L'appuntamento era segnato in rosso sui calendari di produttori, sindacati e governi nazionali. Il 10 dicembre avrebbe dovuto rappresentare la svolta per l'industria automobilistica europea, stremata da una crisi che ha già causato oltre centomila licenziamenti solo nel 2024. Invece, dalle stanze di Bruxelles è arrivato l'ennesimo stop: il pacchetto di misure tanto atteso slitta di diverse settimane, forse addirittura a gennaio.
A confermarlo è stato il commissario ai Trasporti Apostolos Tzitzikostas, che in un'intervista al quotidiano tedesco Handelsblatt ha cercato di giustificare il ritardo con la necessità di definire "un pacchetto veramente completo".
Un problema
La notizia rappresenta un duro colpo per chi sperava in risposte immediate. Colossi come Volkswagen e Stellantis hanno congelato i propri piani industriali proprio in attesa delle decisioni europee, mentre migliaia di lavoratori restano nell'incertezza sul proprio futuro. L'agenda pubblica della Commissione, consultabile online, non mostra alcun appuntamento dedicato all'automotive fino almeno all'11 dicembre, nonostante la data fosse stata indicata da diversi commissari e confermata persino dal ministro italiano delle Imprese Adolfo Urso. Un portavoce dell'esecutivo europeo si è limitato a ricordare che "tutte le tempistiche sono indicative", un'ammissione che suona come una beffa per chi attende certezze.
Dietro il rinvio si nasconde una battaglia politica complessa. La Commissione guidata da Ursula von der Leyen è prigioniera di un equilibrio precario: da un lato Germania e Italia premono per una revisione profonda delle politiche green, dall'altro Francia e Spagna difendono lo status quo. La presidente si trova in una posizione di crescente debolezza, stretta tra le richieste dei suoi principali alleati politici e le pressioni di un'industria che chiede un cambio di rotta rispetto all'ambientalismo intransigente degli ultimi anni. Non è un caso che Tzitzikostas abbia scelto le colonne di un autorevole giornale tedesco per annunciare il rinvio, riconoscendo implicitamente il peso della Germania nelle decisioni comunitarie.
Spiragli concreti
Le anticipazioni sulle possibili misure offrono comunque qualche spiraglio. Il commissario ha parlato di un approccio "aperto a tutte le tecnologie", inclusi i biocarburanti sostenuti dall'Italia e persino le ibride plug-in, come richiesto dal cancelliere tedesco Friedrich Merz in una recente lettera che ha ricevuto il plauso dell'amministratore delegato di Stellantis, Antonio Filosa. Anche il commissario all'Industria Stéphane Séjourné ha lasciato intendere possibili aperture durante un evento a Stoccarda, parlando della necessità di "adattare il percorso" verso la transizione energetica e garantendo "flessibilità" sulle tecnologie autorizzate dopo il 2035.
Tuttavia, il settore stesso ha già chiarito la propria posizione attraverso Sigrid de Vries, direttrice generale dell'Acea, l'associazione europea dei costruttori. La risposta a chi pensa che l'industria voglia tornare indietro è un netto "no": l'elettrificazione resta centrale per il futuro della mobilità, troppi investimenti sono già stati effettuati per cambiare rotta. Ma de Vries ha sottolineato come gli obiettivi fissati per il 2030 e il 2035 "non siano più realistici" alla luce di un mercato in crisi, infrastrutture di ricarica inadeguate e incentivi insufficienti. L'industria chiede quindi un approccio più pragmatico: un quadro differenziato per auto, furgoni e camion, maggiore flessibilità tecnologica, stimoli alla domanda, protezione del Made in Europe e semplificazione normativa.
Ciò che appare improbabile è una revoca completa del bando delle endotermiche o un suo rinvio al 2040: una simile decisione sconfesserebbe completamente le politiche di von der Leyen, indebolendo ulteriormente la sua già fragile posizione. D'altronde, lo stesso settore non chiede un abbandono della scadenza del 2035, consapevole che troppi investimenti andrebbero persi. Il dilemma di Bruxelles resta quindi trovare un compromesso che concili obiettivi ambientali e sostenibilità economica e sociale, mentre le settimane passano e l'incertezza continua a pesare su imprese e lavoratori che attendono risposte concrete. La data del 10 dicembre si aggiunge così alla lunga lista di occasioni mancate dalla burocrazia europea, confermando una cattiva abitudine: più crescono le pressioni, più le decisioni vengono rinviate.