Videogiochi e cinema: due media diversi in un universo da scoprire

Approfondiamo insieme le differenze sostanziali fra cinema e videogiochi e come questi punti di contatto possano offrire visioni nuove.

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a cura di Nicholas Mercurio

Videogiochi e cinema. O meglio, pillola rossa, o pillola blu. A dirlo era Morpheus in Matrix e tutti sanno molto bene com’è andata a finire. Potrei usare altre citazioni per indicare di averle prese entrambe anni fa, appassionandomi sia al cinema che ai videogiochi, non capendo quale fosse effettivamente profonda la Tana del Bianconiglio in questi due media tanto diversi fra loro ma comunque capaci di catturare in modo inimmaginabile. Lo ammetto, non avevo fatto i conti con le imprevedibilità della vita, perché pensavo che tutto sarebbe passato rapidamente, e che mi sarei appassionato ad altro. Invece, a distanza di anni, eccoci qui: stringo il pad per lavorare mentre, al contempo, non so cosa guardare sulle maggiori piattaforme di streaming disponibili. Si parla spesso di quanto cinema e videogiochi siano uguali e trasmettano le stesse emozioni.

Su queste ultime, in tal senso, non ho nulla da aggiungere, ma posso assicurarvi che comunicano in modo differente, raccontando comunque storie e coinvolgendo talvolta attraverso dei linguaggi comuni e arcinoti, per raggiungere così più persone possibili. Talvolta, però, non si capisce cosa si ha davanti e lo si giudica immediatamente come un prodotto diviso fra cinema e videogioco, minimizzando e trattando l’argomento senza approfondirlo ulteriormente. Non è neanche un modo sbagliato per indicarlo, ma un qualunque messaggio veicolato a raccontare qualcosa serve per essere il più esaustivo possibile e di facile comprensione. O meglio, qualunque racconto utile è fondamentale per costruire un mondo migliore, per quanto possibile. Il cinema e i videogiochi, in realtà, condividono molto: considerati come strumenti del demonio, ora hanno un valore culturale.

Ancora prima che il cinema diventasse di moda, c’era chi nel Vecchio West assisteva a scene in cui uno scappava via da un carretto fantasma, spaventato che potesse ucciderlo. Ora i videogiochi, pensate un po’, trasmettono film di questo genere com’è accaduto in Red Dead Redemption II, la magnifica opera di Rockstar Games. Vedere Arthur Morgan guardare un lungometraggio, infatti, è stato impagabile quanto assistere alle sparatorie come ha insegnato il grande Sergio Leone, con il protagonista che riempiva di proiettili quei poveri malcapitati e, nel frattempo, capiva che il tempo dei fuorilegge e della vita di frontiera erano purtroppo giunti alla loro conclusione. Questo è un esempio semplice, sia chiaro, fra tanti altri che potrei citare. Eppure, è certamente il più azzeccato e diretto, poiché legato da un filo conduttore che unisce i due media pur non mettendoli sullo stesso piano.

Esistono le contaminazioni, i modi di pensare e di approcciarsi a un’opera con la propria creatività e sensibilità. In tal senso, Sam Barlow è l’esempio concreto di cosa significhi creare una storia adottando i dettami del cinema e del videogioco, amalgamando i due mondi e creando una proposta davvero unica nel suo genere. Restando in tema, lo stesso Immortality è l’esempio perfetto di cosa voglia dire unire cinema e videogioco, creando un binomio fantastico fra i due mondi, senza che nessuno dei due prevalga sull’altro. Quali sono, però, le sostanziali differenze di cui tanto si discute? Come fanno a coesistere? E ancora, in che modo cambierà questo rapporto d’amore nei prossimi anni? Le differenze, sia chiaro, sono certamente note a chiunque conosca i due media, eppure il fascino di entrambi arriva al suo massimo quando i due linguaggi si parlano per creare qualcosa di unico, da amare, assorbire e conoscere. Sperimentare, d’altronde, è il segreto per creare opere che sappiano raccontare a un pubblico vasto e sfaccettato.

Parte tutto da una storia, da una lingua, da un effetto speciale, da un contesto, da un buon game design, da una brillante direzione artistica e da effetti sonori e musiche considerevoli che sappiano coinvolgere e dimostrarsi mature. Poi c’è molto altro, ovviamente, ma la creazione di un mondo videoludico è nettamente diversa dall’elaborazione di un prodotto cinematografico e dalla sua realizzazione. Se vi sembra naturale e scontato, credetemi che la grandezza di certe opere, quando entrambi i media si incontrano, diventa ancora più profonda perché dimostra quanto possa essere immensa la mente umana e la sua creatività. Senza questa luce, che proietta i sogni e i desideri dei suoi autori, non avremmo chi ha eretto nuove prospettive.

Un rapporto ancora tutto da costruire

A rappresentarle sul serio è Hideo Kojima, il celeberrimo autore di Metal Gear Solid e Death Stranding. Il suo ultimo lavoro, che ha visto protagonisti attori di Hollywood e di tante serie televisive, rappresenta uno degli incontri fra cinema e videogioco più palesi sia in termini contenutistici che interpretativi. È un legame che si è rinforzato grazie a una tipologia di approccio che il genio nato a Sategaya ha sempre mantenuto sin da bambino, guardando molti film, studiandoli e amandoli a tal punto da innovare il panorama attraverso un metodo di racconto concentrato a parlare dei suoi mondi in modo appassionato e coinvolgente, non lasciando nulla al caso. In tal senso, è stato il primo game designer a far lavorare assieme Norman Reedus e Lea Seydoux, permettendo a Mads Mikkelsen di mostrare il suo incredibile talento attraverso un contesto magnifico e particolareggiato, sorretto da scene commoventi e forti, alcune delle quali talmente importanti da risultare fondamentali per chiunque ami questo mondo in tutte le sue sfaccettature, sia nel bene che nel male.

È proprio grazie a game designer come Hideo Kojima, infatti, che il cinema e i videogiochi stanno trovando nuovi punti di contatto. Un esempio eclatante è ovviamente The Last of Us. Il modo di raccontare nei videogiochi, specie grazie a nuovi modi per proporre ulteriori esperienze al pubblico, ha cambiato le prospettive di molti. Ora una buona storia, proprio per merito della letteratura e del cinema, stanno mostrando diversi benefici nella realizzazione di un’opera interattiva, e Immortality di Sam Barlow è certamente la prova di quanto i due media siano in realtà molto simili tra loro proprio per merito delle conoscenze e delle sensibilità degli sviluppatori, che concentrano le loro energie affinché una produzione riesca a essere sospesa fra i due mondi senza intaccare l’uno o l’altro.

Le differenze fra cinema e videogiochi, dunque, stanno nei linguaggi e nella realizzazione di un contesto. Chiaramente, il messaggio arriva in modo differente: premendo un tasto o muovendo una rotellina, si ha modo di compiere delle azioni, oltre che delle scelte. Il cinema parla attraverso le immagini e le sequenze, ed è proprio qui il bello: quando una scena impatta sullo spettatore, le emozioni vengono fuori. E quando videogiochi e cinema si incontrano, il risultato è straordinario.

Videogiochi e cinema: un obiettivo che va oltre la cinepresa e il pad

Quando si parla di narrazione, in pochi si rendono conto che un racconto vive di tante anime e sensibilità. The Legend of Zelda: Breath of the Wild avrà un impatto differente da The Last of Us, ma riusciranno comunque a esprimere un contesto. Il primo si approccerà alla storia scandendo un gameplay decisamente più preciso e coinvolgente, mentre quella di The Last of Us sarà semplice ma efficace, poiché si concentrerà totalmente sul lato narrativo, facendo comunicare i personaggi. Non che The Legend of Zelda: Breath of the Wild non lo faccia, sia chiaro, ma The Last of Us è l’esempio perfetto di cosa significhi stare in due media e sentirsi a proprio agio con entrambi. Lo ammetto, ne ho avuto prova con il primo episodio della serie televisiva dedicata all’opera migliore di Naughty Dog, che ha parlato a cuore aperto al videogioco, restandone fedele, un esempio che Resident Evil – La Serie non è riuscita a raggiungere in alcun modo, ma questa è un’altra storia e non è neanche così imperdibile.

A esserlo, però, è il metodo narrativo adottato da Sam Lake con le sue creazioni, con il celebre game designer e narrative designer di Control e Alan Wake che ha delineato un universo da scoprire e comprendere. In questo momento storico, si parla spesso di multiverso, di mondi uniti gli uni agli altri e universi che collidono a tal punto da diventare uno solo. Il cinema, in tal senso, è stracolmo di produzioni di questo tipo, e Bayonetta 3, l’ultima produzione targata PlatinumGames, ha adottato questo approccio che ormai sta diventando sempre più frequente. Al contempo, Alan Wake e Control si sono scoperti legati da un unico filo conduttore che si avvicina enormemente al linguaggio cinematografico più influente. Gli importanti nomi che ha citato, soprattutto Hideo Kojima, sono comuni e certamente noti perché hanno portato innovazione e tante altre prospettive in questo medium, modificando e migliorando i loro metodi comunicativi per coinvolgere maggiormente il videogiocatore.

Quando si parla di avventure grafiche, però, tutto questo cambia in modo inaspettato. Questo è un genere che, senza troppi giri di parole, è in alcune scelte simile ai film per necessità. Penso a New Tales from the Borderlands, sviluppato da Gearbox Software, o a Return to Monkey Island, che è l’esempio perfetto di come i prodotti d’animazione abbiano un valore speciale nel mondo della cultura pop. In tal senso, l’ultima opera targata Ron Gilbert, adottando una direzione artistica che non è piaciuta a molti, ha voluto tratteggiare una profondità di stile che appartiene per l’appunto ai cartoni più iconici. Poi, se si miscela sapientemente con Monkey Island, diventa ancora più affascinante e coinvolgente.

È sempre una questione di sensibilità, dopotutto: creare un videogioco o produrre un film è qualcosa che va di pari passo, a mio parere, con le dovute differenze rilevanti da considerare per questi due media che ogni giorno sorprendono e affinano le loro particolarità. Inoltre, è fondamentale capire quanto possa essere profondo e curioso interfacciarsi con i diversi linguaggi che si hanno a disposizione. Avete presente Lost in Random, una delle produzioni che io considero più sottovalutate del panorama? Sapevate che Zoink Games si è ispirato a Tim Burton e al suo immaginario? Bene, ecco come cinema e videogiochi coesistono insieme: attraverso nuovi modi per trattare entrambi. Il caso di Lost in Random, però, è certamente il più celebre, nonché forse il meno considerato da chi preferisce qualcosa di meglio definito.

Le differenze fra i due media, tuttavia, sono assolutamente chiare ed è impossibile non notarle quando ci si approccia a un prodotto videoludico o a uno cinematografico. La diatriba che spesso scoppia sui social, specie quando si parla di nuovi prodotti videoludici che parlano attraverso le cinematic come Death Stranding, non approfondisce doverosamente i loro aspetti fondamentali. Se il videogioco si vive direttamente pad alla mano, compiendo gesti di qualunque genere e interfacciandosi con una storia attraverso l’interazione, il cinema si racconta restando fedele al suo passato, coinvolgendo e impressionando allo stesso modo. In un panorama come quello videoludico, lamentarsi che un’opera è fin troppo cinematografica è un errore, perché non si focalizza sui punti di forza di entrambi i media.

Il punto è che nessuno dei due ha reali aspetti negativi e non si dovrebbe neppure prendere in considerazione di cercarne. L’arte non ha bisogno di essere intesa in modo dispregiativo: le tante opere presenti sul mercato già bastano per essere criticate e analizzate, approfondite e anche abbandonate, se un’esperienza non soddisfa le aspettative di qualcuno. In generale, però, questi due media possono convivere assieme una volta che tutti avranno compreso che si sta parlando di linguaggi diversi che adesso, a differenza di molti anni fa, si uniscono proprio per creare meraviglie. Una volta si pensava che emozionare fosse un sentimento che apparteneva soltanto a uno dei due, e che il videogioco fosse tale perché era un videogioco, senza altre contaminazioni o ispirazioni. Senza però gli studi, le ricerche e le sensibilità necessarie, a delinearsi sarebbe un mondo artificioso e privo di creatività. Senza sperimentazioni, d’altronde, non possono esistere le innovazioni, e se qualcuno dei sopracitati nomi non si fosse incaponito con il cinema, probabilmente certe opere videoludiche non sarebbero mai state pubblicate.

Un universo di speranze

Una volta, forse sbagliando, pensavo che il videogioco dovesse semplicemente divertire, svagare e far dimenticare la realtà. In parte continua a fare anche questo, ma adesso lo vedo diversamente, anche grazie alle contaminazioni da altri media e a produzioni diverse e certamente più creative. Mi riferisco soprattutto al mercato indipendente e ai valori autoriali che soltanto pochi sviluppatori conservano, riuscendo a stupire e meravigliare.

Videogiochi e cinema sono linguaggi che parleranno fra loro sempre più sovente, e finché esisteranno anime come Sam Barlow, Sam Lake, Hideo Kojima e Neil Druckmann, le visioni verranno maggiormente estese. Nessuno snaturerà né uno né l’altro, e i due media sopravviveranno al lento sfacelo del tempo. Sarà un processo evolutivo con i fiocchi.