Uncharted, recensione del film dedicato alla saga di Nathan Drake

Tom Holland è Nathan Drake in Uncharted, pellicola che adatta per il grande schermo la celebre saga videoludica.

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a cura di Lorenzo Quadrini

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Uncharted sta per arrivare nelle sale italiane (17 febbraio), portando con sé grande attesa da parte sia dei fan videoludici di vecchia data sia dei più recenti, complice anche una produzione travagliata fatta di rinvii, cambi di direzione e di sceneggiatura iniziati nel lontano 2008 per poi concludersi solo a partire dal 2017, anno in cui è stato confermato Tom Holland come protagonista. Il film si basa sulla notissima saga videoludica di Uncharted, partita con Uncharted: Drake’s Fortune (2007, Playstation 3) e proseguita con grande fortuna fino ai giorni nostri: potete acquistare Uncharted: The Nathan Drake Collection per PlayStation 4 su Amazon

Uncharted: una sceneggiatura zoppicante

Per sintetizzare al massimo di cosa tratti Uncharted, e cosa viene apprezzato di più dagli appassionati, si potrebbe azzardare un accostamento con Tomb Raider, pur con evidenti differenze. La saga segue le avventure di un cacciatore di tesori un po’ guascone ma dal cuore d’oro, Nathan Drake, il quale afferma di vantare una discendenza diretta con il celebre e realmente esistito Francis Drake. Nathan fa coppia fissa con un altro esploratore, il quale rivela nel corso del tempo una natura quasi paterna per il nostro eroe: Victor Sullivan (Mark Wahlberg nel film). Punti forti dei videogiochi risultano essere le incredibili ambientazioni, che vanno dalle giungle pluviali ai monti tibetani, offrendo sempre un grande impatto visivo e ricostruzioni tanto improbabili quanto coinvolgenti. A questo si aggiunge l’aspetto più fantasioso ed avventuroso dei titoli, che offrono sempre ricostruzioni storiche alternative, basate sovente sul disvelamento di misteri, società occulte, antichi segreti da rivelare, marchingegni ed enigmi da risolvere e via discorrendo, il tutto condito con una narrazione frenetica ed un ritmo solido e coinvolgente. Il risultato finale è un mix esplosivo che ricorda tante opere affini, dal già citato Tomb Raider, fino alle fatiche letterarie di Dan Brown.

Il film insomma si trascina dietro un fardello pesantissimo, complice anche l’accoglienza quasi sempre entusiastica di critica e pubblico nei confronti della controparte videoludica. Purtroppo possiamo dire sin da ora che le aspettative sono state tradite, almeno in parte, pur non trovandoci davanti ad un film inguardabile. Innanzitutto la trama della pellicola, che in prospettiva di lanciare probabilmente una vera e propria serie si concentra sulle origini di Nathan Drake, prende un ritmo forsennato sin da subito, costruendo il personaggio principale in maniera abbastanza raffazzonata. Il percorso di crescita dell’eroe ne risulta quindi forzato e fin troppo velocizzato.

Senza troppi spoiler, Nathan è un orfano il cui unico nucleo familiare è composto da un fratello maggiore, appassionato anch’egli di storia e leggende. Abbandonato apparentemente anche da quest’ultimo, Drake si ritrova a sopravvivere come barman (ed abile ladruncolo), fino all’incontro con Sullivan, partner in affari del fratello maggiore e coinvolto in una caccia al tesoro che lo vede rivale con due immancabili cattivoni: il ricchissimo Moncada (Antonio Banderas) e la mercenaria Braddock (Tati Gabrielle).

Moncada vuole per sé due croci d’oro, cimeli di famiglia e, segretamente, chiavi per accedere ad un enorme quantitativo d’oro rubato dalla ciurma di Magellano proprio alla famiglia Moncada. Ovviamente l’occasione è ghiotta anche per Sullivan, che lavorava sul “colpo” proprio con il maggiore dei due Drake. Scomparso questo, per Victor non rimane che rivolgersi a Nathan, il quale si imbarcherà in questa avventura con lo scopo ultimo di capire quale sia stato il destino del suo familiare. Da segnalare anche la presenza del noto personaggio di Chloe Frazer (Sophie Ali).

La trama sopra esposta non si allontana poi tanto da quelli che sono gli stilemi classici della saga videoludica: una storia certo di pura fantasia, ma ben confezionata all’interno di quei miti e leggende che molto spesso si accostano all’epoca delle grandi esplorazioni. Manca però il mordente, mancano moventi più complessi e più introspettivi di una semplice caccia al tesoro, soprattutto se inseriti in un contesto di crescita e di introduzione dei personaggi. Ancora, le linee di battuta spesso escono fuori lente e poco accattivanti, sia nei momenti di pathos che nei momenti più leggeri e simpatici, che sono un marchio distintivo di Uncharted e che però non esplodono nel momento di trasporre la stessa irriverente comicità sugli schermi cinematografici.

E se il duo Wahlberg/Holland funziona molto bene, grazie ad un casting azzeccato, il primo da sempre storico punto di riferimento degli action, il secondo ragazzo prodigio un po’ ingenuo, un po’ sbruffone, gli antagonisti non emergono mai. Banderas viene relegato a comparsa di lusso, con un minutaggio ridicolo e nessun background degno di nota; Braddock invece cerca di prendere la scena nel finale, ma il suo crescendo di avidità e malvagità (pur se retto da una prestazione discreta della Gabrielle) è poco plausibile e poco coerente.

Uncharted: azione senza fronzoli

Uncharted, come già detto in apertura, è una saga nota per le trame arzigogolate e per le ambientazioni mozzafiato. Esaminata la trama, che non brilla, si passa quindi a quella che è la resa visiva del racconto. In questo caso, ovviamente, le cose si fanno più interessanti. D’altronde si parla di una produzione da 120 milioni di dollari, con alla regia lo stesso Ruben Fleischer del primo Venom (nonché Gangster Squad e Zombieland). Le scene di azione, soprattutto quelle urbane, sono veloci e coinvolgenti, con dei combattimenti frenetici al punto giusto, che però riescono a far gustare a pieno l’evolversi degli eventi.

La fotografia cerca in tutti i modi di restituire lo stesso feedback che prova il giocatore pad alla mano, con luci caldissime che fanno da contraltare al buio dei tunnel sotterranei e dei momenti più misteriosi ed esplorativi. Da apprezzare anche l’utilizzo non eccessivo, ma presente, della prima persona, con un chiaro rimando a quello che è il mondo videoludico e la controparte più “immersiva” della saga (nonostante Uncharted abbia un punto di vista in terza persona).

Le location sono belle e le scenografie “archeologiche” sempre di impatto. Purtroppo però si sente anche la necessità (non richiesta) di strafare, tanto da arrivare verso l’ultimo quarto della pellicola a delle situazioni improponibili anche per un film di avventura così rumoroso e confusionario. Rivelarle sarebbe sostanzialmente uno spoiler, ma siamo sicuri che lo spettatore capirà , una volta visto il film, delle scene di cui stiamo parlando.

In conclusione

Uncharted è un film che non osa neanche un po’, e questo si rivela il suo più grande errore. Non parliamo di una brutta pellicola e sicuramente il pubblico apprezzerà un po’ di divertimento senza pretese. Certo però il personaggio di Nathan Drake poteva ricevere maggiore attenzione in fase di scrittura, e bisogna segnalare che tanti altri film di genere analogo riescono meglio e con presupposti molto più semplici. Bisogna capire che questa mancanza di coraggio può essere dettata anche dalla paura di scontentare il pubblico, cosa che sarebbe potuta succedere con scelte di caratterizzazione più drastiche.

Purtroppo la scelta di riproporre, quasi su carta velina, quanto visto nei videogiochi non è propriamente vincente: Uncharted non riesce a restituire le stesse sensazioni della console e manca di carattere. Rimane comunque un film godibile, con l’augurio che un eventuale sequel si ponga con maggiore originalità, soprattutto in fase di scrittura.