Ann Leckie – Trilogia Imperial Radch: recensione, la giustizia, la spada e la misericordia.

La Trilogia Imperial Radch è la raccolta dei tre più famosi romanzi della talentuosa scrittrice americana Ann Leckie. Tre romanzi: Justice, Sword e Mercy, che ci immergono in una meravigliosa estemporanea fantascientifica che trae ispirazione dal passato per guardare al futuro.

Avatar di Stefano Cappuccelli

a cura di Stefano Cappuccelli

Per buona grazia di Mondadori, su Oscar Vault viene pubblicata in un unico volume formato Titan, l’intera Trilogia Imperial Radch firmata da Ann Leckie: Ancillary Justice, Ancillary Sword e Ancillary Mercy.

Partiamo da un assunto: la Leckie è incredibilmente brava. Ed è obbligatorio denotarlo unicamente da questa trilogia, visto che l’autrice di Toledo ha in attivo appena quattro romanzi; biblioteca contenuta se paragonata ad alcuni romanzieri alfieri della sci-fi con oltre cinquecento lavori pubblicati. Ciononostante il tocco da autrice consumata c’è ed è osservabile sin dalle prime battute del primo romanzo. Leggere per credere.

Sinossi.

“Su un lontanissimo pianeta coperto di ghiaccio, Breq sta per recuperare l'oggetto di cui è in cerca da tempo - un prezioso manufatto costruito dall'inconoscibile e temutissima specie aliena Presger -, quando si imbatte in un corpo semiassiderato nella neve: è Seivarden Vendaai, una persona che Breq credeva morta da mille anni. Perché Breq non è ciò che sembra: diciannove anni, tre mesi e una settimana prima di quel giorno era la "Justice of Toren", una gigantesca astronave da trasporto truppe in orbita attorno al pianeta Shis'urna insieme alle sorelle "Sword" e "Mercy". Come tutte le navi dell'impero Radchaai, la "Justice" è un'intelligenza artificiale che controlla ancelle umane. Ma ora la "Justice" è stata distrutta e della sua coscienza pensante è rimasto solo un frammento: Breq. Chi l'ha devastata ha portato via tutto ciò che le era più caro; solo due cose le rimangono: un fragile corpo umano nel quale sta imparando a nascondersi e un'inesauribile sete di vendetta. Il suo obiettivo è Anaander Mianaai, Lord del Radch, la creatura semi-immortale che da tremila anni detiene il potere assoluto sull'impero grazie alle sue migliaia di corpi interconnessi.”

Analisi

Parto dicendo che ho sempre una certa soddisfazione nel leggere opere sci-fi concepite da donne. Sarà per via della mia grande affezione per Ursula Le Guin e i suoi mondi fantastici, non saprei, quello che so è che sono rimasto piacevolmente galvanizzato dalla narrazione della Leckie, che nel plasmare il suo palcoscenico, ha tributato la grande platea sci-fi che da oltre settant’anni ci strega e fa sognare. Il retaggio della Le Guin, così come di altri grandi nomi è palese, d’altronde oggi è stilisticamente impossibile trattare una tematica fantastica senza inciampare nell’idea che un Isaac Asimov o un Philip Farmer hanno plasmato decenni fa. Un vero e proprio retaggio artistico-culturale.

Tuttavia, Ann Leckie nel saper trarre ispirazione dai canoni, riesce ugualmente a edificare un setting originale e quindi autentico. Questo è filologicamente riconducibile alla Space Opera, ma presenta contaminazioni provenienti quasi da ogni angolo del fantascientifico: dal Hard Sci-fi alla Sci-fi Post-Umana. Un insieme di sfumature che contribuiscono ad avvalorare un racconto solido e decisamente declinato al Sense of Wonder. Ciò che risulta particolarmente interessante, è la veicolazione di alcuni grandi elementi sci-fi attraverso nuovi concept creati ad hoc dall’autrice. Nel romanzo infatti ritroveremo l’ormai classica forma di istituzione di stampo imperialista, il Radch, che colonizza e civilizza mondi – espediente a dir poco abusato –, eppure, attraverso questo particolare piuttosto famigliare, la Leckie riesce ugualmente a proporci argomenti freschi e nuovi, come I.A inserite all’interno di corpi biologici (tematica non prettamente originale, ma decisamente meno inflazionata della precedente).

Nel suo insieme le tre storie, seppur divergenti per ritmica, propongono uno stile di scrittura piuttosto omogeneo. Gli intrecci sono comprensibili ma non didascalici, permettendo così al lettore di potersi muovere nel racconto senza eccessive difficoltà; mantenendo al contempo inalterato un registro di testo mai banale. Proprio il registro si presenta in ottima forma, optando per una scrittura di buona assimilazione, esente da potenziali voli pindarici che ahimè molti autori compiono nel tentativo di rendere “desueto” il proprio linguaggio. Ann Leckie risulta inoltre piuttosto brava nel world building, ossia quel processo di costruzione stilistica non solo dell’ambiente, ma anche degli elementi che lo compongono. I design dei vascelli per esempio, richiamano una certa scuola manierista, che però non risulta mai indigesta, anzi, instilla un buon senso di appagamento; come se quelle forme e geometrie rispondessero a quella sempre irrefrenabile voglia di fantascienza.

Oppure questo mondo subissato dal ghiaccio, che nella sua estremità, riesce comunque a esercitare un grande senso di stupore. Decisamente meno manierista è la scelta dell’autrice di annullare la distinzione fra sessi, o meglio dire, nella società da lei creata, non occorrono distinzioni di genere. Una caratteristica assai singolare, che se a un primo sguardo potrebbe generare confusione, non appena si esce dalla fase di rodaggio (le prime cinquanta pagine), questa diviene una vera e propria caratteristica di forza; in quanto conferisce ai lettori la possibilità di poter compiere vere e proprie astrazioni, immaginando la razza dei Radchaai attraverso i propri gusti somatici. Non è cosa da poco. Di qualità è anche la costruzione dei dialoghi, nonché la grande chimera di molti autori. Imbastire un dialogo, seppur banale e colloquiale, non è mai impresa facile. Spesso molti autori, in particolar modo i meno pratici, commettono l’errore – più o meno lieve – di accentuare quella parte del metodo narrativo, che racconta anziché mostrare. Badiamo bene va bene anche raccontare, a patto che questo non si riduca a una compilazione di nomi, cose ed eventi. Chi eccede in questa formula, riscontra di norma una certa difficoltà a costruire un dialogo che sia ricco, non solo di una buona varietà grammaticale, ma anche da quell’insieme di cariche emotive imprescindibili per incantare il lettore; dote che Ann Leckie possiede, e il palmares in suo possesso lo dimostra ampiamente: dai due più grandi riconoscimenti di critica e pubblico, ossia lo Hugo e il Nebula, al premio Arthur C. Clarke e Locus (che premia il miglior esordiente).

Conclusioni

Questa Trilogia Imperial Radch in grandissimo formato risulta essere un’ottima prova d’autore. Ann Leckie si continua a dimostrare una scrittrice di grande polso e dalla genuina creatività. Al di là di qualche passo falso negli atti finali della trilogia, la scrittura dei tre romanzi si presenta in maniera solida e soprattutto convincente, capace di coadiuvare sia vecchi nostalgici maturati a pane e Urania, sia (in particolare loro) nuovi potenziali lettori e/o lettrici; perché questa trilogia si presta perfettamente come entry level per chi, anche solo per curiosità, vorrebbe avvicinarsi a questo fantastico mondo. Poco importa se i rimandi concettuali e stilistici non vengono colti. È una ragione in più per recuperarli in seguito.