La banda del cryptolocker chiedeva il riscatto in Bitcoin

Il nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza ha sgominato una banda che impiegava il ransomware cryptolocker per bloccare il PC di ignari cittadini e chiedere un riscatto.

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a cura di Dario D'Elia

Chiedevano un riscatto di 400 euro in Bitcoin per sbloccare PC di utenti ignari, infettati con il ransomware cryptolocker. Era una banda informatica organizzata che il nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza ha pizzicato nella provincia di Frosinone.

Con l'operazione "virtual money", stamani all'alba, sono state eseguite misure cautelari nei confronti di sette persone per associazione a delinquere finalizzata all'estorsione, alla frode informatica e all'autoriciclaggio. Nello specifico due elementi andranno sotto custodia in carcere, mentre le altre cinque avranno obbligo di firma.

cryptolocker

L'azione di sequestro ha coinvolto il capitale sociale e il complesso aziendale della società (cambiavalute) dietro cui operavano, nonché tutte le disponibilità finanziarie giacenti sui conti correnti riconducibili all'organizzazione.

Il ransomware cryptolocker di fatto rendeva inaccessibile il disco rigido dei PC delle vittime e l'unica possibilità era di pagare su specifici siti riconducibili agli indagati. Il controvalore in euro poi veniva accreditato sulle carte di credito ricaricabili di una serie di prestanome.

Si stima il valore della truffa in oltre 1 milione di euro, una cifra che di fatto non è passata inosservata agli occhi degli intermediari finanziari a cui facevano riferimento le circa 40 carte di pagamento impiegate per la truffa.

Cryptolocker Virus

Quando hanno segnalato l'anomalia agli inquirenti è scattata un'indagine durata circa 6 mesi per ricostruire tutti i movimenti. 

"Il controvalore, di circa 400 euro per ogni estorsione, veniva accreditato su carte di credito ricaricabili intestate a soggetti prestanome e comunque nella disponibilità del vertice dell'organizzazione. I finanzieri hanno anche ricostruito i successivi movimenti di denaro che, dalle carte ricaricabili, confluiva su conti correnti nazionali e, da quest'ultimi, all'estero per l'acquisto di ulteriori bitcoin"

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Da rilevare che questa ultima circostanza è stata considerata una aggravante poiché costituisce reimpiego in attività finanziarie e speculative.

"L'attività si inquadra nell'ambito di una più ampia strategia attuata dalla Guardia di Finanza finalizzata a contrastare insidiosi fenomeni di criminalità economica e ad evitare che nuovi mezzi di pagamento possano essere utilizzati per inquinare il circuito finanziario legale", conclude la nota.