Il simbolismo de Il Gobbo di Notre Dame per Walt Disney

Nel 1996 arriva al cinema Il Gobbo di Notre Dame, il Classico più cupo e oscuro realizzato dalla Walt Disney Pictures e una perla del Rinascimento.

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a cura di Mario Petillo

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Abbiamo già accennato in un nostro precedente approfondimento: "Walt Disney tra la Corazzata Potëmkin e Sergej Ejzenstejn"  un’immagine che era rimasta ben impressa nella testa di Sergej Ejzenstejn, il regista de La Corazzata Potemkin. L’artista russo aveva memorizzato un momento che arrivava dalla più famosa opera di Victor Hugo, Notre Dame de Paris. La zingara Esmeralda si avvicina a Quasimodo, messo alla gogna dal popolo durante la festa dei folli, e prova a donargli sollievo con dell’acqua, poggiando poi le sue labbra sul volto del gobbo. Questa scena, nel 1996, è stata fedelmente riprodotta nel Classico Disney de Il Gobbo di Notre Dame, uno dei più oscuri e conturbanti film realizzati dalla Walt Disney Pictures, non solo dopo la morte di Walt Disney, ma nell’intera produzione. Quest’oggi, quindi, nel testo che arriva direttamente dalla terza puntata di Ho ucciso io Mufasa affrontiamo il simbolismo che si nasconde dietro la straziante storia di Quasimodo.

La genesi del Classico

La nascita de Il Gobbo di Notre Dame non è così immediata e facile come si potrebbe pensare: per quanto sia stato uno dei più importanti romanzi della letteratura dell’Ottocento francese ed europea, originariamente l’opera di Victor Hugo non venne presa in considerazione da Jeffrey Katzenberg. A quest'ultimo venne fatta una proposta ben diversa da Gary Trouslade, che veniva da diversi mesi di lavorazione sugli storyboard de Il Re Leone. Trouslade, insieme a Kirk Wise, propose di mettersi al lavoro su un film d’animazione basato sul mito di Orfeo, l’artista per eccellenza, la divinità delle arti nonché un eroe in grado di prendere parte alla spedizione degli Argonauti e poi cadere vittima della tragica vicenda d’amore che lo vide perire nel tentativo di recuperare dagli inferi la moglie Euridice. Trouslade e Wise lo avrebbero intitolato “A Song of the Sea”, con protagonista una megattera nei panni di Orfeo.

Il loro lavoro, però, venne bruscamente interrotto da Katzenberg, che decise di abortire il progetto, dopo il suggerimento di David Stainton, e di spostare la coppia al lavoro sulla storia scritta da Victor Hugo. Il film entrò così in produzione nel 1993, con il supporto ovviamente di Alan Menken, il vero mattatore del Rinascimento Disney. L’intera produzione si recò a Parigi per dieci giorni, tre dei quali servirono per studiare Notre Dame, tra passaggi segreti e camere nascoste. Wise e Trouslade ebbero l’occasione anche di visitare il Palazzo di Giustizia e la Corte dei miracoli, o meglio il luogo dove sarebbe sorta. Le risorse, d’altronde, lo permisero e si notò la differenza con Pinocchio, che nel 1938 era stato realizzato basandosi soltanto su ipotesi di come fosse l’Italia di quel tempo, senza poterla visitare.

Il nuovo Claude Frollo

La sceneggiatura venne affidata a Tab Murphy che subito prese delle decisioni ben precise: diede maggior respiro a Febo, rendendolo un cavaliere senza macchia e costruendo un triangolo amoroso con Quasimodo ed Esmeralda. Vennero rimossi alcuni personaggi del romanzo e i gargoyle divennero le spalle comiche del Gobbo, in pieno stile degli archetipi del Rinascimento Disney. Allo stesso tempo Claude Frollo abbandonò il ruolo di arcidiacono per vestire quelli di un giudice, così da evitare di mostrare un uomo di chiesa malvagio. Per poter realizzare il personaggio di Frollo Wise decise di ispirarsi alla Confederazione del Sud e alla Germania nazista: di riferimento fu anche l’interpretazione di Ralph Fiennes in Schindler’s List, nel quale interpreta Amon Goth, un uomo che uccide gli ebrei ma che desidera di poter portare a letto la sua serva ebrea.

La contraddizione di Frollo è la medesima: desidera la morte della zingara Esmeralda, ma fino all’ultimo secondo le suggerisce che l’unico modo per salvarsi dal rogo è quello di concedersi a lui. La risposta della gitana è uno sputo, vanificando anche la bellissima preghiera che Frollo, a metà del film, aveva rivolto alla Vergine Maria. Alan Menken decise di intitolarla “Hellfire”, ovvero Fuoco d’Inferno, e nel testo e nella composizione raggiunse la solennità che mai aveva toccato con i suoi testi.

Hellfire si apre con la lirica latina del Confiteor, una preghiera penitenziale che al suo interno comprende anche la famosa locuzione latina del “mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa”. Il testo della preghiera mette in chiara dicotomia la lussuria di Frollo con la penitenza che i preti di Notre Dame stanno recitando e mettendo in scena. Frollo, invece, non è per niente dispiaciuto per la sua lussuria e sebbene inizialmente sia pronto a incolpare gli altri per la sua angoscia, nel procedere della canzone inonda l’intera stanza con i suoi sentimenti in un crescendo tra demoni e pensieri interiori che vengono esposti al fuoco.

Nel momento in cui poi scopre che Esmeralda è fuggita dalla chiesa, all’interno della quale Frollo era convinto di averla imprigionata, il giudice implora la Vergine Maria: “Le fiamme oppure mia”, le dice, con riferimento a Esmeralda, che non a caso sul finire del film si ritrova proprio sul rogo, perché non ha accettato di soddisfare la lussuria di un uomo rancoroso e razzista. Nel testo originale, tra l’altro, Menken aveva volutamente inserire un riferimento al diavolo, mettendo nella bocca di Frollo l’affermazione che Dio ha fatto il diavolo molto più forte dell’uomo. Nell’adattamento italiano, invece, si parla solo di un forte desiderio che la zingara Esmeralda possa essere sua. Una delle tante edulcorazioni che la localizzazione italiana ha preteso nell’adattamento dei vari Classici Disney.

Tra le fiamme e il rogo

Ma non è questo l’unico simbolismo di cui si rende protagonista Frollo: sul finale del film, il giudice si ritrova in piedi su uno dei gargoyle esterni di Notre Dame e alzando sopra la sua testa la spada, pronta a cadere sulla testa di Quasimodo, il giudice recita una formula memorabile, ma tremendamente ironiche: “Egli castigherà i perversi e li precipiterà in una voragine di fuoco”, dice Frollo, in un originale e arcaico utilizzo del verbo “precipitare”. Chiaramente Frollo identifica in Quasimodo ed Esmeralda i perversi, che dovranno essere precipitati nel fuoco che è stato appiccato nella piazza di Notre Dame: sarà lui, però, che cadrà tra le fiamme, perché è Notre Dame a identificarlo come perverso e quindi dare compimento della sua profezia. La morte di Frollo quindi avviene con una caduta nell’inferno, spingendolo in quell’oblio nel quale avrebbe voluto lui, all’inizio della storia, far precipitare Quasimodo dopo averlo strappato dalle mani della madre, morta sul pavé di Notre Dame.

Il Gobbo di Notre Dame ridisegnò il dramma di Victor Hugo, cambiandone non solo il finale, ma anche in alcuni punti lo svolgimento. Eppure la critica ne esaltò le immagini forti, i temi cupi e anche il messaggio di tolleranza che bisognava sposare in contrasto con le azioni di Frollo, che rappresentava a tutti gli effetti un antagonista sociale di attualità, tanto nel 1996 quanto nel 2020. Una storia emozionante, che mancava dai tempi de La Bella e La Bestia e che con le sue canzoni, scritte dal solito Alan Menken, era riuscito a trasmettere inquietudine, ma anche gioia, soprattutto nella versione italiana, nella quale a doppiare Quasimodo c’era la voce di Massimo Ranieri, sia nelle parti cantate che recitate.

A oggi possiamo sicuramente dire che Il Gobbo di Notre Dame è la pellicola più cupa della Disney, pregno di tensione razziale, bigottismo religioso e anche isteria di massa nel cercare di contrastare tutti gli zingari e la corte dei miracoli. Kirk Wise sapeva che non avrebbe mai potuto replicare il finale del romanzo di Victor Hugo, nel quale tutti muoiono, e la sfida più grande fu quella di mantenere fedele la trama, ma apportando le dovute modifiche per proporre la pellicola a un pubblico giovane, di bambini. Perché d’altronde questo faceva la Walt Disney, anche se quella volta far comprendere precisamente il messaggio a tutti non fu facile. Il Gobbo di Notre Dame per questo è un film che andrebbe visto in età avanzata, quando si è abbastanza maturi per comprendere il peccato di lussuria, il disagio che nasce dall’odio razziale.

I temi cupi e oscuri di Trouslade e Wise

Tra l’infanticidio che Frollo prova nei primi minuti del film, la lussuria della quale abbiamo già ampiamente parlato, il peccato e la dannazione, il Gobbo di Notre Dame andò a toccare anche temi come la condanna dell’aborto, l’eutanasia che Frollo avrebbe voluto compiere più volte nei confronti di Quasimodo, il razzismo e anche la resistenza morale al genocidio. Fu e tutt’oggi è l’unico cartone interamente incentrato sulla religione, basandosi su quel periodo precedente alla riforma del cattolicesimo. Tante sono le problematiche che il team di sviluppo ha dovuto affrontare con le tematiche religiose: il nome di Dio viene avvicinato con uno zelo quasi ebraico, ma anche in un modo pio e puritano, invocandolo per ottenere una catarsi e una redenzione dai peccati.

Quasimodo, dal suo lato, è il simbolo di un angelo nel corpo di un diavolo: intrappolato nel cielo sopra le strade sporche di Parigi, che viene vista come l’inferno, all’interno del quale precipita durante la festa dei folli, finendo alla gogna del popolo. Lo stesso alfabeto che il Gobbo recita quotidianamente come rituale con Frollo, suo mentore, riflette la visione del mondo che il giudice gli ha trasmesso, piena di abominazioni e di blasfemia. Deforme, brutto, un mostro e un reietto: le cattiverie di Frollo si manifestano anche nell’affidare a Quasimodo questi aggettivi. Ma come Clopin più volte racconta, in quel meraviglioso doppiaggio di Carlo Ragone, che apre e chiude l’intera narrazione con Le Campane di Notre Dame e la rispettiva Reprise, “chi può decidere un mostro cos’è?” E soprattutto “Frollo che vedeva il male in ogni cosa tranne che in lui”.

Il Gobbo di Notre Dame sarebbe dovuto uscire durante il Natale del 1995, ma dopo aver terminato la lavorazione, Jeffrey Katzenberg abbandonò la Walt Disney Pictures per andare a fondare la DreamWorks con Steven Spielberg, costringendo la produzione a rinviare la distribuzione del film fino a un anno dopo in Italia, mentre negli Stati Uniti uscì nel giugno del 1996. Fu il quinto maggiore incasso di quell’anno, con 325 milioni di dollari in tutto il mondo, a fronte di 100 spesi. Più di quanto avrebbe fatto Space Jam un anno dopo e dietro solo a Indipendence Day, Mission Impossible, The Rock e Twister.

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