L'accelerata dell'intelligenza artificiale nelle aziende europee si scontra con un labirinto normativo sempre più complesso. Mentre oltre 50 grandi gruppi industriali del continente premono per un rallentamento dell'attuazione dell'AI Act, le nuove disposizioni entrate in vigore il 2 agosto scorso stanno già ridisegnando i rapporti contrattuali tra fornitori e utilizzatori di tecnologie basate sull'IA. Una sfida che coinvolge direttamente i CIO di tutte le imprese, chiamati a navigare tra obblighi di compliance e necessità di innovazione.
Il cuore della trasformazione riguarda la gestione dei modelli di General Purpose AI come i Large Language Models, che richiedono ora una completa ristrutturazione dei rapporti commerciali lungo tutta la filiera. Alessandro Del Ninno, Partner di FIVERS Studio Legale e Tributario, evidenzia come sia "necessaria una ristrutturazione dei rapporti tra fornitori di modelli, fornitori a valle che li adattano, rivendono o distribuiscono e le aziende che li utilizzano".
Questa trasformazione si traduce in clausole contrattuali completamente nuove che devono riflettere gli obblighi di documentazione tecnica, le policy di gestione del copyright e l'allocazione delle responsabilità. Non si tratta più di semplici licenze software, ma di accordi che devono garantire trasparenza e tracciabilità in ogni fase dell'utilizzo dell'IA.
Le nuove disposizioni hanno un impatto concreto e immediato. Un assistente virtuale integrato in un sito di e-commerce deve ora rendere chiaramente percepibile che l'utente sta interagendo con un sistema automatizzato. Le software house che generano contenuti video tramite IA devono implementare identificatori digitali e marcatori invisibili per garantire la riconoscibilità dell'origine artificiale.
I fornitori di modelli GPAI devono redigere documentazione tecnica completa, pubblicare riepiloghi dei dati di addestramento secondo template specifici della Commissione UE e adottare policy rigorose sul rispetto del copyright. Un percorso che la Commissione ha cercato di supportare con un Codice di Pratica volontario e linee guida tecniche di attuazione.
L'Italia in ritardo sulla governance
Il quadro di governance previsto dall'AI Act presenta alcune lacune significative nel nostro Paese. Come spiega l'Avvocato Olindo Genovese dello Studio legale Daverio&Florio, "al momento nessuna Autorità è stata formalmente istituita" in Italia. Il Disegno di legge sull'intelligenza artificiale, che dovrebbe designare AgID e ACN come autorità nazionali competenti, è ancora legato all'approvazione della legge di Bilancio.
Questa situazione di incertezza istituzionale non ferma però le aziende dal dover agire concretamente. Federica Giaquinta, giurista e Consigliera direttivo di Internet Society Italia, indica la strada: mappare i sistemi IA in uso, costruire una governance interna, raccogliere documentazione tecnica e investire nella formazione delle figure chiave.
La complessità normativa ha scatenato una vera e propria rivolta delle grandi aziende europee. L'appello "Stop the Clock", firmato da 50 CEO e CTO di colossi come Airbus, Deutsche Bank, Siemens e Volkswagen, chiede un rinvio di due anni dell'attuazione dell'AI Act. Le motivazioni sono tecniche ma anche strategiche: gli standard del Cen Cenelec non saranno pronti prima del 2027 e il "digital omnibus" di semplificazione arriverà solo a inizio 2026.
Secondo i firmatari, questa incertezza normativa rischia di compromettere la capacità innovativa europea. L'appello sottolinea l'opportunità unica dell'Europa di "guidare l'economia globale dell'AI", ma solo attraverso "norme chiare e prevedibili" che favoriscano PMI, startup e grandi aziende consolidate.
I CIO come campioni dell'innovazione europea
Paradossalmente, mentre le aziende chiedono più tempo, la European AI Champions Initiative che rappresenta oltre 120 imprese e il 20% dell'economia europea punta proprio sui CIO come protagonisti della leadership tecnologica continentale. Isa Sonnenfeld, Direttrice dell'iniziativa, descrive una "piattaforma per la collaborazione, l'innovazione e la generazione di un impatto reale" dove le aziende europee possano "estrarre valore dall'AI".
In Italia, i segnali sono incoraggianti: secondo l'Osservatorio MECSPE, il 73% degli imprenditori manifatturieri ha fiducia nell'impatto positivo dell'IA sull'industria. Il 40% delle imprese ha già avviato applicazioni in ambiti come supervisione dei processi, assistenza clienti e controllo qualità, anche se solo una su quattro è riuscita a integrarla in modo continuativo.
Nonostante le pressioni industriali, la strada sembra tracciata senza possibilità di retromarcia. Come chiarisce Giaquinta, "non ci sarà una proroga formale: l'AI Act è già in vigore e i suoi termini di applicazione restano confermati". Il periodo fino alla piena applicazione degli obblighi, prevista per giugno 2026 per i sistemi ad alto rischio, rappresenta però "una finestra operativa strategica" per costruire una preparazione sostanziale.
Per i CIO italiani ed europei, la sfida è quindi duplice: rispettare le scadenze normative mentre si costruisce un vantaggio competitivo attraverso l'innovazione responsabile. Una partita che si gioca oggi nei contratti di fornitura e nelle policy aziendali, ma che determinerà il futuro digitale del continente.