Inside Out: l'elogio della tristezza che fa la felicità

Inside Out è il nuovo lungometraggio Pixar che trasforma le emozioni in personaggi. Lo psicoterapeuta Nicolò Terminio ne spiega il messaggio positivo.

Avatar di Dario D'Elia

a cura di Dario D'Elia

Non siamo cyborg. Eppure dietro a una tastiera, quando ci esprimiamo su Internet, nei forum, nei commenti è spesso la rabbia a dominare. Un sentimento che sembra avere il controllo su tutto. Tuttavia come spiega a Tom's Hardware il dottor Nicolò Terminio, psicoterapeuta e specialista nel settore delle dipendenze e relazioni famigliari, "bisogna dare cittadinanza a tutte le emozioni, lasciare spazio alla coralità".

Inside Out film 2015
Inside Out - Rabbia, Disgusto, Gioia, Paura e Tristezza

La conversazione con Terminio è nata sull'onda lunga del successo del film "Inside Out". Il lungometraggio Pixar sembra rivolgersi più ai grandi che ai piccoli, anche se la sua lettura superficiale potrebbe essere accomunata a un classico viaggio di avventura.

La storia è quella di una ragazzina che è costretta a trasferirsi con la famiglia in una nuova città. Da qui nasce una crisi. Ora, il cuore del film è rappresentato dalla trasposizione quasi fumettistica di cosa avvenga nella sua mente, dove c'è una sorta di sala di controllo con emozioni al comando. Gioia, Tristezza, Rabbia, Disgusto e Paura si alternano in consolle, influenzando le azioni della bimba e "producendo" di conseguenza effetti che si trasformano in ricordi - poi da allocare nella memoria.

"Si tratta di una rappresentazione della mente, quasi gruppale del mondo emotivo", sottolinea Terminio. "Il tema del film è legato all'elogio della tristezza come forza positiva per la gioia. La vera forza di una persona infatti è la capacità di accogliere ciò che rende tristi".

memoria
Una sfera della memoria

Inside Out è una sorta di romanzo di formazione dove l'iper-felicità della gioia, inizialmente dominante su tutte le altre emozioni, trova poi un equilibrio con il resto e soprattutto la tristezza.

"Per crescere, per essere adatti alla vita è necessario accogliere ciò che ci rende tristi. Non ci rende più deboli. È un pregiudizio culturale quello per cui di fronte alla sofferenza bisogna essere forti. La tristezza è ciò che ci permette di entrare più contatto con gli altri ed essere più in sintonia con ciò che è intorno a noi", ricorda lo psicoterapeuta.

Nel film, il personaggio di Gioa tenta di boicottare i ricordi tristi, come il pianto, con la loro rimozione. Ma questo crea effetti collaterali, perché ad esempio la bambina dimentica i momenti di consolazione dei genitori.

"Non bisogna rimuovere. Questo è in sintonia con il messaggio della psicanalisi che non propone un potenziamento dell'Io, bensì l'essere più performanti su quelle cose che sembrano minacce, ma che in realtà sono emozioni", spiega Terminio.

Ovviamente il film si affida ad artifici narrativi per semplificare le dinamiche della nostra mente, ma paiono dei compromessi accettabili. "Sembra una versione dell'essere umano un po' cyborg con cabina di comando, dove il controllo è in mano alle emozioni. Non viene dedicato spazio alla capacità riflessiva. La parte del pensiero non è rappresentata. Le emozioni parlano tra di loro. Sembrano più tratti di personalità. Immagini dell'Io dove la bambina può identificarsi", aggiunge Terminio.

Ma in fondo rimane un messaggio positivo che sottolinea il rischio della disconnessione delle emozioni dalla persona. È l'equilibrio delle emozioni in gioco, il rapporto relazionale con gli altri, a costruire il nostro percorso adattivo. "Fermo restando il fatto che ognuno di noi ha un equilibrio diverso. Un modo particolare di far funzionare il proprio gruppo di personaggi emotivi", conclude lo specialista.

troll
Che dire dei Troll?

E allora quando la rabbia prende il sopravvento online siamo davvero certi che quello sfogo sia proficuo per mantenerci in asse? Non sarebbe forse meglio riflettere di più, contare fino a 100 prima di scrivere d'impeto cose di cui potremmo pentirci, a mente fredda? Perché non far esprimere anche altre emozioni e cercare empatia? Si chiama "Rete" e non per caso.