Zanki Zero: Last Beginning Recensione

Zanki Zero: Last Beginning è il nuovo gioco di Spike Chunsoft, ambientato in un gioco mortale dove la razza umana si è ormai ridotta a 8 ragazzi.

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a cura di Alessandro Palladino

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Fin dalla sua prima comparsa, Zanki Zero: Last Beginning è stato un progetto molto seguito da parte del pubblico interessato alle produzioni giapponesi. Dopo il grande successo di Danganronpa e le recenti versioni dei Nonary Games trasposte sulle nuove console, il panorama dei “death game” era avido di arricchirsi ancora di più con nuove idee e concetti, portati avanti nella inedita proposta di Spike Chunsoft finora in lavorazione.

Stiamo parlando di una nicchia molto particolare all’interno dell’industria, basata interamente sulla difficile sopravvivenza di un gruppo di individui in un ambiente ostile, teatro di un crudele gioco mortale a opera di una mente criminale. La caratteristica speciale degli autori di produzioni come Danganronpa e Zanki Zero è il modo in cui riescono a mischiare il lato ludico con una narrazione serrata e cruda, ma allo stesso tempo estremamente filosofica e interiore, così tanto da esplorare i meandri della psiche e della natura umana con una finezza sorprendente.

Zanki Zero: Last Beginning si pone l’obiettivo di cambiare il modo di vivere e concepire i “death game”, ridefinendo lo stesso concetto di morte e l’approccio che regola le interazioni tra i personaggi. Un manifesto che appare completamente nuovo e, allo stesso tempo, anche tremendamente familiare.

L’ultimo inizio

Il progetto fu infatti proposto durante lo sviluppo del primo titolo della saga di Danganronpa, ma rimase fuori dalla scaletta produttiva per via dell’enorme successo riscontrato dalla serie di Yoshinori Terasawa. Già da questo dettaglio però si può comprendere come Zanki Zero sia una sorta di ideologia parallela ai dettami del suo compagno. Non è infatti sbagliato considerare le due ispirazioni quasi dei “gemelli diversi”: lo scheletro essenziale rimane lo stesso in entrambi ma si distanziano enormemente nell’impronta narrativa.

Zanki Zero: Last Beginning ci cala quindi ben lontano da un ambiente chiuso e claustrofobico (almeno all’inizio) per portarci su un’isola lontana dai colori tropicali, tanto sgargianti da essere uno spettacolo per gli occhi anche sapendo che si tratta dell’ultima frontiera dell’umanità. Fin da subito viene illustrato il classico scenario di isolamento rispetto a qualsiasi altro luogo o essere al di fuori della zona scelta come ambientazione, delineando per il giocatore la nozione di assistere alle vicende dell’ultimo gruppo di esseri umani presenti sulla Terra.

Otto individui compongono la squadra di persone “naufragate” sull’isola. Nessuno di loro ricorda la fine della razza umana o come siano arrivati in quel luogo mistico, benché meno la conoscenza di uno con l’altro. Si tratta del rapimento astratto che spesso costituisce una delle caratteristiche più conosciute di questa tipologia di narrazione, soprattutto per via dell’imposta relazione che si costituisce tra i vari protagonisti.

Essi infatti capiscono subito che devono collaborare per sopravvivere su un’isola piena di rovine urbane senza cibo, servizi o elettricità. Se nella premessa ci si è attenuti alla tradizione, Zanki Zero non perde tempo e si allontana dalla spinta antagonistica già da dopo il prologo, puntando a uno scopo diverso. L’elemento esterno della “mente criminale” dietro il rapimento è impersonato da due cartoni che, attraverso dei programmi TV fittizi, danno compiti e informazioni al gruppo, guidandoli verso il completamento di una misteriosa macchina e del ripopolamento della razza umana. Non c’è quindi nessuna lotta intestina nel gruppo come avviene nel caso di un cattivo che porta i rapiti a uccidersi l’un l’altro, bensì la situazione va a favore dell’unità della collaborazione, puntando tutto su un grande mistero che accomuna i prescelti come persone dal passato tormentato e come fondatori di una nuova razza umana.

Il feeling da gioco mortale viene già meno da questa premessa, ma cala ancora di più quando viene messo in chiaro che gli otto prescelti sono solamente dei cloni con una vita media di 13 giorni. Per ripopolare l’umanità dovranno necessariamente completare la macchina Extend fino a permetterle di creare un organismo in grado di sostenere la vita familiare e riprodursi. I pezzi però sono sparsi nelle Rovine del vecchio mondo, piene di pericoli e umani trasformati in dei zombie alieni pronti a uccidere chiunque gli capiti a tiro.

La morte non è quindi mai definitiva ma anzi rappresenta l’unica vera e propria chiave per riuscire a raggiungere l’obiettivo finale. Per sopravvivere si deve rinunciare al proprio corpo e rinascere infinite volte, diventando sempre meno umani a ogni clonazione. Ed è proprio la persistenza delle caratteristiche umane a essere al centro della vera e propria trama, la quale si focalizza di capitolo in capitolo su ognuno dei membri del gruppo e sulla loro estremamente tragica storia. Si tratta di un ampio terreno di riflessione di stampo filosofico che va a indagare il dibattito sul transumanesimo e ciò che definisce la nostra specie nel campo etico e morale, indipendentemente dall’apocalisse svolta. Ne consegue una longevità abbastanza espansa e che non si dilunga ulteriormente in inutili riempitivi.

Allo stesso tempo però è una storia di mistero nuda e cruda dove il giocatore è chiamato a scoprire pezzo per pezzo il legame che unisce questi otto cloni e sul perché ognuno di essi rappresenti un peccato capitale, nonché la ragione per la loro clonazione e il modo in cui ciò è stato possibile. Il ritmo della storia non si perde mai e rimane concentrato in un crescendo palpabile, ricco di colpi di scena inaspettati e momenti molto emozionanti o perfino commoventi. La struttura dei dialoghi, con i vari box e modelli tridimensionali, è estremamente solida visto il ruolo centrale che ha nella narrazione, dando a ogni parola il peso giusto in tutti i contesti, comici o seri che siano.

De-umanizzando i protagonisti fin dall’inizio, Zanki Zero non ha quindi paura di trattarli quasi come oggetti usa e getta, soprattutto quando vengono sventrati dai nemici o decadono per la loro stessa fragilità, così come vengono snaturati gli esseri umani del passato strettamente legato ai sopravvissuti. Una ricerca dell’eccesso che calca nello splatter ma che è necessaria per lasciare impresso nella mente l’interrogativo su ciò che veramente dovrebbe definire il concetto di “umano”, costantemente fatto trasparire dall’eccellente scrittura del gioco e dal modo in cui spinge il giocatore stesso a trattarli come pezze da scambiare.

Sopravvivere nel nuovo mondo

La risposta alla domanda – assolutamente personale – passa anche attraverso l’impostazione del gameplay del gioco, il quale serve in tutto e per tutto la tecnica narrativa. Essendo gli otto sopravvissuti capaci di vivere solamente per 13 giorni, passando per tutte le fasi della loro età diventeranno quasi delle armi da buttare via una volta esaurita la loro durata. Un meccanismo su cui si pensa di non avere controllo e su cui non si ha un vero attaccamento morale, rendendo l’utente inconsapevolmente crudele anche solo seguendo i tutorial.

Per quanto ci si muova in mappe tridimensionali in una visuale in prima persona, non c’è quindi mai un vero coinvolgimento come parte integrante del gruppo, proprio perché manca quel fattore identificativo del protagonista che permane a prescindere degli eventi o da impersonare. Tutti possono morire e perciò la prospettiva cambia continuamente nel corso dei capitoli, lasciando intendere che bisogna guardare più all’insieme che al singolo se si vuole attraversare le Rovine in sicurezza.

La sopravvivenza, elemento cruciale nell’impostazione di Zanki Zero, rimane relegata essenzialmente a dei consumabili da utilizzare e a dei parametri da tenere d’occhio. Ciò suggerisce che nonostante l’obiettivo sia “sopravvivere”, tale concetto deve essere paradossalmente accantonato in favore della continua morte. Il messaggio risulta ovvio soprattutto se si guarda alle meccaniche di gioco: quando muoiono i personaggi ottengono importantissimi bonus per potenziarsi, l’età anziana possiede troppi malus per renderla ottimale nelle esplorazioni, morendo si resetta il proprio corpo e si possono ricaricare delle abilità “mutagene” particolari e tanti altri vantaggi di questo stampo. Un dualismo ormai portato all’eccesso e che riverbera in ogni parte di Zanki Zero.

C’è però una profondità notevole nelle meccaniche di gioco nonostante un’apparenza semplice e pulita,. Bisogna tenere conto di molti elementi che appartengono ai singoli individui, alle statistiche generali e all’evoluzione della Base. Il gioco è pur sempre un survival e molte sue funzioni sono legate alla raccolta/elaborazione di oggetti ed ingredienti. Quest’ultimi permettono di costruire o migliorare sia l’equipaggiamento singolo che le strutture presenti nell’isola.

Le strutture vengono poi gestite dai protagonisti a seconda delle abilità che deciderete di affidargli. Se, ad esempio, specializzerete Zen Kubota nella sua vocazione del giardinaggio, troverete ingredienti più in fretta grazie alle abilità uniche in suo possesso. Allo stesso modo, potrete sfruttare tutti gli altri elementi caratteristici di ognuno per ottimizzare i vantaggi delle Abilità. I più importanti sono decisamente legati all’esplorazione e alla longevità della vita: le Rovine presentano tanti piani e a ogni cambio passerà un giorno nel contatore delle vite. Per quanto la navigazione sia spesso troppo punitiva, il limite imposto ha ragione di esistere se lo si può aggirare con la crescita del gruppo.

Fuori dalla parte manageriale, dovrete però scontrarvi con creature e animali mutati in una sorta di turnazione simile al gioco degli scacchi. Sia voi che i nemici potrete fare dei passi in caselle ben precise in orizzontale o in verticale, iniziando una sorta di guerra al posizionamento per attaccare i punti ciechi e non farvi colpire nel mentre. Ogni nemico ha anche delle parti da rompere, punti deboli e altri meccanismi da utilizzare con il sistema di puntamento, sebbene sia poco pratico per l’utilizzo con l’analogico durante le battaglie più concitate.

Per sopravvivere dovrete dunque fare appello a tutta la vostra strategia e capacità organizzativa: Zanki Zero è tremendamente crudele perfino a difficoltà normale e la natura casuale dei nemici nelle Rovine potrebbe creare delle vere e proprie trappole da cui è impossibile fuggire. Bastano pochi colpi – o anche uno solo – per distruggere il vostro intero gruppo di cloni, a meno di non stare giocando con la difficoltà Facile.

Non è pero mai una struttura ingiusta, piuttosto forza il giocatore a migliorare nei propri approcci, a esplorare con cautela senza essere avventato e di sfruttare tutto l’arsenale a disposizione stando attento alle molte armi a doppio taglio di estrema potenza. Si tratta di una bella sfida che regala soddisfazioni a ogni completamento del capitolo, soprattutto perché viene mantenuta l’anima dei puzzle ambientali del genere. Una commistione molto azzeccata che scalza qualsiasi feeling da visual novel espansa, una metodologia fin troppo spesso criticata dal pubblico occidentale.

Oltre l’orizzonte di Zanki Zero

Se l’esplorazione rimane legnosa, l’attenzione ai dettagli estetici compensa egregiamente la scelta di design, regalandoci degli scorci indimenticabili dalla forte impronta autoriale. L’ambientazione lussureggiante dell’isola è essa stessa un’altra rappresentazione della dualità espressa dalla trama: il clima tropicale visibile fin dall’apertura, con le sue spiagge dorate e coste paradisiache, cozzano con gli edifici distrutti ed abbandonati così come il sole perenne fa con le anguste vie delle. I colori vengono usati con saggezza e gli stessi protagonisti subiscono numerose trasformazioni cromatiche in base alla loro età, cambiando tanto nell’originale design quanto nella voce e nel modo di esprimersi.

Mentre da un lato abbiamo un notevole passo avanti nella cura dello scenario, dall’altro rimane intatto lo standard del character design unico dello studio di Danganronpa. La maggior parte dei protagonisti sono atipici sia a livello visivo che in quello caratteriale, con l’attenzione a mantenere integri i vari tratti nel corso dei continui cambi di età. In particolar modo vogliamo sottolineare come i modelli nei dialoghi non siano affatto prefissati, bensì vengono adattati all’età esatta in cui vengono avviati dal giocatore, con tanto di voci e gestualità diverse. Naturalmente ciò non si applica alle poche cutscene completamente disegnate, che comunque sono ugualmente curate.

Ricordandoci che il prodotto in questione nasce più per PlayStation Vita che per l’home console, il motore grafico è estremamente apprezzabile anche su grande schermo, soprattutto da parte di chi è ormai un appassionato dello stile 3D ricalcante il mondo dell’animazione giapponese. Inoltre, sempre per venire incontro al pubblico occidentale, si è voluto a tutti i costi evitare quella staticità tipica dell’impostazione da visual novel con l’utilizzo di modelli dinamici e ricchi di sfaccettature emotive da poter sfruttare all’occorrenza.

A completare il pacchetto estetico c’è un predominante stile retrò che richiama gli elementi grafici dei vecchi Arcade, lasciando che le glorie del passato siano utilizzate per trasmettere la fantascienza inserita all’interno del gioco. Finzione del lato meta-ludico e realtà della sopravvivenza si uniscono in un turbine di icone e suoni adibiti a mettere in “ridicolo” la serietà della situazione, creando quella dissonanza che dona l’aria disturbante all’atmosfera generale. La colonna sonora calca questa corrente componendosi di brani elettronici dalla forte nostalgia, carichi di composizioni classiche rivisitate e pezzi originali di qualità.

Infine, in questa versione è presente sia il doppiaggio originale che quello inglese, proprietario per il mercato occidentale. Soprassedendo sulle censure eventuali dovute dalle costrizioni delle leggi attuali, si tratta di una buonissima opera di traduzione con un doppiaggio molto fedele. Per quanto in giapponese vediamo comparire voci come Hiroaki Hirata (nei panni di Mamoru Ichiyo), non c’è un dislivello così evidente da far preferire l’uno all’altro se non per ragioni soggettive. La localizzazione inglese si attesta su un buon livello, seppure perda diverse battute dell’Extend Tv Show per colpa degli sketch validi solamente nel linguaggio di riferimento.