Girl from the Other Side, recensione: il dolce mostro di Nagabe

Pubblicato in Italia da J-Pop, Girl from the Other Side è un manga seinen profondo e toccante, in cui il rapporto con il diverso è al centro di un rapporto surreale, ma empatico e toccante.

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a cura di Raffaele Giasi

Senior Editor

Pubblicato originariamente dalla casa editrice nipponica Mag Garden, la cui linea editoriale è caratterizzata da opere spesso controcorrente, dal tratto distintivo e dal forte impatto visivo, The Girl from the Other Side arriva finalmente anche in Italia, ad opera di J-Pop, come del resto era stato annunciato nel corso dello scorso Lucca Comics & Games.

Scritto e disegnato da Nagabe, un artista emergente dallo stile spiccatamente europeo, Girl from the Other Side è un seinen che non maschera affatto la sua volontà di prendersi il tempo che gli serve, incedendo con un ritmo lento e pacato praticamente per buona parte del primo volume.

È un male? No, in questo specifico caso non lo è. Perché a dispetto di quel che si creda, il racconto avvolge con la sua pacatezza il lettore, conducendolo a piccoli passi in quello che è un mondo che, sin da subito, appare molto più complesso di quanto non sembri. Il merito, senza dubbio, è innanzitutto delle qualità artistiche di Nagabe, la cui fascinazione per il folclore europeo appare sin da subito evidente, così come è forte l'influenza dello stile illustrativo del Vecchio Continente, ed in particolare per lo stile gotico e vittoriano.

Girl from the Other Side è fondamentalmente una dark novel, le cui succitate ispirazioni si ripercuotono anche sull'ambientazione e lo stile dei personaggi, che sembrano vivere in una realtà alternativa alla nostra, in un'epoca a metà tra il medievaleggiante e il vittoriano, il tutto con un tratto spiccatamente dark fantasy.

La storia è quella di un mostro e di una bambina, Maestro e Shiva. Lui è una creatura dall'aspetto caprino ma elegante, contraddistinta da due lunghe corna sul capo ed un manto nero come la notte. Shiva è invece una bambina piccola e dolce, i cui vestiti e colore della pelle sono di un bianco pallido, quasi scintillante, a netto contrasto con quello che è il mondo che la circonda che, vittima di una antica maledizione, ha diviso gli esseri viventi in due fazioni distinte: umani ed estranei, separati da un muro che tiene i primi al sicuro dei secondi.

Gli estranei, la razza di creature di cui fa parte Maestro, capiamo essere null'altro che ex-umani tramutatisi per la maledizione, la cui diffusione avviene tramite il tocco. Basta che un essere umano sia toccato da un mostro, che questi comincerà subito la sua lenta trasformazione. Qui si snoda il primo fulcro dello strano rapporto tra la bambina e Maestro, con il secondo che è ancora pienamente cosciente di quella che era la sua umanità, tanto da comportarsi in modo gentile, educato, elegante e raffinato.

All'inizio della storia non sappiamo perché Shiva sia insieme al mostro, né perché non sia invece al di la del muro insieme agli altri umani sopravvissuti al contagio, eppure tra i due c'è un rapporto amorevole, quasi familiare, le cui piccole abitudini sembrano tenera a bada la noia di entrambi, in quelli che sono attimi quotidiani di serenità.

Capiamo da subito che tra i due sussiste affetto, ed è toccante leggere di come i due cerchino di farsi forza a vicenda pur consci di non poter condividere una carezza, un abbraccio o un momento di delicata tenerezza. Shiva del resto è una bambina molto piccola, idealmente attorno ai 10 anni, forse meno, e in quanto tale cerca quelle sicurezze che sono proprie della sua età, e che trovano risposta nelle figure adulte tipiche del contesto familiare. La bambina però è sola, e conta sul “mostro” come supporto e conforto alla situazione che la circonda, in cui regna il silenzio ed una innaturale solitudine.

La bambina comprende a malapena cosa sta succedendo, e ne ha una vaga idea data dalla conoscenza di alcuni racconti popolari. Per questo il modo in cui vede il mondo è del tutto innocente, e proprio per questo non riconosce in Maestro un mostro, andando oltre il suo aspetto e il suo carattere schivo.

Non si fatica a capire il perché del successo di The Girl from the Other Side. Nagabe confeziona un'opera che fonde bellezza e orrore, tenerezza e terrore, morte e amore in un solo racconto. Lo stile è del tutto nuovo e dissimile dal più comune manga nipponico, anche all'interno del circuito più maturo dei seinen, ed anzi proprio per quanto riguarda il mercato italiano, sembra di vedere un'opera dell'artista Loputyn, il cui stile non è affatto dissimile da quello usato da Nagabe.

L'autore si diverte a riempire il lettore di interrogativi: in primis sull'identità dei suoi due protagonisti, così diversi eppure così simili nella loro solitudine, e nella loro ricerca di una quasi dimenticata serenità, che si esprime attraverso la tenerezza di piccoli gesti, di piccoli momenti di godurioso affetto, che sia una colazione o un té all'aperto, mentre attorno il mondo crolla, forse si disintegra per la paura del diverso.

Un'eco forte, che non cerca per forza un riferimento sociale, o se vogliamo politico, ma che si esprime attraverso il tema più vecchio e caro della letteratura mondiale: la paura del diverso. L'accettazione dell'altro, finanche la ricerca di sé stessi non sono temi nuovi, ma Nagabe crea un'opera così toccante ed empatica, che è impossibile non restarne affascinati.

Il primo numero, introduttivo ovviamente, e più ricco di domande che di risposte, eppure scorre in modo liscio, senza incertezze, chiudendosi con un climax che apre nel lettore la voglia (probabilmente già forte) di leggere di più e subito.

Il tratto, infine, è preciso, pulito e pone i personaggi su sfondi spesso vuoti, circondati solo dalla profondità del bianco o dalla cupa pienezza del nero carbone, in celle che mettono in costante contrasto il bianco e il nero, il buio e la luce, il bene e il male. C'è qualcosa che si nasconde nel mondo di The Girl from the other Side, ed è qualcosa di indecifrabile, forse terribile, forse no. Un pensiero che si esprime in modo avvolgente tramite le tavole dell'autore, che nella sua semplicità riesce a confezionare un disegno semplice ma ricercato, ricco ma mai troppo pesante.