Deep Space Nine: il lato umano di Star Trek

Riscrivere il mito di Star Trek, cambiando le regole del gioco ma mantenendo inalterato lo spirito: la sfida dietro la creazione di Deep Space Nine

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a cura di Manuel Enrico

Parlando di Star Trek, il primo pensiero va inevitabilmente all’Enterprise, astronave simbolo della saga dell’epopea spaziale creata da Gene Roddenberry. Che si tratti del primo vascello visto nella serie classica o la classe Galaxy che ci ha portato a spasso tra le stelle in The Next Generation, per lungo tempo si è associato al concetto di Star Trek l’esplorazione dello spazio, un binomio che legasse il peregrinare nella galassia ad un viaggio emotivo all’interno dell’animo umano. Ma era questa l’unica esplorazione possibile in questo futuro? Si direbbe di no, visto che sulla scia del successo di The Next Generation venne creata una serie che ribaltava alcune linee guida rodate e intoccabili della saga: Star Trek Deep Space Nine.

Rivoluzionare Star Trek

Sin dalla sua genesi, Star Trek era stata ispirata alla narrativa western della frontiera, un elemento essenziale della cultura americana. Roddenberry stesso aveva inizialmente immaginato la sua serie come un incrocio tra la fantascienza classica à la Buck Rogers con le epopee western, partorendo inizialmente come titolo per la sua serie Wagon Trains to the Stars. Questo concept trovò poi una propria definizione nella serie originale di Star Trek, venendo poi mitigato nella successiva The Next Generation.

Quando il successo delle avventure di Picard convinse a espandere l’universo di Star Trek, Brandon Tartikoff decise tornare alle origini del concept del mondo di Star Trek, e nel 1991 propose a Rick Berman un’idea apparentemente rivoluzionaria per la saga: ambientare la serie su una stazione spaziale!

L’ispirazione per questa idea venne a Tartikoff ricordando la serie western americana The Rifleman, popolare negli anni ’60. In questo serial, un ex militare della Guerra di Secessione, alla morte della moglie, trova rifugio in un ranch in Nuovo Messico, iniziando una nuova vita nella frontiera americana.

La proposta di Tartikoff era in linea con lo spirito originario di Roddenberry e, pur rivoluzionando il classico approccio dell’esplorazione itinerante, omaggiava lo spirito della frontiera, che era già stato al centro della serie originale. Berman, colpito da questa intuizione, la sottopose a Michael Piller, assieme al quale decisero di creare questa promettente variazione al canone di Star Trek.

Come spiegò in seguito Robert Hewitt Wolfe, autore di numerose sceneggiature di Star Trek, erano presenti gli elementi classici del western di frontiera

“Avevamo il dottore di campagna, e il barista, e avevamo lo sceriffo e il sindaco, avevamo tutto e tutto era al posto giusto. C’era anche l’uomo comune, Miles O’Brien, e la nativa Americana, Kira”

Inizialmente, la serie non era stata ambientata su una stazione spaziale, ma su una colonia planetaria. A far cambiare idea su questa prima scelta furono i costi, visto che sarebbero levitate le spese per le riprese. Inoltre, pur volendo cambiare in una dimensione più statica la narrazione, si aveva la percezione che i fan di Star Trek avrebbero potuto accettare con maggior apertura una stazione spaziale, dato che si sarebbe mantenuto l’elemento ‘spazio’, al centro dell’anima della serie.

L’utilizzo di una stazione spaziale, inoltre, era visto dai produttori come una necessità. Al momento della nascita di Deep Space Nine, The Next Generation era ancora in programmazione, e si ebbe la sensazione che due serie in contemporanea su un’astronave in viaggio nello spazio non fosse un’idea molto intelligente, come spiegò in seguito Rick Berman

“C’erano due anni di sovrapposizione tra Deep Space Nine e The Next Generation, non potevamo creare un’ulteriore serie ambientata su un’astronave. Sembrava ridicolo avere due serie e due cast che contemporaneamente andassero dove nessun uomo era giunto prima! Deep Space Nine era una serie statica, era una serie fatta per esser ambientata su una stazione spaziale, eravamo davanti ad un concept totalmente diverso”

Esplorare la Federazione

Tra le diverse idee che portarono alla caratterizzazione di Deep Space Nine, si decise di puntare ad un argomento derivato dall’evoluzione della saga di Star Trek: il ruolo della Federazione.

Nella serie originale, la Federazione Unita dei Pianeti era ancora in espansione, l’esplorazione era intrecciata ad una vena espansionistica che portò alla nascita di conflitti con altre potenze spaziali, come i Klingon. Nei film al cinema dell’equipaggio di Kirk, pur mantenendo uno spirito avventuroso e mostrando scontri spaziali, si iniziò a cambiare questa tendenza, con il risultato che a The Next Generation venne consegnata una Federazione meno bellicosa, improntata maggiormente ad uno spirito di dialogo e accettazione.

Per Deep Space Nine si pensò di seguire un’altra strada ancora, portando la Federazione e la Flotta Stellare a confrontarsi con problemi che avessero una diversa origine e un diverso impatto sui personaggi. L’idea di avere come teatro degli eventi una stazione spaziale comportava il dover convivere quotidianamente con le conseguenze di alcune scelte.

Si tratta di un aspetto importante, perché se nelle precedenti serie la continutiy narrativa dinamica consentiva di poter avere ogni settimana una sorta di tabula rasa per i personaggi, su Deep Space Nine i volti erano sempre gli stessi, non si potevano ignorare le ripercussioni degli eventi. Secondo Michael Piller, questa scelta costringeva gli stessi personaggi a vivere le proprie vite in modo completamente diverso rispetto all’equipaggio di un’astronave, come spiegò qualche anno dopo

“Non volevamo un’altra serie sull’esplorazione spaziale. Sentivamo di avere la possibilità di vedere le cose da un’altra prospettiva, guardando più in profondità nella Federazione e nell’universo di Star Trek, semplicemente fermandoci in un punto. E mettendo i protagonisti in una stazione spaziale dove fossero costretti ad affrontare il tipo di situazioni che su un’astronave vengono ignorate. In una serie ambientata su un vascello spaziale, come l’Enterprise, si vive settimana per settimana, non devi mai fermarti e vivere le conseguenze delle tue azioni. Ma focalizzandosi su una stazione spaziale, dai vita ad una serie che si basa sull’impegno. In Deep Space Nine, ogni decisione presa ha ripercussioni anche la settimana seguente. Si tratta di prendersi delle responsabilità per le proprie decisioni, convivere con le conseguenze delle proprie azioni”

Creare una continuity

Questo concetto si sposa con un elemento che all’epoca era ancora agli inizi, nel mondo delle serie TV: la serializzazione, che potremmo paragonare alla continuity del mondo dei fumetti.  Una scelta coraggiosa all’epoca, ma che rendeva complicato agli spettatori seguire grandi eventi interni alla serie, in caso si perdesse una puntata. Oltretutto, Deep Space Nine dovette vincere la concorrenza delle altre serie trekkie in onda nel periodo, The Next Generation prima e Voyager poi, per tutta la sua presenza sulle reti televisive.

In alcune nazioni, come l’Inghilterra, si decise di trasmettere una sola serie di Star Trek alla volta. Scelta disastrosa in un momento in cui il mondo di Gene Roddenberry si stava avviando verso una costruzione di continuità, in cui gli eventi raccontati in una serie trovavano echi nei film al cinema ed in altre serie, costringendo gli spettatori ad avere il quadro completo degli eventi anche con settimane o mesi di ritardo.

Oggi per le serie di Star Trek, come Picard, la serializzazione è ovvia, ma all’epoca fu una vera fida, come ricorda uno dei grandi nomi di Star Trek, Ira Behr

“Il fatto che Discovery e Picard siano serializzate non mi sembra una gran cosa, perché come potrebbero non esserlo nel 2019? Devo esserlo per stare al passo coi tempi, e ora è facile esser serializzati. Grazie a Dio lo so, sarebbe importante parlarne solo se non lo fossero! La serializzazione di Deep Space Nine fu una mossa coraggiosa. Se guardo indietro, all’epoca fui un pazzo, visto che tutti dicevano che la gente non avrebbe capito. La serie era trasmessa in syndication e a orari diversi, ma io non me ne curai. Volevo solo fare il migliore spettacolo possibile. Potevo capire perché alcune persone coinvolte e la produzione avessero la percezione che fosse piuttosto stancante, perché poteva infastidire la fan base, ma in quel periodo io pensavo al futuro. Volevo solo fare la migliore serie che potevamo”

Ed è proprio in Deep Space Nine che compaiono segni marcati di una continuità all’interno della saga di Star Trek. Se nella prima puntata di The Next Generation assistevamo all’arrivo di una vecchia leggenda della serie classica, Leonard ‘Bones’ McCoy, come trait d’union tra le due serie, con Deep Space Nine si va oltre creando un legame ancora più forte.

Facendo eco all’episodio di The Next Generation Il naufrago del passato, si era pensato di far tornare in Deep Space Nine l’attore James Doohan, storico interprete di Montgomery ‘Scotty’ Scott. Allo stesso modo, si era vociferata di un’apparizione di Shatner, ma nessuno dei due ebbe un ruolo all’interno della nuova serie.

Aiutano, in tal senso, i riferimenti ad eventi fondamentali visti in The Next Generation e il ritorno di figure importanti nella precedente serie.

Nelle idee iniziali, si era meditato di inserire uno dei personaggi di maggior interesse di The Next Generation, il tenente Ro Laren. Protagonista di uno dei più intensi episodi della serie, il tenente Ro era stato il primo personaggio bajoriano di Star Trek, capace di inserirsi al meglio nelle dinamiche dell’equipaggio e ottimo modo per introdurre la popolazione bajoriana. La scelta di ambientare la serie nell’orbita di Bajor fu causata proprio dalla centralità che si voleva dare al personaggio di Ro Laren.

Peccato che l’interprete del personaggio, Michelle Forbes, non volle sentirsi vincolata per sei anni ad una serie, eliminando questa chance, che aprì però alla creazione di Kira Nerys, interpretata da Nana Visitor.

In compenso, direttamente dall’Enterprise di Picard venne preso il capo del teletrasporto Miles O’Brien, interpretato da Colm Meaney. La sensazione degli showrunner era che il personaggio di O’Brien meritasse molto di più di un semplice ruolo da capo del teletrasporto, e Deep Space Nine poteva essere la sua occasione per emergere. Una sensazione che venne condivisa anche dall’attore, che si trovò a suo agio con il suo nuovo ruolo a bordo di Terok Nor

“In Next Generation si affrontavano tematiche filosofiche, mentre in Deep Space Nine tendevamo a privilegiare temi che fossero più calzanti con i problemi del mondo contemporaneo. Credo fosse quella la vera differenza, eravamo maggiormente connessi con temi d’attualità, che fossero rilevanti per gli anni ’90, contrariamente a The Next Generation”

Questo adeguamento alla contemporaneità venne adattato alla costruzione della continuità della saga. All’interno di Deep Space Nine si presero elementi che divennero eventi storici fondamentali della saga (come l’invasione dei Borg) e li si resero essenziali per la caratterizzazione della serie. La Battaglia di Wolf 359 divenne, ad esempio, l’elemento centrale della vita di Sisko, con la morte della moglie, e crea una dissonanza con l’altro capitano di Star Trek attivo al momento, Picard.

Allo stesso modo, in Deep Space Nine si costruisce quindi una dimensione più concreta e meno idealistica della Federazione. Contrariamente ad altre serie, vengono messe in mostra anche i lati oscuri della Federazione (come la Sezione 31), e si esplorano tematiche più complesse difficilmente affrontare in precedenza, come la religione (complice la spiritualità dei Bajorani) o le conseguenze meno nobili della guerra, grazie allo scoppio della Guerra del Dominio. Conflitto galattico che ebbe conseguenze anche nel futuro della saga, come si vide in Nemesis.

Nuovi personaggi per una nuova storia

Per dare vita a questa continuità serviva anche un cambio nella gestione dei personaggi. La presenza di protagonisti fissi doveva conciliarsi con un parterre di personaggi ricorrenti, capace di creare una narrazione più ampia e non limitata al singolo episodio. Per ottenere questo effetto fu necessario prendere coscienza dell’ambiente in cui si muovevano i personaggi, cercando di mantenere inalterato l’approccio del mondo di Roddenberry, ma dandogli un maggior spessore sul piano del conflitto emotivo e delle interazioni tra i personaggi, come raccontà Bergman

“Deep Space Nine è una stazione aliena che non funziona nel modo in cui vorremmo, ed in questo già crea dei conflitti tra i personaggi. Allo stesso, il fulcro dei personaggi è composto da ufficiali della Flotta Stellare, come Sisko, Dax, Bashir e O’Brien, che non cambiano nel tipo di rapporto che li lega rispetto ai protagonisti di The Next Generation. Questa era una regola che dovevamo tassativamente rispettare. Quello che volevamo ottenere era un paradosso: rispettare le regole di Gene, infrangendole e inserendo dei conflitti emotivi. Creammo un ambiente in cui gli ufficiali della Flotta Stellare erano costretti a stare controvoglia, e in cui non erano nemmeno ben accetti”

Ottenere questo risultato non fu facile, ma sin dall’inizio si crearono dei conflitti studiati (Sikso e Kira, Odo e Quark) che dessero vita a questa complessa struttura sociale, in modo da segnare uno stacco percepibile rispetto alla vita a bordo di un’astronave della Flotta. Era necessario rispettare, però, rispettare la regola aurea di Gene Roddenberry: non si devono mostrare conflitti tra gli ufficiali della Flotta StellareMichael Piller spiegò molto bene la visione di Roddenberry

“Uno dei nostri obiettivi era creare una serie che avesse più tensioni di The Next Generation. Per farlo, bisognava capire che Roddenberry aveva una visione molto chiara dell’umanità del 24esimo secolo, che portava ad esempio i protagonisti di The Next Generation a trovarsi a proprio agio sull’Enterprise, lasciando poco spazio alla nascita di conflitti personali. Nella nostra serie, voleva creare un ambiente che creasse dei contrasti in modo naturale.  Ecco perché inserimmo numerosi alieni, soprattutto i Bajoriani, considerato che ci trovavamo nel loro spazio. I Bajorani sono molto spirituali e vedo la vita in modo completamente diverso rispetto a come la percepiscono gli umani del 24esimo secolo, portando ad una naturale divergenza di opinioni e modi di agire.”

Una scelta che consentì agli sceneggiatori di presentare Star Trek in un’ottica diversa, dando vita a personaggi che risultassero interpreti di questa voglia di approfondire le dinamiche interpersonali, come ricorda Rick Berman

“Creammo una situazione in cui dove c’erano persone che erano parte del cast principale senza appartenere alla Flotta: il mutaforma capo della sicurezza Odo, il maggiore Kira o il barista Quark. Parte dei nostri personaggi principali non erano quindi ufficiali della Flotta Stellare, e quei protagonisti che lo erano non erano contenti di dove erano assegnati. Ed ecco che avevamo lo nostre tensioni e i nostri conflitti”

Era l’ingrediente essenziale per dare vita ad un contesto sociale solido e dinamico, che si distaccasse in modo netto dalla consuetudine di Star Trek, in particolare da The Next Generation.

Serviva quindi un segno di rottura con la tradizione, ma senza creare un’insanabile frattura con il resto della saga, una sfida che venne per delineata da Joe Menosky, autore di alcune storie della serie

“Si può facilmente vedere che non siamo di fronte agli esseri umani perfettamente costruiti di The Next Generation, in Deep Space Nine sembrano più reali. Non so se si tratti di un’attrattiva per gli spettatori o meno, ma sono sicuramente diversi, e rappresentano un modo diverso di raccontare la storia. E si tratta di una scelta decisa appositamente per dare vita a questi contrarsi emotivi che volevamo”

Verrebbe da chiedersi come queste rivoluzioni fossero percepite da Gene Roddenberry, sempre molto attento a non stravolgere le idee fondanti del suo universo. Contrariamente alla serie originale o a The Next Generation, Roddenberry non fu coinvolto, complice la complicazione delle sue condizioni di salute. Tuttavia, in fase di creazione di Deep Space Nine, Roddenberry fu consultato, come ricorda Rick Berman

“Michael Piller e io discutemmo con Gene quando eravamo ancora nelle prime fasi della lavorazione, ma non senza nulla di concettuale. Non avemmo mai un’occasione di discuterne con Gene. Al momento in cui arrivammo a qualcosa che valesse la pena discutere, Gene non era più in forma o in una condizione che fosse adatta a discutere di questi argomenti. In due occasioni mi trovai a tu per tu a casa sua e cercammo di affrontare l’argomento, ma non era davvero appropriato”

Questo non vuol dire che quanto realizzato in Deep Space Nine fosse contrario ai principi di Roddenberry, ma come precisò il regista Paul Lynch

“La mia sensazione è che Gene avrebbe saltato come un pazzo. Abbiamo realizzato un qualcosa di diverso da ciò che aveva generato Gene, ma penso che lo avrebbe amato anche lui. Anche se differente, Deep Space Nine è anche, in un certo senso, la stessa cosa. Tutti i requisiti morali di Gene sono rispettati in questa serie, se abbiamo fatto qualcosa, abbiamo espanso quello che creato Gene Roddenberry”

Ma per creare un distacco con quanto si conosceva di Star Trek era necessario andare oltre. Si doveva costruire un nuovo mondo.

Costruire una nuova Federazione

Dato il tono narrativo desiderato per Deep Space Nine, era necessario anche un marcato distacco visivo rispetto alle precedenti serie, soprattutto da The Next Generation. L’ambientazione della nuova serie, infatti, non era solo quello di una zona di frontiera, ma al contempo catapultava gli ufficiali della Flotta Stellare in una società, quella bajoriana, che iniziava ad alzare la testa dopo una spietata dominazione aliena, opera dei Cardassiani.

Ecco perché venne richiesto di creare un look più oscuro e cupo, che fosse un eco delle angherie subite dai bajoriani e della loro complessa risalita verso l’indipendenza. Per comprendere le diversità tra le due serie, The Next Generation e Deep Space Nine, il produttore David Livingston rivede nei ponti un segno di contrasto

“Il ponte è un ambiente davvero semplice da riprendere. Quello dell’Enterprise-D è aperto su tre lati, con molto spazio e dall’aria cavernosa. Il ponte Operazioni di Deep Space Nine, invece, è diviso su più livelli, con molte aree compresse e un’illuminazione fatta di contrasti. È più interessante da visualizzare”

Scelta che non venne subito apprezzata dal pubblico, abituato a spazi ampi e dai colori accesi, che si trovarono invece a dovesi muovere in un contesto spigoloso, cupo e simbolo di temi narrativi più astiosi e complicati. Una consapevolezza che non sfuggì a chi lavorava alla serie, come notò Ira Behr a metà della serie stessa

“Nei primi momenti della vita di Deep Space Nine, c’era la sensazione che questo non fosse una seria che sarebbe piaciuta a Gene Roddenberry da parte di alcuni fan, sensazione che era imputata a noi perché ci eravamo allontanati dal futuro come paradiso, perché c’erano troppi conflitti tra i nostri personaggi e la vita non era più così perfetta. Ma credo che Gene, per via della sua natura come creatore, scrittore e persona di aperta mentalità, sapeva che ogni franchise deve continuare ad andare avanti o morire. E credo che lui avrebbe capito cosa stavamo realizzando, che gli sarebbe piaciuto e non credo che Gene avrebbe trovato qualcosa di sbagliato in ciò che stavamo facendo”

Il valore di Deep Space Nine era quindi racchiuso anche in questo aspetto. Gli showrunner avevano compreso come spingersi verso nuove idee, andando a mostrare il lato più oscuro del sogno futuro di Gene Roddenberry. L’evoluzione di Deep Space Nine fu tale che vennero affrontati elementi narrativi finora tenuti lontani da Star Trek, come l’influenza della religione e la perfidia dell’animo umano o la caratterizzazione delle malattie mentali e il lato meno nobile della guerra.

Scontri spaziali

Oltre a scontrarsi con la concorrenza interna di altre serie di Star Trek, Deep Space Nine si scontrò con una nuova serie di fantascienza, Babylon V.

Creata da J. Michael Straczynski, questo serial era stato inizialmente sottoposto alla Paramount, che aveva dato esito negativo, spingendo il creatore di Babylon V verso Warner Bros. La sensazione di Straczynski fu che la creazione di Deep Space Nine, giusto un anno dopo il rifiuto della sua idea, fosse dovuta ad una volontà di riadattare la sua idea.

A voler stemperare la situazione si impegnò la Signora di Star Trek, Majel Barrett-Roddenbery, che acconsentì di apparire in Babylon V come gesto distensivo, dopo che altri attori di Star Trek (come Koenig e Katsulas) erano apparsi nella serie di fantascienza di Straczynski. Ad onor del vero, Bergman minimizzò questa rivalità come una questione di fandom

“Ci fu momento in cui non ricordo se Straczynski o qualcuno del suo entourage alluse al fatto che aveva presentato un’idea simile a Deep Space Nine alla Paramount, e che venne respinta, salvo un anno dopo vedere realizzare Deep Space Nine. L’allusione era che io e Piller avessimo in qualche modo rubato parte della sua idea, ipotesi ridicola che ci fece sorridere perché totalmente falsa”

L'importanza di Deep Space Nine

Per comprendere l’importanza di Deep Space Nine è sufficiente ricordare quanto disse il produttore e sceneggiatore della serie, Ronald D. Moore

“Mi piacerebbe che venissimo ricordati come la stire Trek che ha osato essere differente. Prendemmo rischi in un franchise che aveva tutti i motivi per giocare sul sicuro e continuare a dare agli spettatori la stessa storia settimana dopo settimana. Sfidammo i personaggi, gli spettatori e lo stesso universo di Star Trek. A volte abbiamo fallito, anche in modo spettacolare, ma non abbiamo mai spesso di provare a spingere la serie in nuove direzioni”

Non è forse questo il vero spirito di Star Trek, ossia andare là dove nessun uomo è mai giunto prima?

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