American Gods S02, tanta forma ma poca sostanza a schermo

La seconda stagione di American Gods si è conclusa, regalandoci uno spettacolo visivamente meraviglioso da seguire quanto confuso nella sceneggiatura.

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a cura di Andrea Balena

La seconda stagione di American Gods è stata uno dei ritorni televisivi più attesi dagli appassionati, sia per amore dell'opera originale di Neil Gaiman ma anche per amore dell'estetica e stile tipiche del suo ideatore Bryan Fuller. Ma come ho già raccontato nella recensione della première, la situazione dietro le quinte dello show si è da subito complicata con l'abbandono dei creatori e alcuni attori chiave dello show, costringendo chi è rimasto a una lavorazione turbolenta e una riscrittura parziale della storia.

Otto puntate dopo, possiamo tirare le somme sull'attesa continuazione delle avventure di Shadow Moon e Mr. Wednesday e la tanto attesa guerra fra vecchie e nuove divinità, e il risultato non è propriamente dei migliori purtroppo e dimostrando così i grossi problemi che lo show ha affrontato. Dopo la sparatoria della prima puntata ci si aspettava che il conflitto entrasse da subito nel vivo dell'azione, ma ben presto quell'atto drammatico e forte non viene eguagliato da una risposta altrettanto decisa da parte del team dei "buoni", ancora troppo impegnati a risolvere dispute interne prima di fare fronte comune.

L'unica linea narrativa che regge la baracca è infatti la ricerca di Gungnir, la mitica lancia di Odino che dovrebbe capovolgere gli equilibri delle due fazioni. Ma oltre a mostrarci tanti momenti su schermo del sempre fantastico Ian McShane, la missione diventa ben presto un evidente modo per allungare il brodo della sceneggiatura senza mai realmente far progredire la trama. Questo permette a molti dei personaggi secondari di guadagnarsi un po' di minutaggio a schermo - Salim e il Jinn, il cui ruolo è stato notevolmente ampliato rispetto al libro ma mai approfondito - e approfondire molti dei personaggi tramite dei fantastici ma eccessivamente abusati flashback. E per chi ha visto il finale della settima puntata, diviene evidente come Gungnir sia in realtà un enorme e prolungato McGuffin narrativo che si risolve alla fine in una gigantesca perdita di tempo.

Anche la gestione dei personaggi principali ha risentito notevolmente dei problemi della produzione, con molte delle divinità più interessanti relegate a comparse e quelle più fondamentali per l'intreccio a meri ruoli di sfondo. Se alcune trame ed eventi sono stati riscritti e cambiati nettamente per andare incontro alle esigenze produttive (la meravigliosa Media interpretata da Gillian Anderson ora sostituita dalla scialba Kahyun Kim come New Media) la vera confusione sorge con gli stessi protagonisti che vengono tratteggiati poco e male, mantenendo un gioco di ambiguità che arrivati alla fine della visione comincia francamente a infastidire lo spettatore. Per questo suona ancora più strano e paradossale il forte accento posto sull'improbabile coppia inedita fra Mad Sweeney e Laura, che si è notevolmente ampliata dopo le sperimentazioni fatte nella scorsa annata - nel libro i due non si incontrano mai - fino a dei risultati inediti.

In particolare è il personaggio di Sweeney il più interessante e allo stesso tempo controverso della stagione, proprio come è stato espanso rispetto al materiale originale: da essere un "mero" leprecauno, il personaggio di Pablo Schreiber diventa veicolo di una forte critica al riduzionismo con cui un credo religioso osserva e giudica un altro. Quello che nel romanzo di Gaiman e inizialmente anche nella serie veniva unicamente considerato un leprecauno, nella sua puntata dedicata viene svelata la sua origine come re divino del folklore irlandese preistorico, in seguito soppiantato e ridicolizzato dal cristianesimo. Materialmente apprendiamo così come questo cambio di vista del popolo e del pensiero comune si riflette terribilmente sulla psiche del personaggio, manifestazione terrena della fede collettiva, un tassello unico e narrativamente potentissimo dello stratificato world building della serie.

Al netto di una stagione mal gestita e narrativamente filler ci pensa pure il finale che prende per la prima volta una deviazione rispetto a quanto scritto su carta: un improvviso e inaspettato lutto a tradimento cambia radicalmente gli equilibri della guerra, e i Nuovi Dei sferrano un colpo a sorpresa dopo essere rimasti quieti per quasi tutta la stagione. In un epilogo più confuso che mai, tutti i progressi fatti sono stati cancellati e un sentimento di precarietà e confusione generale avvolge tutta la storia, lasciando a bocca asciutta lo spettatore fedele che si aspettava una progressione più omogenea. Riuscirà il nuovo showrunner  Charles Eglee (The Walking Dead, The Shield) a risollevare le sorti di American Gods? Perché ci sarà tanto lavoro da fare.

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