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a cura di Manuel Enrico

Netflix, lo scorso week end, ha inserito nel suo palinsesto la sua nuova produzione originale, The Politician. Pensando che tra poco più di un mese l’elettorato americano sarà chiamato alle urne per le presidenziali, questa idea sembra esser particolarmente vincente, e non dimentichiamo che pochi aspetti del vivere sociale sono sentiti oltreoceano come le elezioni.

The Politician: la politica nella serialità televisiva

Non è un caso che altre serie tv in passato abbiano affrontato questo delicato passaggio politico. Da West Wing, con il suo tono positivo della politica e dei volti che lo animo, sino al più recente House of Cards, cinico e spietato, il mondo dei serial americano ha sempre guardato con curiosità e sospetto i segreti del potere di Washington. Per l’americano medio, un’elezione è sempre un evento, tra primarie, sciarade di dibattiti televisivi e sfarzose campagne, in cui tutto il potere capitolino invade la quotidianità degli elettori.

Poteva una simile peculiarità della vita americana non solleticare la curiosità di uno sceneggiatore come Ryan Murphy? L’autore di popolari serie come Glee, American Horror Story e Nip/Tuck, ha siglato un accordo con il colosso dello streaming per la realizzazione di contenuti esclusivi, e The Politician è il primo risultato di questa collaborazione. Per la realizzazione, Murphy ha chiamato in causa i suoi storici collaboratori Brad Falchuk e Ian Brennan, convinto che una squadra vincente lo rimarrà sempre.

Ma è davvero così?

Dal college alla Casa Bianca

Payton Hobbard (Ben Platt) è un giovane di ricca famiglia con un sogno: diventare presidente degli Stati Uniti. La sua intera esistenza è stata aut-programmata con questo fine ultimo, coinvolgendo anche amici fidati come McAfee (Laura Dreyfuss), James (Theo Germaine) e la fidanzata Alice (Julia Schlaefer), tutti coinvolti in una battaglia decennale per entrare nella Casa Bianca.

L’idea parte dal presupposto che Payton ha studiato tutte le vite dei presidenti del ‘900, andando a creare uno schema di caratteristiche comuni che li ha condotti alla vittoria. Dalla scelta del college alle attività curriculari, ogni aspetto è stato maniacalmente curato e analizzato, diventando un’ossessione per Payton, che si trova ora ad affrontare il primo vero scoglio: l’elezione a presidente d’istituto.

La campagna di elezione a questa carica diventa il punto di svolta per il suo piano, un banco di prova in cui viene messo sotto esame il suo essere politico. Scelte difficili, sentimenti infranti e bassezze morali sono solamente alcune delle sfide a cui il giovane è sottoposto, con il solo obiettivo di vincere questa battaglia, pena la fine del sogno.

Murphy ha basato su questa base The Politician, cogliendo un aspetto essenziale dell’essere politico, analizzando i costi e le rinunce dell’inseguire un’ossessione. Sarebbe stato un’idea vincente, se si fosse posto un limite alla quantità di dettagli e tematiche inserite all’interno di questa prima serie. Pur mostrando trovate interessanti e geniali, The Politician è un susseguirsi di situazioni di contorno che confondono, si inseguono senza una continuità soffocando quello che dovrebbe esser il fulcro della serie.

La voglia di realizzare un ritratto impietoso di una gioventù apparentemente schiava di una vita in cui non ci si riconosce, introducendo elementi come depressione e suicidio, potrebbe già esser una sottotrama di sostegno più che decorosa, ma la vulcanica creatività del team Murphy non è mai appagata. Lodevole l’intenzione di parlare in modo aperto di sessualità e identità di genere, ma la frenesia di inserire tematiche d’effetto ha la conseguenza di privare di carisma i personaggi che ne dovrebbero esser maggiormente caratterizzati. Tutto sembra messo su schermo perché gli autori sentono l’esigenza di parlarne, per coinvolgere quanti più spettatori possibili, in una narrazione forsennata e che spesso perde di coerenza.

Murphy rimane fedele alla sua tradizione, ma con The Politician sembra più intenzionato a realizzare un patchwork di tematiche che potrebbero convivere, ma solo a patto di non volere imprimere un ritmo narrativo forzato. La critica al sistema scolastico, all’evoluzione del concetto di famiglia e l’accettazione dell’altro sono sicuramente argomenti meritori, ma non possono esser venire inseriti a forza nella storia, spesso creando situazioni macchiettistiche e nate con la sola intenzione di motivare la presenza dell’argomento. Una simile baraonda confonde lo spettatore, è un continuo inserire nuove linee narrative che sul momento possono attrarre e spingere alla visione compulsiva degli episodi, ma a mente fredda nascerà un pensiero nella mente dello spettatore: manca qualcosa. E a mancare è un’identità precisa, cosa che si può ottenere in una serie tv imparando a contenere l’esuberanza narrativa rispettando la storia e i personaggi, come accaduto per il recente Marianne.

The Politician arriva al punto di perde la propria rotta, rinunciando inconsciamente al suo tono da dramma adolescenziale con influenze adulte per imporre scelte totalmente avulse dal filone narrativo principale. A farne principalmente le spese è una storia di base che, pur non arrivando al carisma di House of Cards, avrebbe potuto avere una profondità maggiore, se si fosse preservata il cuore della vicenda, valorizzando maggiormente il potenziale inespresso di questa serie: il cast.

Personaggi in cerca di autore

Payton Hobbard ha il volto di Ben Platt, perfetto nel trasmettere tutte le tensioni e le fragilità del personaggio. Adottato e maltrattato dai fratelli, deciso a mostrarsi degno del cognome che porta e intenzionato a governare la nazione, Payton perde la sua empatia, intrappolato nel suo stesso piano. La sua umanità è frustrante, pietosa e disperata, difende il suo progetto a costo dell’anima, e Platt è un interprete impeccabile. Ma non viene valorizzato a sufficienza, anche lui soffocato da un continuo inserimento di colpi di scena (spesso deboli e prevedibili), costretto ad azioni che sembrano anche andare contro il personaggio.

A sostenere Payton è la madre adottiva, una stupenda Gwyneth Paltrow, capace di regalare ironia (in una sorta di auto-caricatura) e bombe emotive nei momenti giusti, esaltando la perfomance del più giovane collega. La lotta in seno alla famiglia è la sola sotto-trama degna di nota, strutturata in modo accorto e che si intreccia alla campagna di Payton nei momenti corretti.

Ma la pecca maggiore è non aver sfruttato in modo intelligente il duo Jessica Lange-Zoey Deutch, una nonna e una nipote coinvolte in un dramma famigliare ridotto troppo spesso al ruolo di ironica macchietta. La loro dinamica avrebbe meritato di essere approfondita, di venire sviluppata in tono meno buffo ma più emotivo e drammatico, invece si devono accontentare di esser un banale riempitivo, la cui presenza risulta gradita ma non necessaria ai fine della storia.

Conclusioni

The Politician è una serie che era stata anticipata dal nome del suo autore, condannata ad essere l’ennesimo successo di una carriera stellare. Sarà la troppa sicurezza dell’autore o le eccessive aspettative, ma l’unica leva che esercita sullo spettatore è il continuo aggiungere carne al fuoco, perdendo il fulcro della narrazione e lasciando alla fine della visione tanto fumo. Ma alla fine, svanito il fumo, rimane davvero poco di cui essere soddisfatti. Sicuramente arriverà una seconda stagione, ma i presupposti di questa prima stagione di The Politician non sono tra i migliori.