Videogiochi e politica: quanta confusione!

Far Cry 6 non vuole essere un videogioco politico secondo il narrative director, ma sulla politica dei videogiochi c'è un po' di confusione.

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a cura di Fabio Canonico

Negli ultimi giorni dello scorso maggio suscitò un certo clamore un'intervista rilasciata da Navid Khavari, narrative director di Far Cry 6, al sito di informazione videoludica TheGamer. Il prossimo capitolo della serie Ubisoft sarà ambientato in un paese fittizio, l'isola di Yara, oppresso da una feroce tirannia, e nel raccontare questo contesto Khavari affermò che in nessun modo la sua rappresentazione voleva riflettere quella del regime cubano, vagamente rassomigliabile; che il gioco, insomma, non era stato concepito come l'espressione di un giudizio politico su Cuba. Apriti cielo. Nelle ore successive le polemiche furono tali da costringere Khavari a un ulteriore chiarimento, una sorta di marcia indietro a uso e consumo di un certo tipo di critica e pubblico; se lo chiedete a me la classica pezza peggiore del buco, la perfetta esemplificazione di quanta confusione ci sia riguardo il concetto di politica applicato ai videogiochi (nonché sul concetto di politica in generale).

Khavari era stato messo nel centro del mirino da coloro che ritengono che determinate visioni e ideologie, certi giudizi e concezioni (attenzione, sempre le loro), debbano essere propugnati sempre e comunque. In sintesi, un gioco ambientato in un contesto simile a quello di Cuba, doveva per forza di cose esprimere una posizione. Il perché l'espressione di una posizione non sia automaticamente politica, che lo stesso utilizzo del termine sia nella stragrande maggioranza dei casi fuori luogo, sarà il centro del pezzo, ma abbiate un attimo di pazienza: limitatevi, per ora, a riflettere sul fatto che persone senza alcun cognizione di un'opera abbiano preteso di conoscerne la connotazione “politica” meglio di chi vi sta lavorando da anni.

Il post con il quale Khavari provò a gettare acqua sul fuoco riuscì in effetti nel suo intento, non fosse altro perché si apriva con un assunto molto semplice, perfetto per irretire coloro che avevano espresso il loro forte disappunto: “La nostra storia è politica. Una storia riguardo una rivoluzione moderna deve esserlo”. Furbacchione. Poi: “In Far Cry 6 ci sono importanti e difficili discussioni riguardo le condizioni che portano alla nascita del fascismo in una nazione, sul costo dell'imperialismo, sul lavoro forzato, sulla necessità di elezioni libere e competitive, sui diritti LGBTQ+”. Eccola, la perfetta rappresentazione del grande equivoco, quello per il quale inserire determinati temi e affrontare certe questioni dia, in automatico, valenza politica a un'opera. Non è così.

Prima di tutto, ma in realtà non si tratta nemmeno del problema maggiore, per una questione di complessità, del modo in cui questi possano essere affrontati (e nel caso specifico ho già espresso qualche timore riguardo la coerenza generale del gioco, curioso di sapere come riuscirà a barcamenarsi tra la seriosità dei temi che tira in ballo e la spinta bizzarrìa del suo immaginario). È, anche e soprattutto, una questione di ancor più profonda rilevanza, quella del chiarire che il concetto stesso di politica è diverso dalla mera espressione di idee, valori, ideologie; e che no, non è assolutamente vero che “tutto è politica”, perché se tutto fosse politica la politica non esisterebbe.

La questione complessità è di facile trattazione: il videogioco è, ancora oggi, in un momento apicale, con tutte le tecnologie e l'esperienza che gli sviluppatori hanno a disposizione, un medium culturale che fatica nell'imbastire intrecci narrativi di qualità, figuriamoci nel proporre in una maniera che vada oltre il semplicismo più assoluto temi di rilevante interesse sociale (e sottolineo sociale, non politico). Non dobbiamo allontanarci di molto per avere un esempio perfetto, quel Far Cry 5 che una certa critica (sì, la stessa di sopra), aveva venduto come una rappresentazione dell'America di Donald Trump, sbagliando tanto sui tempi (il gioco era stato concepito ben prima della sua elezione) quanto sulla sostanza: il quinto capitolo della serie Ubisoft è un coacervo, sempre divertente, di momenti allucinati, bizzarri, volgari, seriosi, anche, ma di certo non una fine (ma nemmeno grossolana) analisi sociopolitica. Si tratta di una problematica comune alla stragrande maggioranza della produzione videoludica: a patto che non ci si accontenti di trattazioni banali e stereotipate, il medium non è del tutto maturo sotto questo aspetto.

La questione di ancor maggiore rilevanza è quasi tecnica, ma va affrontata, per cercare di chiarire quell'ingombrante equivoco per il quale “tutto è politica”: non solo quindi, rimanendo nel nostro ambito, i temi inseriti in un videogioco, ma addirittura il videogioco stesso. Ora, basterebbe prendere solo alcune delle molteplici definizioni che nel corso della storia sono state attribuite al termine da persone di diversi tempi, culture e studi per capire quanto la politica abbia uno specifico, e non sia un “tutto”. Quello specifico non attiene alla dimensione valoriale e ideologica e quindi alle posizioni che si può avere su certi temi, ma al modo in cui le istituzioni le interpretano, al modo in cui le istituzioni stesse sono costituite e, concetto fondamentale, dalla loro capacità di esercitare il potere. È, in sostanza, la differenza che c'è tra l'antropologia sociale e, appunto, la politica.

La prima definizione di politica, quella di Aristotele, recita: “la politica è l'arte di governare”; già include i concetti di decisori, di decisioni e di un ambito nel quale i primi applicano le seconde, quegli stessi concetti che praticamente ogni definizione di politica include. Una delle più complete è forse quella del politologo italiano Gianfranco Pasquino (1995): “la politica è l'attività che riguarda l'acquisizione, l'organizzazione, la distribuzione e l'esercizio del potere nell'ambito di uno Stato, ovvero fra gli Stati. Il potere è politico quando le sue decisioni possono essere fatte valere nei riguardi di ciascun componente di una collettività anche con il ricorso alla forza”.

Non si può negare che i processi politici si nutrano di istanze valoriali e sociali, promosse in vari modi, anche attraverso i medium culturali; ma non è quella lo specifico della politica. Lo specifico della politica è la dimensione verticale, quella nella quale si esprime il potere, attraverso organizzazioni e decisioni. Va sottolineato come il termine “potere”, al quale solitamente è associata una connotazione negativa, qui ne abbia una del tutto neutra: semplicemente individua la produzione di decisioni collettive e vincolanti per coloro che di quella collettività fanno parte. Alla luce di questo, come si fa a definire un'opera come politica semplicemente in base alla trattazione, e spesso manco elaborata, di determinati temi? E ancora, affermare che “tutto è politica”, una frase ormai ricorrente anche tra i critici videoludici, è quindi nel migliore dei casi riduttivo, ma nella stragrande maggioranza una frase fatta priva di significato; perché se la politica è distribuzione ed esercizio di un potere al quale tutti hanno accesso e che tutti possono utilizzare allora il potere non ha senso e quindi la politica non esiste.

Il videogioco può essere sicuramente inserito in un processo sociale nel quale determinati attori chiedano che trovino accoglienza le loro istanze e che venga riconosciuto il loro sistema di valori magari usando proprio il medium culturale come manifesto delle loro intenzioni (ma dovrebbe avere una complessità e una capillarità a oggi ancora lontane); ma riconoscerlo come politico per la semplice messa in scena di temi e situazioni o, addirittura, intrinsecamente, è un qualcosa che va decisamente oltre e che dimostra una certa confusione riguardo ciò che la politica è e ciò che fa (o almeno ciò che dovrebbe essere e dovrebbe fare, ma questa è un'altra questione ancora e non è questo il posto per discuterne). Potrebbe essere quindi, al massimo, stimolo di una decisione, ma sarebbe quest'ultima l'unico fatto politico, non entrambi: non è una differenza di poco conto.

A prescindere dai temi che tratterà e dal modo in cui lo farà, Far Cry 6 promette di elevare la classica esperienza della serie. Prenotatelo su Amazon Italia.