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Ghostwire: Tokyo | Recensione

La nuova creatura di Shinji Mikami, Ghostwire: Tokyo, è finalmente arrivata ed è il momento della resa dei conti.

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a cura di Andrea Maiellano

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Ghostwire: Tokyo è un progetto che, per certi versi, risulta anacronistico e che si colloca in quel peculiare segmento dove risiedono tutte quelle produzioni che rappresentano la "prima volta", in un genere già rodato e sperimentato in pressoché ogni direzione da altri sviluppatori, per una software house.

Ghostwire: Tokyo, difatti, è il primo action game, open world, in prima persona sviluppato da Tango Gameworks. Un progetto che prende le distanze dai precedenti due capitoli di The Evil Within, cercando di offrire un'esperienza diversa ai fan del celebre Shinji Mikami.

Una produzione che, come accennavamo poc'anzi, si rivela anacronistica anche nelle sue scelte di marketing, atte a evitare di mostrare intensivamente qualsivoglia materiale inerente a Ghostwire: Tokyo, fino a poche settimane dalla sua uscita. Una scelta che rifiuta di sottostare alla sempre più dilagante "cultura dell'hype" e che, differentemente da quello che l'opinione generale impone come legge, non vuole indicare che la nuova creatura di Shinji Mikami sia poco meritevole.

The Fog

Centro di Shibuya, Tokyo. Alcuni abitanti si avvicinano, in preda all'ansia, al corpo di un giovane, apparentemente esanime, rimasto vittima di un incidente stradale. Dopo pochi istanti il ragazzo riprende conoscenza e, in stato confusionale, prova a chiedere informazioni ai passanti che si erano prodigati a soccorrerlo, i quali, inspiegabilmente, fuggono via terrorizzati da una entità nerastra che si avviluppa per metà del volto del ragazzo.

Nello stesso momento, una fitta coltre di nebbia comincia ad attanagliare la città, inghiottendo tutti gli abitanti che vi entrano in contatto… tutti tranne il giovane. Nel mentre che il ragazzo tenta invano di comprendere cosa stia succedendo, una voce si fa largo nella sua testa e, muovendo il suo corpo, gli impone di trovare un riparo. In questa tetra e silenziosa distesa di gusci vuoti, una parata di spettri della tradizione giapponese comincia a marciare tra le strade in religioso silenzio, sovrastata da una moltitudine di anime raggomitolate in posizione fetale.

Sugli schermi del centro di Shibuya compare il volto di un uomo misterioso che indossa una maschera Hannya del teatro Noh, il quale dà inizio a un rito con il quale imprigiona le anime all'interno di contenitori cuboidali che, in pochi secondi, svaniscono nel nulla. L'annuncio del misterioso figuro sembra indirizzato agli spettri che marciano per le strade, ai quali richiede di continuare a inscatolare le anime disperse per Tokyo.

In questo moderno teatro degli orrori verremo chiamati a vestire i panni di Akito, il giovane edochiano che, dopo essere stato vittima di un incidente stradale, viene posseduto dallo spirito di KK, un cacciatore di spiriti rude e mosso da un unico scopo: fermare l'uomo che indossa la maschera Hannya. Le dinamiche fra i due personaggi assumeranno i contorni tipici dei buddy movie, con una serie di scambi di battute fra i due protagonisti che si rivelano ben confezionati e adempiono sia al compito di rompere il silenzio delle spettrali, e desolate, strade di Tokyo, che in quello di offrire al giocatore costanti informazioni sul passato dei due protagonisti, permettendogli di conoscerne meglio le varie sfaccettature del loro carattere.

La storia di Ghostwire: Tokyo, a differenza delle più recenti produzioni di Tango Gameworks, si distacca da quelle dinamiche da horror ansiogeno tanto care a Shinji Mikami, virando verso un comparto narrativo molto più votato all'enfatizzare l'azione, a raccontare la storia di Akito, e KK, e a sfruttare la componente horror più per sorprendere il giocatore piuttosto che per spaventarlo. Una formula che si rivela funzionale e che, nella sua semplicità narrativa, riesce a tenere incollati allo schermo fino alle battute finali.

Tradizioni giapponesi in un open world tradizionale

Ghostwire: Tokyo è, come accennavamo poc'anzi, un open world molto tradizionale nella sua struttura. Fin dalle prime ore di gioco, infatti, la mappa di Shibuya si riempirà di una moltitudine di icone sparse qua e là, atte a indicare le varie missioni da compiere (principali e secondarie), le attività collaterali disponibili in città e tutti i vari punti di interesse che si riveleranno utili, ad Akito e KK, per progredire nella loro missione.

Nella sua "canonicità", però, Ghostwire: Tokyo ci ha sorpreso per la varietà mostrataci dalle sue attività. Dal liberare gli archi Torii dai nemici per poterli in seguito purificare andando a diradare la nebbia che avvolge Tokyo, sbloccando nuove parti di mappa in maniera analoga agli avamposti tanto cari alla serie di Far Cry; passando per l'assorbire gli spiriti sparsi per Tokyo, sfruttando uno dei Katashiro reperibili portando a termine differenti attività, all'esorcizzare spiriti maligni in piccole abitazioni, ricongiungere le anime dei trapassati per permettergli di “passare oltre”, pedinare loschi figuri andando a sfruttare la visione spettrale ricevuta in dono da KK, risolvere alcuni puzzle ambientali a tempo fino a scambiare quattro chiacchiere con i cani e i gatti del quartiere, alla ricerca di informazioni utili.

Il tutto, ovviamente, fermandosi di tanto in tanto in una cabina telefonica per inviare gli spiriti contenuti nei Katashiro in un posto sicuro in attesa di poterli riassociare ai loro corpi, visitando alcuni dei negozi gestiti da degli Yokai di sembianze feline e catturando una serie di creature demoniache della tradizione giapponese, che attanagliano gli spiriti erranti che popolano la metropoli giapponese.

Pur trattandosi di una serie di dinamiche molto simili a numerosi esponenti del genere open world usciti precedentemente, Ghostwire: Tokyo riesce sempre a sorprendere in maniera piacevole con le sue attività al limite del surreale, riuscendo, almeno nella prima decina di ore di gioco, a mantenere alta l'attenzione del giocatore e a incuriosirlo sul provare tutte le attività secondarie che Shibuya ha da offrire.

Questo grazie a una serie di strumenti utili per esplorare liberamente la città fin dalle prime fasi di gioco, le quali permetteranno al giocatore di perdersi, letteralmente, fra le strade, i tetti e gli interni di una delle zone più caratteristiche di Tokyo, offrendo una serie di differenti approcci per le fasi esplorative in grado di rendere meno ridondanti, e indubbiamente piacevoli, gli spostamenti. Non possiamo, però, garantire che il tedio non si paleserà nelle fasi avanzate della storia, quando tutte le attività saranno state svolte numerose volte, e il vasto, ma non immenso, open world offerto da Ghostwire: Tokyo inizierà a presentarsi ridondante e paragonabile a una corposa "lista della spesa" composta da attività interessanti esclusivamente ai completisti più feroci.

E chi chiamerai?

Passando al godibilissimo combat system ideato per Ghostwire: Tokyo, lo possiamo dividere in due macrosezioni: quella dedicata ai poteri spirituali con cui KK infonde il corpo di Akito e quella che si basa sulle capacità "umane", se così le possiamo chiamare, del ragazzo. Il primo sistema si basa, per l'appunto, sull'utilizzo dei poteri spirituali ottenuti da Akito che, imponendo le mani in maniere differenti, potrà lanciare dardi energetici per indebolire i nemici fino a poterne accalappiare il nucleo spirituale, con un lasso energetico, per porre fine alla loro esistenza.

Ciò che rende dinamico e dannatamente divertente il combat system di Ghostwire: Tokyo è il continuo “dare e avere” offerto dai combattimenti. L’energia spirituale di Akito, difatti, sarà limitata e per ricaricarsi dovrà, banalmente, eliminare i nemici per assorbirne i cristalli di etere presenti al loro interno.

Rimuovere il nucleo spirituale a un nemico, manovra totalmente opzionale, permetterà ad Akito di recuperare un piccolo quantitativo di punti vita. Ognuno degli attacchi spirituali a disposizione del giovane si baserà su di un elemento specifico, il quale potrà essere ricaricato eliminando il nemico corretto o, in alternativa, rompendo tutta una serie di oggetti sparsi per Shibuya che conterranno al loro interno differenti tipi di cristalli.

Quello che abbiamo apprezzato è che in Ghostwire: Tokyo non è stata enfatizzata alcuna meccanica votata all'abbattere determinati nemici con uno specifico elemento. Vento, Acqua e Fuoco offrono soluzioni strategiche differenti che possono essere impiegate per definire al meglio il proprio stile di gioco, a patto di tenere a mente dove reperire le risorse per avere sempre delle munizioni con sé.

Un insieme di dinamiche semplici ma che si rivelano molto intriganti, specialmente ai livelli di difficoltà più elevati, grazie alla loro capacità di rendere dinamici, strategici e abbastanza impegnativi gli scontri contro gruppi numerosi di avversari o quando ci si ritrova ad affrontare i boss, o i mid-boss, presenti nelle strade di Shibuya.

Discorso diametralmente opposto per quanto riguarda le abilità fisiche di Akito, in grado di ribaltare completamente le dinamiche del combat system descritte fino a questo momento, virando verso meccaniche stealth leggermente approssimative. Sfruttando l'ambiente circostante per raggiungere la schiena dei nemici, Akito potrà eliminare quelli più deboli utilizzando dei talismani atti a esorcizzare le creature. Alla stessa maniera, sfruttando l'arco che KK "presta" ad Akito e che può scoccare frecce infuse di energia spirituale, si potranno approcciare gli scontri giocando sulla distanza, mirando alla testa degli avversari e ripulendo in sicurezza le aree più affollate.

Akito, inoltre, disporrà di alcuni talismani infusi di energia spirituale, i quali offriranno al giovane una serie di disparati diversivi che potranno variare dal paralizzare gli avversari per un breve periodo di tempo, fino al generare dei cespugli illusori che potranno essere sfruttati per eludere il campo visivo dei nemici.

Per quanto tutte queste diversificazioni, rispetto al combat system maggiormente action su cui si basa Ghostwire: Tokyo, siano risultate divertenti e in grado di garantire una forte varietà all'azione di gioco, un IA dei nemici altalenante e facilmente eludibile non ci ha mai offerto delle reali motivazioni per virare verso questo tipo di approccio più cauto e meno aggressivo. Decisione che si è ribaltata completamente nel momento in cui abbiamo deciso di provare Ghostwire: Tokyo a una difficoltà più elevata, notando come la penuria di munizioni, unita a una maggiore resistenza dei nemici, impongano un approccio da parte del giocatore maggiormente strategico.

Si cammina, comunque, su un terreno molto scivoloso, in quanto Ghostwire: Tokyo, giocato a difficoltà normale, si presenta più come un'esperienza rilassata e fruibile da tutti, la quale permette di incrementare la difficoltà in maniera artificiale, per quei giocatori alla ricerca di una sfida più complessa ma basata sul semplice binomio "nemici più resistenti / risorse più scarse".

Non manca, ovviamente, tutto quel plateau di menu dedicati all'incremento delle abilità di Akito e KK, alla consultazione dei documenti reperiti durante le esplorazioni, il classico Log delle missioni per organizzare le proprie sortite a Shibuya nella maniera più efficiente e, ovviamente, una sezione dedicata alla personalizzazione del vestiario di Akito.

In termini di bestiario, Ghostwire: Tokyo, si presenta vario, fortemente rispettoso nei confronti della tradizione giapponese e, allo stesso tempo, votato a enfatizzare le più celebri creature di quelle leggende urbane, orientali e occidentali, tanto care alla cultura pop.

Dagli Yokai che pullulano per le strade di Tokyo, passando per figure come la Kuchisake-Onna, gli Amewarashi, la Hachishakusama, lo Shiromuku, fino ad arrivare a creature ispirate, palesemente, all’iconico Slenderman, Ghostwire: Tokyo offre un corollario di bestialità che faranno la gioia di ogni amante del filone horror.

Dispiace solo che in alcune, rarissime, circostanze siano state prese delle piccole "licenze poetiche" (come il chiamare, erroneamente, la parata degli spettri Hyakki yakō, quando quest'ultima rappresenta originariamente la parata degli Yokai), che stridono leggermente quando confrontate con la cura apportata dagli sviluppatori nel raffigurare correttamente la quasi totalità della mitologia soprannaturale giapponese.

Ghostwire: Tokyo su PlayStation 5

Addentrandoci nell'analizzare il comparto tecnico di Ghostwire: Tokyo, ci troviamo di fronte a una produzione ricca di luci e ombre. Il colpo d'occhio generale offerto da Tokyo, con le sue numerose luci al neon in grado di risaltare nell'oscurità che avvolge la capitale giapponese, è indubbiamente notevole, specialmente se si decide di fruire del titolo in "modalità qualità" godendo, quindi, di tutti i riflessi che si genereranno nelle pozzanghere e nelle superfici bagnate dalla pioggia.

Quello che non ci ha convinto è la totale staticità degli ambienti che, al netto di qualche elemento interattivo sparso qua e là, restituiscono quell'anacronistica sensazione di trovarsi all'interno di un quadro tanto meraviglioso, quanto statico. Laddove un birillo viene spostato dai piedi di Akito se urtato accidentalmente durante una corsa, la stessa reazione non la si ritrova, per esempio, in un cestino della spazzatura o in un mucchio di cartacce poggiato su una scrivania sulla quale il protagonista potrebbe balzare.

Una staticità che, per certi versi, poteva essere giustificata dalla effimera materia di cui sono composti gli attacchi spirituali di Akito ma che s'infrange nel momento in cui ci si trova di fronte a scelte di level design anacronistiche, quali piccoli oggetti che si comportano come muri invisibili, andando, inevitabilmente, a eliminare ogni sorta di "senso d'immersione" nel giocatore.

Per quanto riguarda le performance, su PlayStation 5 gli sviluppatori non hanno badato a spese inserendo una serie di modalità atte ad abbracciare le esigenze di tutti gli utenti. Oltre a poter scegliere fra le immancabili "Qualità" e "Prestazioni", Ghostwire: Tokyo offre una serie di modalità grafiche pensate per operare a frame rate sbloccato, con o senza V-Sync.

Noi ci siamo limitati a testare a fondo le prime due, riscontrando un'ottima fluidità per quanto riguarda la modalità "Prestazioni" (anche se non è riuscita a mantenere i 60 FPS stabili nelle situazioni più caotiche) e qualche sbavatura in termini di aliasing per quanto riguarda la modalità "Qualità", la quale però si è rivelata in grado di restituirci una visione d'insieme di Tokyo decisamente mozzafiato.

Per quanto riguarda i modelli poligonali dei nemici, e le loro animazioni, tutto si è mostrato fedele allo stile di Mikami, con creature che, via via che si progrediva con la storia, si mostravano sempre più sopra le righe in termini estetici, oltre che ricolmi di dettagli identificabili solamente in seguito a una osservazione più attenta attraverso l'immancabile Photo Mode. Siamo comunque ben lontani dalle disturbanti bestialità realizzate per la serie The Evil Within, ma bisogna sempre tenere in considerazione che Ghostwire: Tokyo è un titolo pensato per un pubblico più ampio rispetto alle precedenti produzioni di Tango Gameworks.

Decisamente apprezzabile, infine, la cura apportata nel doppiaggio e nella localizzazione. Ghostwire: Tokyo, di default, si avvierà con il doppiaggio in giapponese e i sottotitoli in italiano, ma basterà una rapida visita all'interno del menu delle opzioni per constatare che il gioco è stato doppiato in un numero davvero cospicuo di lingue, tra le quali anche l'italiano.

Durante la nostra prova abbiamo voluto "saltellare" fra i doppiaggi in giapponese, inglese e italiano, constatando come la recitazione si riveli più che buona in ogni sua variante, lasciando quindi piena scelta al giocatore su come fruire della nuova creatura di Shinji Mikami.

Voto Recensione di Ghostwire: Tokyo - PS5


7

Voto Finale

Il Verdetto di Tom's Hardware

Pro

  • - Il combat system basato sugli attacchi spirituali funziona e diverte.

  • - La storia e le dinamiche da buddy movie riescono a intrattenere.

  • - Direzione artistica originale e ispirata.

  • - Le attività secondarie offrono una buona varietà…

  • - Shibuya è bellissima…

Contro

  • - Performance non sempre al top.

  • - Le dinamiche stealth risultano realizzate con troppa superficialità.

  • - L'IA dei nemici è troppo incostante.

  • -…ma risultano ridondanti e ripetitive dopo una decina di ore.

  • -…ma l'interattività quasi nulla degli ambienti rovina l'immersione.

Commento

Ghostwire: Tokyo è una produzione che punta, innanzitutto, a divertire. Non prova a reinventare nulla che sia già stato proposto da altre produzioni, ma si pone l'importante traguardo di riuscire a rendere "diversa" quella formula open world oramai ben più che abusata, proponendo un combat system intrigante, attività sopra le righe e una direzione artistica decisamente riuscita. Il risultato finale funziona indubbiamente bene ma non riuscirà a cambiare l'opinione di chi non apprezza, o non apprezza più, gli open world estremamente guidati e pregni di attività ridondanti, mentre riuscirà sicuramente a entrare nel cuore di chiunque ami l'horror di stampo giapponese o, semplicemente, apprezza lo stile che da sempre contraddistingue le opere di Shinji Mikami.

Informazioni sul prodotto

Immagine di Ghostwire: Tokyo - PS5

Ghostwire: Tokyo - PS5