Guns Akimbo, recensione: gioco virtuale, sangue reale

Daniel Radcliffe torna in Guns Akimbo, produzione originale Amazon Prime Video che ci travolge con un ritmo sfrenato e la pazzia di un mondo parallelo tra realtà e videogame, riconsegnandoci uno scenario assurdo e folle.

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a cura di Francesca Sirtori

Che Daniel Radcliffe abbia cercato di "ripulirsi" la carriera cinematografica dal viso acqua e sapone di Harry Potter, ci era chiaro dai tempi del nudo integrale in Equus e di pochi altri titoli, considerando che la sua produzione teatrale e cinematografica è stata decisamente meno ricca rispetto alla compagna di magie, Emma Watson. Se proprio quest'ultima si era anche cimentata nel tema del pericolo dettato dai social network in The Circle, Daniel tenta di fare lo stesso, o quasi, in questo film distribuito da Amazon Prime Video. Sulle note di You spin me right round del 1984 si apre Guns Akimbo, dalla regia di Jason Lei Howden che unisce azione e videogame calati nel mondo reale, con un pizzico di follia ed esuberanza che non ci hanno convinto completamente.

Quotidianità distrutte

Il nostro eroe si cala questa volta nei panni di Miles Lee Harris, programmatore di un videogioco che, a sua detta, "provoca assuefazione e prosciuga le carte di credito dei genitori" di piccole pesti, sempre più incollate allo schermo di tablet e smartphone. Sognava di diventare un supereroe (e lo era ai tempi di Harry Potter, una constatazione valida ancora oggi per generazioni di Potterheads, i fan del maghetto), ma in un mondo soggiogato dai dettami del potere dei social network, il suo coraggio si è convertito nella lotta ai troll in rete.

Siamo ai primi minuti di pellicola, ma i cliché si stanno già sprecando: oltre a programmarli, Miles ci gioca anche, ai videogames, e lo fa in pessime condizioni. A casa sua, sdraiato sul divano, mentre tenta inutilmente di bere dalla cannuccia una Coca Cola, alternata a bottiglie di birra e circondato da sporcizia che forse non vede nemmeno più, per via della sua espressione ebete e calamitata dallo schermo. Sguardo vacuo, stralunato, catatonico; occhiaie livide, viso dal colorito giallognolo.

Licenza di uccidere

Una storia classica e quasi noiosa che rappresenta lo stereotipo del "nerd sfigato", tra lavoro, pc, birra e rutto libero. Letteralmente. Poi il plot twist (purtroppo o per fortuna, non sapremmo dirlo con esattezza): Miles entra in Skizm, una piattaforma al crocevia tra Twitch e un videogioco vivente. Sì, perché Skizm permette a persone reali di imbracciare armi altrettanto vere, di qualsiasi tipo e fattezza, per scontrarsi con altri giocatori, senza lesinare colpi. Il game over è la morte, e non è un eufemismo.

L'obiettivo del gioco è uccidere quante più persone possibili, guadagnando punti e suscitando gioie e dolori negli spettatori riuniti di fronte allo schermo, che seguono in diretta ogni "partita". I match si tengono nelle zone più luride e devastate della città, da capannoni abbandonati a vicoli sporchi e pieni di pattume, tutti luoghi che il nostro Miles conoscerà da vicino mentre scappa da Nix.

Interpretata da Samara Waving, regista australiana e già attrice in Mayhem, La Babysitter o Finché morte non ci separi, che qui veste i panni della migliore giocatrice di questo videogame ai limiti dell'assurdo, con l'obiettivo di uccidere Miles in sole 24 ore. Questo motivo la conduce a raggiungerlo a casa sua, fino a inseguirlo in ogni recondito anfratto della città, pur di liberarsene.

Il nerd è il suo ultimo nemico, dopodiché Nix vuole farla finita con questa gara all'ultimo proiettile. Ma com'è successo che un ragazzo così ordinario finisse in questa bolgia infernale, vittima del voyeurismo di individui viziosi e perversi? Semplice, un commento di troppo nella chat di questo gioco.

Nessuno è al sicuro

Una lezione spesso citata e insegnata, quella di limitare l'uso di toni accesi e di un linguaggio poco appropriato, come l'astensione oculata e ragionevole dal pubblicare certi commenti, soprattutto sui social network, dove scripta manent per davvero e sotto gli occhi del pubblico ludibrio. Questo azzardo viene pagato da Miles nel peggiore dei modi: l'indirizzo IP del suo computer viene facilmente localizzato e una squadra di improbabili assassini lo raggiunge dentro casa sua, drogandolo e impiantandogli una pistola per mano.

Inutile riportare gli ovvi toni tragicomici di scene quali la minzione nel gabinetto di casa o il tentativo di rispondere alla chat con Nova, un'artista dai capelli fluorescenti e abbastanza fashion da guidare una Mini per le vie della città, nonché la ragazza con cui sta cercando di ricucire il suo vecchio rapporto.

Troll, videogame e substrati simbolici

Non neghiamo che, da un punto di vista della trama e delle intenzioni, il messaggio complessivo presenta diversi strati di simbologia e significati. Partiamo dalla componente gaming e dalla comunicazione online, con focus sull'esperienza collettiva di visione e di chat. Il linguaggio usato, sia verbale, sia stilistico è decisamente rivolto a un target giovane e piuttosto smart.

Sin dall'inizio l'apparizione di simboli, emoticons e vignette riecheggiano il classico stile iconico di chat e videogiochi, prendendo vita anche nella realtà e non rimanendo a due dimensioni dietro a uno schermo.

Da un punto di vista della sceneggiatura stessa, viene sottolineata la passività degli spettatori di Skizm, proprio come se stessero guardando la trasmissione Twitch di un videogioco governato da Riktor e dai suoi scagnozzi, detentori di un potere perverso come la natura degli spettatori stessi.

Da un lato abbiamo apprezzato la critica, nemmeno velata, nei confronti del trolling e del suo effetto deleterio sulla psiche, ma dall'altra riteniamo che siano stati gettati alle ortiche anni di battaglie per diffondere il verbo sulla non diretta associazione tra videogames, assuefazione ad essi e violenza.

Per quanto siamo ben consci che l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) abbia riconosciuto ufficialmente i disturbi legati al gaming disorder come patologia, è anche vero che ci sono diversi studi in grado di dimostrare i benefici psicologici degli stessi videogames in diverse situazioni, una per tutte la possibilità di connettersi e giocare online (e senza uccidere persone reali) durante il periodo di isolamento forzato per contenere la diffusione del virus Covid-19.

Un ibrido tra splatter e ignoranza

Le dinamiche di Guns Akimbo, che scopriamo essere ultimamente il soprannome di Miles in Skizm, cambiano in maniera abbastanza repentina quando entra in gioco la dimensione emotiva, andando a scoprire il passato di Nix, seppur in maniera fugace. Quel tanto che basta per conoscere il suo odio nei confronti di Riktor, dovuto alla sterminazione della sua famiglia, così come la trasformazione di alcuni legami tra personaggi principali e secondari della trama, consentono al film di prendere un po' più di ritmo e accendere il nostro vero interesse, in particolare nell'ultima mezz'ora.

Considerando che la durata del film è di circa 100 minuti, pensate che sia un po' troppo poco per salvarsi in corner? Non del tutto, siamo clementi: rimane il problema del messaggio piuttosto deviante sul mondo dei videogame, che sembra però scemare verso la fine del gioco, dove la trama si focalizza soprattutto sui piani malvagi di Riktor e compagnia "bella".

Tutto sommato, si tratta di un titolo che si spartisce il premio tra splatter e ignoranza, a tratti tragicomico e un po' crudo, ma godibile. Non siamo certo a livelli di American Pie, ma nemmeno a quelli di Matrix, Mad Max.

Non è del tutto stupido, non è così serioso e fondamentalmente incentrato solo su pallottole, pistole e sangue (ben evidentemente finto e della consistenza del ketchup): come si direbbe di Balto, "sa soltanto quello che non è".