-
Pro
- Concept narrativo unico con dilemmi morali ben scritti
- Performance attoriale notevole
- Sistema gestionale ben costruito e con una qualità della vita ben curata
-
Contro
- Ripetitività sul lungo periodo
- Sistema di estrazione delle risorse poco ispirato
- Interfaccia migliorabile
Il verdetto di Tom's Hardware
Informazioni sul prodotto

The Alters
Sopravvivere a un pianeta ostile è già abbastanza difficile. Farlo confrontandosi con versioni alternative di sé stessi, tutte con un passato diverso, una personalità distinta e la tendenza a contraddirti... è una sfida decisamente più complessa. Con The Alters, 11 bit studios porta avanti la sua poetica del disagio esistenziale, aggiungendo una riflessione psicologica su identità, scelta e solitudine, confezionata in un impianto ibrido tra survival gestionale, avventura esplorativa e dramma narrativo di fantascienza.
Il risultato è un’opera imperfetta ma potente, che riesce a colpire non tanto per la sua scala produttiva (non siamo di fronte a un tripla A) quanto per l’intelligenza con cui mette il giocatore di fronte a decisioni complesse e moralmente ambigue. Un po’ This War of Mine, un po’ Moon, con un pizzico di Mass Effect e una spruzzata di Black Mirror, The Alters rientra sicuramente tra le proposte narrative più originali e disturbanti di questo 2025.
La recensione in un minuto
The Alters di 11 bit studios è un'opera ibrida che mescola survival gestionale, avventura esplorativa e dramma fantascientifico, raccontando la storia di Jan Dolski, unico sopravvissuto su un pianeta ostile dove il sole è mortale e ogni giorno bisogna spostare la base mobile prima dell'alba. Il gameplay alterna la gestione della base in 2.5D, dove si costruiscono stanze e si gestiscono le complesse dinamiche psicologiche tra i cloni, all'esplorazione esterna in terza persona tra paesaggi alieni surreali pieni di anomalie radioattive.
The Alters eccelle nel porre il giocatore di fronte a dilemmi morali grigi e situazioni psicologicamente scomode, come gestire Alters che si ribellano o si deprimono, rendendo la pressione relazionale il vero centro della sfida. Nonostante alcuni difetti come meccaniche superflue e limiti produttivi evidenti, il gioco riesce a creare un'esperienza unica e memorabile che riflette su identità, scelte e conseguenze, confermando la capacità di 11 bit studios di coniugare gameplay e tematiche mature in un racconto intimo sulla natura dell'individuo.
Un risveglio solitario
Tutto inizia con un disastro. Jan Dolski — protagonista che il gioco ci insegna subito a pronunciare “Yon” — si risveglia dopo un atterraggio d’emergenza su un pianeta alieno, brullo, arido, grigio, ma punteggiato da elementi visivi stranianti: acque dai riflessi oleosi, formazioni rocciose contorte, distorsioni atmosferiche causate dal misterioso Rapidium.
Il tempo è il primo nemico: il sole, in questo mondo, è una sentenza di morte; ogni giorno bisogna mettere in moto la gigantesca base mobile che ospita Jan prima che l’alba arrivi e la superficie venga incenerita da radiazioni mortali. Jan è solo, e ha poco tempo per sistemare danni, raccogliere risorse e capire come sopravvivere.
L’idea brillante del gioco arriva quando la solitudine diventa insostenibile. Come fare tutto da solo in un mondo che non aspetta? La risposta: clonarsi. Ma non si tratta di semplici copie biologiche. Utilizzando il Rapidium e un computer quantistico, Jan genera versioni alternative di sé stesso, ognuna derivata da un percorso di vita diverso.
Questi “Alters” sono sì versioni di Jan, ma che hanno fatto scelte differenti in momenti chiave della vita: uno ha lasciato la casa paterna da adolescente, un altro ha continuato gli studi, un altro ancora ha scelto la carriera militare. Tutti condividono traumi simili, ma li hanno affrontati in modo diverso, e il gioco è sorprendentemente efficace nel rendere queste differenze tangibili. Dal tono di voce al taglio di capelli, dal linguaggio al modo in cui ti guardano, ogni Alter è una persona a sé — se lo avete visto, l'idea potrebbe ricordarvi vagamente il film Mickey 17 —. L’attore Alex Jordan, che dà voce a tutte le incarnazioni di Jan, compie un lavoro eccezionale nel dare sfumature precise a ciascun clone.
Base e conflitti
Dal punto di vista del gameplay, The Alters alterna due anime: la gestione della base (in visuale laterale 2.5D tipo diorama) e l’esplorazione esterna (in terza persona over-the-shoulder). All’interno della base, si costruiscono stanze, si gestiscono turni di lavoro, si producono risorse e si tiene sotto controllo la psiche degli Alters, che possono diventare improduttivi o persino autodistruttivi se trascurati.
La struttura gestionale è sorprendentemente flessibile: non ci sono tempi di costruzione, si può riorganizzare tutto liberamente, e smantellare stanze restituisce quasi tutte le risorse impiegate. Questo permette esperimenti creativi e minimizza la frustrazione, anche se la navigazione all’interno di una base molto espansa può diventare caotica.
Ma la gestione più difficile non è quella logistica, bensì quella relazionale. Ogni Alter ha bisogni, umori e opinioni diverse; alcuni richiedono empatia e dialogo, altri rispondono meglio all’autorità. Alcuni ti rispettano, altri ti disprezzano. Alcuni ti metteranno in discussione, altri cercheranno di sopraffarti. La pressione psicologica diventa rapidamente il vero centro della sfida.
La componente manageriale del gioco si arricchisce, quindi, di una dimensione etica e psicologica. Gli Alters non sono semplici strumenti, ma persone — anche se alla fine sono tutte versioni di Jan. E quando uno di loro comincia a mostrare segnali di ribellione, oppure si deprime al punto da smettere di lavorare, il giocatore si ritrova a gestire conflitti degni di un romanzo di Philip K. Dick.
Alcune situazioni sono davvero scomode: un Alter potrebbe voler tornare a casa, un altro accusarti di averlo creato solo per sfruttarlo, un altro ancora cercare di prendersi il comando. E la compagnia sulla Terra — mai completamente trasparente — invia messaggi e richieste che complicano ulteriormente le cose. Le scelte morali sono spesso grigie, e il gioco ha il coraggio di non offrire risposte semplici.
Esplorazione e risorse
Se la situazione con gli Alters può essere inquieta, anche quando si esce dalla base la tensione non cala. Le aree esterne cambiano ogni volta che la ruota si sposta, offrendo paesaggi alieni che sembrano disegnati da un artista sotto acido: crateri di lava, nebbie colorate, minerali che fluttuano nell’aria. Qui si esplora per raccogliere risorse, posizionare trivelle e collegare torri energetiche per mantenere operativa la base.
Ci sono strumenti da sbloccare come il rampino, il trapano, il cannone per le anomalie e un sistema di fast travel che permette di ridurre il backtracking, ma l’esplorazione ha anche un lato più “surreale”: le anomalie radioattive che infestano il mondo non sono creature ostili nel senso tradizionale, ma presenze inquietanti che interferiscono con la percezione, talvolta persino con lo spazio. Eliminarle richiede attenzione e strumenti specifici, e la loro varietà aumenta con l’avanzare della trama.
A tal proposito, uno degli elementi più riusciti di The Alters è la costante sensazione di urgenza: la gestione del tempo è sempre critica, e la batteria della tuta di Jan — necessaria per esplorare, usare armi, arrampicarsi — si esaurisce rapidamente. Questo, ovviamente, ci costringe a pianificare con attenzione ogni uscita, e aggiunge un ulteriore livello di pressione psicologica all'avventura già tesa.
Anche il sistema di qualità della vita è ben pensato: il tempo accelera durante i compiti lunghi, gli Alters propongono in autonomia cosa fare dopo il turno attuale, e c’è un sistema di produzione semi-automatizzato per cibo e beni essenziali. Insomma, tutte piccole scelte di design a parte di 11 bit studios che rendono l’esperienza più scorrevole senza semplificare la sfida per i giocatori.
Ombre su un pianeta lontano
Ovviamente, non tutto è perfetto: alcune meccaniche di The Alters risultano superflue, come la gestione delle vene di risorse profonde, la quale obbliga a costruire poligoni con sonde in un minigioco ripetitivo. Anche l’esplorazione esterna, inizialmente affascinante, tende a diventare logorante con il progredire degli atti, soprattutto quando aumentano le anomalie e gli eventi casuali. Inoltre, la storia taglia qualche angolo: le cutscene sono sostituite da storyboard con voiceover, e i personaggi secondari sono rappresentati da silhouette disturbate dalla statica; un espediente visivo interessante, ma che evidenzia i limiti produttivi del progetto.
Eppure, nonostante tutto, The Alters riesce a imprimersi nella mente. Le sue trovate narrative, come il concerto improvvisato degli Alters o i momenti di crisi personale di ciascun clone, funzionano perché nascono da un contesto coerente e ben costruito; alla fin fine, il messaggio è chiaro: siamo il frutto delle nostre scelte, ma anche delle nostre rinunce, dei nostri traumi, delle strade che non abbiamo preso.
Insomma, 11 bit studios riesce ancora una volta a coniugare gameplay e tematiche mature. Dopo This War of Mine e Frostpunk, questo è il loro gioco più intimo, quello che parla meno della società e più dell’individuo. Ci troviamo dinanzi a un’opera che invita alla riflessione senza diventare predicatoria, e che offre un’esperienza davvero unica nel panorama attuale. The Alters è un survival gestionale, un racconto sci-fi e un esperimento psicologico allo stesso tempo; siamo consci del fatto che non è un gioco per tutti: la curva di apprendimento è ripida, l’interfaccia è a tratti macchinosa e alcune sezioni si ripetono più del dovuto. Ma chi sceglierà di restare su questo pianeta ostile insieme ai suoi alter ego vivrà un’esperienza difficile da dimenticare nel breve termine.