The Padre Recensione

The Padre è un punta e clicca horror che riporta i giocatori indietro ai classici dei tempi andati, raccontando una nuova storia in un maniero gotico.

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a cura di Alessandro Palladino

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L’ormai longeva storia alle spalle del videogioco ci ha permette di vivere in una sorta di piccola nostalgia dei tempi andati, ricordandoci di quando in quando un’epoca più semplice e meno tecnologica, fatta di bit e poligoni grandi quanto un cocomero. Quando questo forte sentimento tenta di evocare un intrattenimento passato, attraverso le mani di un team creativo, nascono risultati come The Padre di Shotgun with Glitters.

Apertamente dichiarato come un classico punta e clicca ispirato alla tradizione horror dell’epoca PlayStation 1 e precedente, il titolo è ambientato in un viaggio piuttosto macabro di un prete all’interno di una villa infestata da forze demoniache. Paranormale e orrore si intrecciano in una sorta di fantasia uscita fuori dal figlio di Lovecraft e Alone in the Dark, lasciando all’utente il compito di districare il mistero dietro i cubetti che compongono la grafica voxel del gotico maniero. Quanto però la nostalgia è un punto a favore in un prodotto che si appella al mercato odierno? Come lo stesso racconto di The Padre ci insegna, luce e tenebra hanno spesso un confine fin troppo labile.

La Fede non Basta

Fin dall’inizio del racconto, il tono di The Padre non vuole prendere una netta posizione: mentre da un lato abbiamo un’ambientazione molto cupa e con elementi presi dai migliori scenari dell’orrore al chiuso, dall’altro vediamo un protagonista dalla voce caricaturalmente roca e sarcastico all’invero simile. Si tratta di quel classico effetto del tipico prete scurrile totalmente fuori dalla sua figura ecclesiastica, lo standard del prototipo più amato da calare nel conflitto contro le forze del male. Del resto, come scopriremo nel gioco, bisogna per forza avere un pizzico di impurità interiore per poter resistere alle tentazioni del demonio.

L’idea è in sé buona e storicamente funzionante, ma The Padre sembra adagiarsi troppo sugli allori senza mai osare nella sua trama. La situazione dovrebbe essere drammatica ma viene spesso smorzata; neanche il fondo comico sembra riuscire a impressionare. Un tentativo che per la brevità del gioco diverte e intrattiene al punto giusto, ma non impressiona né rimane memorabile nel dare dei brividi lungo la schiena.

Parte della colpa è forse da attribuire anche alle moltissime citazioni e riferimenti presenti nel gioco. Non è certo il primo titolo a basare la sua esistenza sulle spalle del ricco panorama pop dell’horror e della cultura geek dalle tinte scure, però questa impostazione deve necessariamente essere accompagnata da una forte anima autoriale, uno spirito che aleggia nella produzione di Shotgun with Glitters solamente nelle battute finali e nei momenti più topici. Il resto del racconto sicuramente galvanizzerà tutti i giocatori veterani di Resident Evil o Silent Hill, senza però aggiungere nulla di nuovo alla formula rodata negli anni d’esordio dei punta e clicca dell’orrore.

Punta ed Esorcizza

Tenendo fede ai dettami dell’era passata, The Padre chiede ai giocatori di aiutare il protagonista a risolvere enigmi ed esorcismi attraverso l’utilizzo del puntatore del mouse. La telecamera, con rigorosa prospettiva sempre  distante, è l’unico strumento per muoversi tra le inquadrature delle varie stanze, scandagliando ogni centimetro e oggetto dei vari ambienti che ci ritroveremo ad esplorare.

Per ogni cosa con cui interagire ci sarà un bel commento del nostro prete gutturale, spaziando dalla semplice sottolineatura comica fino al vero e proprio suggerimento per arrivare alla soluzione del puzzle. Spesso si tratta di porte chiuse o luoghi da sbloccare attraverso la ricerca di un determinato oggetto, il quale può essere ottenuto solo attraverso una serie di condizioni da soddisfare. Seguendo il manuale dei punta e clicca più famosi, The Padre non indugia nel prendere in prestito anche qualche trucchetto o problema dai suoi antenati più iconici, calcando anche nel gameplay quella sensazione nostalgica provocata dall’ambientazione. La difficoltà è quindi altalenante seppur mai troppo punitiva o impossibile.

Il “twist” è che in The Padre è possibile anche combattere attraverso un sistema di combattimento forse eccessivamente rudimentale, ma abbastanza inserito da renderlo una buona aggiunta nelle vesti di variazione sul tema. Da una parte ciò va un po’ a minare la serietà – o sacralità se vogliamo – dello scenario horror basato sul mistero e sui puzzle, dall’altra è più che logico pensare che il protagonista di The Padre possa difendersi in qualche modo, specialmente considerando la sua natura tutt’altro che pacifica. A tal proposito, il team di sviluppo ha inserito perfino una modalità basata interamente sul combattimento.

The Padre e il ponte con il passato

Mentre impugnare un’arma possa essere una sorta di novità se si considera l’intento revival, ciò che davvero contraddistingue il primo impatto con The Padre è il modo in cui i ragazzi di Shotgun with Glitters sono riusciti a fondere una particolarissima tecnica grafica con la sensazione “a blocchi” della PlayStation 1 e console affini.

L’aspetto voxel utilizza saggiamente i blocchi per dare la giusta sensazione retrò senza rinunciare per forza alla modernità. Non c’è quindi quella spinta al realismo che abbiamo visto nelle recenti produzioni indipendenti del panorama horror, né si è voluti scendere nella pixel art per dare l’idea di essere un reperto storico. The Padre ha la sua peculiare anima e la mostra con orgoglio, soprattutto quando sfrutta sapientemente gli effetti d’illuminazione negli ambienti al chiuso, riempiendo le stanze di colori senza sacrificare la cromatura in favore di zone buie adibite al mero jumpscare.

Allo stesso modo, il doppiaggio può risultare strano a un primo ascolto. La dualità tonale del protagonista non è davvero facile da digerire e forse c’è stato un’eccessiva voglia caricaturale in alcuni punti, così tanto da spezzare l’atmosfera horror. Eppure il doppiatore in sé ha fatto un ottimo lavoro nel dare vita a un personaggio particolare, tanto burbero da stare bene con la caratterizzazione della narrazione e da risultare difficile da digerire per il giocatore. Al prete, del resto, non importerebbe dell’opinione altrui: è fatto così e la scelta autoriale sorpassa (senza eccedere in fondo) il bisogno di standardizzarsi.

La pecca maggiore dal lato tecnico è solamente ristretta ai vari menù, i quali appaiono spartani e poco rifiniti, quasi come se fossero degli asset stock. In particolar modo le lettere e i fogli trovati in giro, per quanto chiari, sono veramente del testo appiccicato malamente su un poligono. Mentre l’utilizzo dei vari oggetti poteva essere chiaro meglio visivamente, così come le interazioni del cursore con le aree interattive e altri piccoli difetti che, accumulati, creano un problema di fruizione sensibile. Ironicamente, forse questa estrema legnosità e inefficienza dell’HUD è forse l’elemento più fedele alla tecnologia del passato a cui il titolo si ispira.