, un modo per suggerire agli utenti di non affrontare da soli, per nessuna ragione al mondo, quest'avventura.

Ci sono differenti modi per giocare House of Ashes, tre in particolare: il single player, la cooperativa online a due giocatori e, infine, una modalità a controller condiviso, una sorta di cooperativa locale un po’ vecchia scuola. Il primo sistema, credeteci, lo indichiamo come ultima spiaggia, da sposare soltanto nel caso in cui dovesse essere il vostro unico modo per affrontare il viaggio. Il terzo, invece, è una valida opzione, ed è perfetto se, insieme ai vostri amici, davanti ad uno schermo dalle generose proporzioni, decidiate di anticipare le classiche serate di halloween. Ma è la seconda opzione ad essere la più valida, poiché arricchisce ed espande una delle tematiche centrali del racconto: la capacità di vedere oltre l'uniforme e non guardare il nemico solamente attraverso un mirino, pronti a collaborare nei momenti più disperati. In modalità online, tutto questo sboccia a meraviglia e in alcune scene potrete persino tradire il vostro stesso compagno in party chat (che suggeriamo di non abilitare o disattivare a intervalli regolari per lasciare che siano i personaggi del gioco a parlare al vostro posto, lasciando intatta l’imprevedibilità di alcune soluzioni).

Insomma, decidete voi come affrontare l'avventura, ma tenete ben a mente i nostri suggerimenti.

Tra QTE e...QTE

Controller alla mano, le novità non sono così pronunciate. Questa familiarità con gli scorsi giochi, tuttavia, è una delle peculiarità della Anthology: il giocatore deve sentirsi immediatamente a casa, a partire dalla nota sequenza introduttiva, e ciò che deve aspettarsi è un altro racconto dell'orrore. Nulla da rimproverare sotto questo punto di vista, ma avremmo gradito qualche inedita aggiunta, come accadde con Man of Medan e il suo minigioco per restare nascosti durante le scene più concitate, che tra l'altro ritorna anche in questo caso nonostante non sappia più di nuovo.

Ad onor del vero, qualche piccola aggiunta c'è, e riguarda perlopiù le sequenze action. Il punto che ci preme evidenziare, infatti, è un altro: l'assenza della novità di rilievo, la soluzione nuova, il tratto distintivo del prodotto, almeno in termini di QTE e gameplay. Ci si dovrà accontentare delle classiche soluzioni a base di tasti da premere al momento giusto, le cui pressioni – almeno in alcuni casi – valgono come una scelta, nonostante il più delle volte si venga graziati dal gioco, anche a difficoltà elevata, che altro non fa che diminuire il tempo a vostra disposizione durante le sequenze più rischiose.

Discrete novità e ritorni per quanto riguarda le fasi esplorative, finalmente accompagnate da una camera di gioco libera e non più fissa, e dalla possibilità di munirsi di torcia o accendino durante alcuni momenti. Da segnalare il ritorno dei totem, oggetti che ci consentono di visualizzare alcuni possibili e tragici esiti.

Per il resto, durante le quattro abbondanti ore necessarie per completare il gioco, se avete giocato uno degli scorsi episodi della raccolta, saprete già orientarvi sul tipo di interazione che il gioco propone.

Tecnicamente solido, ma...

Il Decima Engine utilizzato per Until Dawn è ormai un ricordo lontano. Esattamente come in Man of Medan e Little Hope, in attesa della nuova versione che dovrebbe già essere attiva dal prossimo anno, House of Ashes si affida al caro Unreal Engine 4, un motore grafico sicuramente potente e che riesce a convincere a più riprese. Nonostante alcune animazioni un po’ posticce, anche legate ai volti, la realizzazione e l'intero processo di digitalizzazione degli attori convince, lo fanno meno alcune texture, che mostrano non poco il fianco. Da rivedere anche alcune soluzioni registiche: alcuni stacchi ci sono sembrati molto bruschi, e soprattutto nelle modalità per giocatore singolo e cooperativa locale, eccezion fatta quindi per la coop online, il montaggio della storia è parecchio confusionario.

In generale l'aspetto è gradevole, soprattutto su PlayStation 5 e Xbox Series X, grazie alla risoluzione 4K nativa e al timido accenno di ray tracing. Per chi volesse, c’è anche una modalità performance, ma considerata la tipologia di prodotto non è così necessaria. 

A proposito di attori, le performance convincono, a patto che impostiate la lingua originale: non ce ne vogliano i nostri amati doppiatori, ma il lavoro svolto in questo caso è solo discreto e rischia di affossare ancora di più una caratterizzazione dei personaggi già non molto elevata. Infine, poco da rimproverare alle musiche, che senza particolari eccessi fanno il loro e accompagnano l'azione.