Matrix Resurrections: il mondo oltre lo specchio

Matrix Resurecctions: oltre il mito di Neo alla radice della nuova dimensione narrativa della saga.

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a cura di Manuel Enrico

Il ritorno alla tana del Bianconiglio è finalmente realtà. Anni di attese, speranze e opere derivate sono culminate in Matrix Resurrections, uno dei momenti più attesi, cinematograficamente, del periodo natalizio. Sono passati quasi vent’anni dalla fine della trilogia cult (Matrix, Matrix Reloaded, Matrix Revolutions), un racconto in tre parti che ha saputo rivoluzionare la narrativa sci-fi cinematografica, facendosi araldo di una rivoluzione stilistica e concettuale avviata da pellicole come ExistenZ o Dark City. L’annuncio di The Matrix Resurrections ha stimolato subito la curiosità dei fan della saga, che convinti di aver assistito all’epilogo di questo mondo futuro con Matrix Revolutions, si sono subito chiesti come si sarebbe potuto riaprire un discorso apparentemente concluso.

Prima di proseguire, un avviso: non state per leggere una recensione di Matrix Resurrections
. Le recensioni del nuovo capitolo della saga hanno saputo affrontare sul piano stilistico e tecnico le caratteristiche di questa pellicola, obiettivo che ci siamo posti anche noi di Cultura Pop con la nostra recensione, che potete leggere qui. Oltre al giudizio estetico della pellicola di Lana Wachowski, infatti, credo sia importante andare oltre l’immagine, non limitandoci a quello che vediamo su schermo, per comprendere quanto Matrix Resurrections sia estremamente personale per la regista, un proprio modo di riscrivere l’universo co-creato con il fratello nel primo film datata 1999.

ATTENZIONE: proseguendo la lettura potreste trovare spolier su Matrix Resurrections

Chiariamoci, non state per leggere una verità assoluta sul mito di Matrix, ma una rilettura personale, che spero sia una scintilla di confronto, considerato che questo testo è a sua volta figlio di una chiacchierata indagatrice con il buon Zeth su The Matrix Resurrections. Motivo per cui, sappiatelo, proseguendo a leggere sarà come aver preso la pillola rossa: scoprirete quanto è profonda la tana del Bianconiglio, trovando spoiler e dettagli di The Matrix Resurrections. Per cui, se ancora non avete visto il film, prendete la pillola blu, e ritornate dopo la visione del film.

Back to The Matrix

Torniamo un attimo al 1999, anno di uscita del primo Matrix. Il mondo, noi, la regista, tutto era profondamente diverso. Sul piano sociale la diffusione della digitalizzazione non era ancora così diffusa, i social erano ancora agli albori e l’interconnessione era fantascienza, quasi un retaggio del cyberpunk di Gibson e soci, cui Matrix deve un certo, riconosciuto tributo. In un ambiente sociale che ancora faticava ad accettare concetti complessi come il genere e l’identità di sé al di fuori di certi schemi rigidi, Matrix divenne quasi una sorta di manifesto, grazie a una stratificazione di concetti che erano alla portata solo degli spettatori più attenti, o meglio, più propensi ad andare oltre il semplice impatto visivo.

Perché il primo Matrix, a ben vedere, è un dialogo tra i fratelli Wachowski e il pubblico. Per i due registi, infatti, la pellicola è una crasi della loro esistenza, vissuta all’interno di una famiglia con padre ateo e madre vicina allo sciamanesimo, condizione che ha creato una complessa visione per i due della spiritualità, con riflessi anche diretti sulla propria visione del mondo, sessualità compresa. Se andiamo a rianalizzare il cuore narrativo del primo Matrix, Neo è una figura prigioniera di un’esistenza pilotata, in cui ogni sua azione viene decisa altrove, da un’entità astratta, invisibile, ma che solo grazie alla sua liberazione da parte di Morpheus inizia a prendere coscienza di sé.

Sembra un concept semplice, ma che ha alla base una serie di fondamenti filosofici che partendo dall’epoca classica arrivano sino a pensatori moderni, come Robert Nozick e la sua ‘macchina del piacere’ (ricordate il dialogo tra Smith e Cypher al ristorante?). E qui, si torna al concetto di stratificazione narrativa. Per uno spettatore in cerca di un buon film senza pretesa, Matrix era una proposta avvincente, dinamica e impreziosita da una serie di innovazioni tecnologiche che stupivano, pur essendo evoluzioni di precedenti sperimentazioni da parte del cinema di movimento asiatico. Ma tant’è, che il successo clamoroso del film a livello mondiale ha reso Matrix il punto di svolta di un certo modo di fare cinema.

Ma sul piano narrativo? In un mondo che ancora si interrogava sul Millenium Bug, la visione era fortemente radicata sull’aspetto informatico della pellicola, lasciando che solo i più intraprendenti commentatori si addentrassero all’interno della creatura pulsante che era Matrix. Un elemento di rottura, capace di riscrivere alcuni dei codici assiomatici del cinema, ribaltando al contempo concezioni sociali, scegliendo di dare voce a chi, per timore di rimanere al limite della socialità, viveva in una sorta di prigione autoimposta. Una sorta di prigione mentale, nata dalle imposizioni sociali, un elemento che i due registi all’epoca chiarirono in modo evidente durante un’intervista con Gadfly:

“Siamo convinti che le persone gay e queer non siano le uniche a vivere nascoste, lo facciamo tutti. Abbiamo la tendenza a rinchiuderci in scatole, a ingabbiarci da soli. Quello che abbiamo provato a fare è stato dare vita a personaggi ritraendoli a partire dalle gabbie che determinano la loro esistenza”

Un manifesto, se vogliamo. Appellandosi alla lunga tradizione di strumento di critica sociale tipica della fantascienza, Matrix diventa quindi una rappresentazione allegorica di una controcultura, la lotta alle macchine, fredde e legate a schemi prestabiliti, diventa una ricerca di ribellione, di accettazione del sé. Che passa non solo dall’esser pienamente consapevoli della propria natura, del proprio io, ma anche dal sentirsi accettati. Non è un caso che il viaggio dell’eroe di Neo si completi in questo film in due momenti: Neo che si convince di esser l’Eletto (‘Ha cominciato a credere’ dice Morpheus) e il bacio salvifico di Trinity.

Un percorso che si sarebbe potuto concludere, già ricco di grandi suggestioni e influenze da assimilare, per utilizzarle come chiave di lettura di un film tutt’altro che banale e semplice. Ma per i Wachowski la storia era incompleta, erano necessari gli altri due capitoli, Reloaded e Revolutions, per chiudere il cerchio della lotta alle macchine. In questa linea narrativa emerge in modo ulteriore la tematica religiosa, con Neo che diventa una figura cristologica, con la salvezza di Zion, l’ultimo avamposto umano, in palio tra chi lo sostiene con fare profetico (Morpheus) e chi invece si avvicina a un approccio più pratica, ateo se vogliamo (Locke). I due capitoli seguenti di Matrix, in un certo senso, allontanano l’attenzione dalla forte radice sociale del precedente episodio, con la presenza di un Architetto che nella sua spiegazione della natura di Matrix e dell’Eletto sembra quasi appesantirne il ruolo narrativo, anziché dare maggior lustro alla sua funzione.

La spiegazione dell’Architetto, la presenza dell’Oracolo e la genesi di questa figura all’interno di Matrix, sembrano una critica alla religione di massa, quell’opium des volkes di marxiana memoria, in cui l’illusione di una qualsivoglia scappatoia metafisica possa sostenere l’umana speranza di ribaltare un’ingiustizia. Una scelta che può richiamare alla peculiare educazione religiosa dei fratelli Wachoski, che trova nel sacrificio finale di Neo una sua chiusa.

O forse no?

Matrix Resurrections: "And if you go chasing rabbits, and you know you're going to fall?"

Passiamo veloci al 2021, anno in cui nei cinema arriva Matrix Resurrections. Cosa è cambiato in questi anni? Tutto, semplicemente. I social imperano nella nostra vita, l’economia è in cambiamento, la rivendicazione dei diritti sociali per le minoranze non è solo più letta in chiave razziale ma anche di identità sessuale. Il peso di una pandemia ci sta portando a rivalutare le nostre priorità e la nostra percezione del mondo. Messaggi come quelli inseriti nel primo Matrix, quindi, sono ancora validi? I registi li ritengono ancora specchio delle proprie idee?

Sono questi interrogativi che hanno portato alla nascita di The Matrix Resurrections. In un periodo in cui i grandi cult del cinema stanno vivendo di ritorni eccellenti, dal riuscito Ghostbusters: Legacy al più tiepido Il Risveglio della Forza, sarebbe facile derubricare The Matrix Resurrections a operazione di marketing, a ennesimo sfruttamento dell’effetto nostalgia alla Stranger Things. Confesso che a una prima visione ho percepito questa sensazione, ma a mente fredda mi sono ricordato alcuni dettagli che portano a rivalutare, sul piano concettuale, l’intento di The Matrix Resurrections. A metterci in guardia da questo pensiero fuorviante è una frase detta nel film:

“Nulla placa l’ansia, come la nostalgia”

Gioco su cui si basa anche Matrix Resurrections, utilizzando spezzoni di Matrix come elementi di risveglio di Neo, messi in scena con la furba trovata che rivedere attimi del passato aiuti Anderson a far riemergere la propria vera identità. Una scheggia di nostalgia nel cuore degli spettatori, o più prosaicamente una lezione sul meccanismo alla base di tanta produzione contemporanea del mondo dell’entertainment? A ciascuno la sua opinione, ma nell’economia del film questo citazionismo auto-referenziale funziona e garba. Anche giocando con la colonna sonora, inserendo una versione meno invasiva di Spybreak dei Propellerheads alla prima apparizione di Anderson, o chiudendo il film con Wake Up, non più cantante dai Rage Against The Machine, ma dalla voce femminile di Sofia Urista accompagnato dai Brass Against.

Ad animare Matrix Resurrections sono in primis i cambiamenti esistenziali della regista, Lana Wachoswki. Completata la sua transizione, la visione del mondo di Lana è differente da quella del suo sé precedente, un modo di intendere il mondo che è stato anche variato dalle esperienze personali, dalle perdite e da vent’anni di vita che hanno, inevitabilmente, spinto la regista a rivedere le idee che portarono alla nascita di Neo e Trinity. I due suoi due figli, la sua metafora del mondo e della vita nel 1999, ma che non rispecchiano evidentemente il suo nuovo sé, o il mondo odierno. Senza dimenticare la perdita dei genitori, cui dedica il film con un sentito ‘Love is the genesis of everything’ nei titoli di coda, un dolore che ha fortemente colpito la regista, che ha ritrovato nella sua famiglia immaginaria, Neo e Trinity, un supporto. Comprensibile come questa sua vicissitudine personale, una transizione e una ricerca di stabilità, abbiano spinto Lana Wachoswki a rielaborare la propria creatura fantastica, a darle un nuovo volto secondo la sua sensibilità attuale.

Segnale di questa sua prima volontà è il cambio di comando di Matrix. Se durante il periodo della transizione dei due fratelli Wachowski avevamo un Architetto, un’entità costruttrice di stampo quasi divino, per Matrix Resurrections subentra l’Analista, interpretato da una semplicemente perfetto Neil Patrick Harris. Riscrivere la propria mente, una dissociazione tra realtà e percezione della stessa sono alla base della prima parte del film, con Neo imprigionato in questo limbo mentale, seguito da colui che si svelerà come il villain della pellicola. Metaforicamente parlando, è un elemento centrale, la prigione mentale a cui faceva riferimento il concept di Matrix viene rielaborato in questa figura, adattandolo alla caratterizzazione straniante della prima parte del film.

Non è un caso che la prima parte di Matrix Resurrections contenga le scene in cui la meta-narrazione trova la sua massima espressione. La scena in cui i programmatori colleghi di Anderson ricostruiscono il successo del loro Matrix, un videogioco in questa dimensione fittizia, è un elenco di teorie e congetture che all’epoca del primo capitolo avevano tenuto banco sulla reale natura del film, senza mancare di ricordare che Matrix non era soltanto da premiare per il bullet time. In una scena, la Wachowski ci ricorda che la lettura di un concept narrativo non è univoco, ma può esser variegato, può toccare diverse corde emotive a seconda della sensibilità dello spettatore.

Ed è qui, in questa round table che troviamo anche l’essenza di Matrix Revolutions: la prigionia autoriale del mondo dell’entertainment. Questo think tank sta cercando di dare un seguito a un gioco, Matrix, perché spinti da una major cinematografica, la Warner Bros., che vuole sfruttarlo a fini commerciali. Mentre i suoi colleghi si lanciano in ipotesi e teorie di sviluppo, Anderson osserva il tutto frastornato. Difficile non immaginare che in questo sguardo non ci sia un riflesso della Wachoski, intenta a chiedersi come un’idea possa mantenere la propria identità se fagocitata da un’industria che brama contenuti, che non tutela il concetto ma si focalizza sullo sfruttamento, tra sequel, spin off o reboot. D’altronde, già ai tempi della trilogia i Wachowski fecero fatica a preservare l’anima del proprio universo narrativo, pressati dall’esigenza di spremere dollari da una IP cult, con seguiti, serie animate e deludenti videogiochi. Sottile, ma ben giocata.

Oltre l'Eletto

Ma come direbbe King, il mondo è andato avanti, sono cambiati i presupposti culturali, le volontà autoriali stesse che hanno portato alla creazione di Matrix. Per la Wachowski era un impulso interiore, probabilmente, il riscrivere il proprio mondo, dare una nuova definizione che non rendesse monolitico il fulcro narrativo di Matrix.

Dal punto di vista sociale, basterebbe notare come le scene in cui la socialità complessa di Anderson si scontra con l’imperante estraniamento da social, totalmente assenti all’epoca. Una dinamica differente che viene ben interpretata dal ritorno di Lambert Wilson nel ruolo del Merovingio, non più un potente di Matrix, bensì un reietto, un Esiliato, che si lancia in un’invettiva contro la rivoluzione avviata da Neo, senza privare la regista dell'occasione di muovere una penetrate critica al ruolo di entità digitali o social. Se all’epoca di Matrix la connettività era ancora alle sue basi, Matrix Resurrections arriva ironicamente a poca distanza dall’annuncio del metaverso, una potenzialità ancora più vicina alla concezione di Matrix.

Teniamo presente che noi abbiamo sempre pensato che il sacrifico di Neo avesse risolto la guerra con le macchine con la vittoria dell’umanità. Con un gioco di prestigio, scopriamo che in realtà non ci sono più due fronti monolitici, umani e macchine convivono in questo spazio bilaterale tra mondo concreto e realtà fittizia, con intelligenze artificiali in grado di interagire sul piano fisico. La libertà, viene detto in un certo punto, è una scelta, non tutti gli uomini vogliono affrontarla (ricordate Cypher?), alcuni preferiscono rimanere vittime coscienti delle proprie prigioni.

Un primo modo di scardinare il telaio narrativo della trilogia. Neo, in questo nuovo mondo, non è più il Salvatore, ma anzi alcuni, come Niobe, lo vedono come un falso profeta, che ha guidato l’umanità con un’illusione, mentre la guerra è ancora in corso. Con buona pace di Morpheus, che è morto con la delusione di aver creduto che tutto fosse finito. Neo stesso, al momento della scoperta di questa realtà, lascia emergere i suoi rimpianti e i suoi dubbi, rivelandosi come un uomo ossessionato dalla liberazione della sola persona a lui cara, nonché la vera protagonista della rivoluzione di Matrix Resurrections: Trinity.

Senza entrare troppo nel dettaglio, è Trinity il personaggio che viene premiato da questa evoluzione di Matrix. Utilizzata magnificamente per scardinare un altro assioma sociale (se sei donna, sei realizzata solo come madre della tipica famiglia del Mulino Bianco), Trinity assume il ruolo di nuova forza all’interno del franchise, nel momento clou della pellicola mostra la sua importanza. Neo senza Trinity non sarà mai completo, ma anziché essere lui il fulcro della coppia, tocca a Carrie Anne Moss mostrare la preminenza della sua alter ego, ribaltando le regole di una società ancora fortemente maschilista, tanto che alla sua dimostrazione di potere nel confronto finale con l’Analista è lei a condurre le danze, sorprendendo il villain che nell’attimo di difficoltà ricade nei classici stereotipi, rivolgendosi a Neo:

“Non puoi controllarla?”

Matrix Resurrections, come detto, non è un film di puro intrattenimento, almeno non nella sua accezione più autentica. Pur godibile come ulteriore capitolo del mito del cult nato nel 1999, questo quarto capitolo della saga non si limita a riscrivere sterilmente il concept originario, ma lo rielabora sotto gli occhi dello spettatore, ci guida in questo processo come fosse un dialogo tra noi e Lana Wachowski.