La scrittura sta vivendo una trasformazione che richiama alla mente le antiche botteghe rinascimentali, dove maestri artigiani progettavano opere poi realizzate dalle mani esperte dei loro apprendisti. Oggi, però, al posto degli allievi troviamo l'intelligenza artificiale, capace di trasformare le nostre idee in testi compiuti attraverso una semplice conversazione digitale. Questo fenomeno, che il filosofo Luciano Floridi ha definito "Distant Writing" nel suo recente paper sulla produzione letteraria nell'era dell'IA, sta ridefinendo completamente il concetto stesso di autorialità.
Il parallelismo con altre professioni creative è reale: l'architetto progetta edifici senza posare mattoni, il designer industriale concepisce oggetti senza maneggiarli. Tuttavia, la scrittura ha sempre rappresentato un territorio diverso, intimamente legato all'espressione personale e alla firma stilistica individuale. L'autore tradizionale si trasforma oggi in quello che Floridi chiama "metautore", una figura che definisce strutture, toni e contenuti senza però produrre materialmente il testo finale.
Questa evoluzione realizza interrogativi sulla natura stessa della creatività letteraria. Quando utilizziamo chatbot come ChatGPT o Claude per generare contenuti, ci distanziamo fisicamente dall'atto della scrittura, diventando più simili a registi che dirigono una performance piuttosto che a scrittori nel senso tradizionale del termine. "Ciò che ci distingue è lo stile, la firma stilistica, dentro cui c'è tutto il nostro bagaglio esperenziale" dice Fabrizio Degni, ricercatore esperto di etica e governance dell'intelligenza artificiale. "Lo scrivere arriva anche dallo stato d'animo, da un momento unico, soggettivo. Con l'arrivo dell'IA e del fenomeno del Distant Writing, l'autore non è più un demiurgo ma un progettista. Ha un'idea condivisa con l'IA e che ha il compito di generare il contenuto".
Il dilemma della firma stilistica nell'era digitale
Ogni intelligenza artificiale possiede un proprio dataset di riferimento, un bagaglio comune che influenza inevitabilmente il modo in cui elabora e presenta le informazioni. "Questo significa che quando chiediamo a un'IA di scrivere nel nostro stile" prosegue Degni, "otteniamo in realtà una sintesi statistica di migliaia di voci diverse, perdendo quella unicità espressiva che rendeva riconoscibile la penna di ogni autore".
Il problema si amplifica quando consideriamo l'impatto su settori come la critica letteraria. Come può un critico valutare un'opera quando non è più possibile distinguere chiaramente tra l'apporto creativo dell'autore e l'elaborazione algoritmica? La responsabilità rimane comunque dell'essere umano che appone la propria firma al testo, ma i parametri di giudizio tradizionali vacillano di fronte a questa nuova realtà produttiva.
”È un aspetto non di poco conto. Particolarmente significativo è l'impatto sul mondo dell'editoria, dove editori si trovano a valutare opere che potrebbero contenere elementi di cui l'autore stesso non possiede una conoscenza approfondita. Questo scenario presenta rischi concreti: un autore potrebbe inserire nel proprio lavoro argomentazioni o riferimenti che non padroneggia completamente, affidandosi ciecamente alle competenze dell'intelligenza artificiale senza verificarne l'accuratezza o la pertinenza".
Implicazioni legali e formazione scolastica
Il sistema educativo si trova di fronte a una sfida senza precedenti. Gli studenti hanno ora accesso a una forma di conoscenza che non richiede più ricerca attiva o analisi critica delle fonti, ma semplicemente la capacità di formulare domande appropriate. Questa trasformazione richiede un ripensamento radicale dei metodi didattici, che dovranno insegnare non solo a utilizzare questi strumenti, ma anche a governarli criticamente e a mantenere quella capacità di analisi che rimane fondamentalmente umana.
Dal punto di vista legale, le questioni di copyright e responsabilità restano ancorate ai principi tradizionali: chi firma un testo ne assume la piena responsabilità, indipendentemente dagli strumenti utilizzati per la sua creazione. Questo principio si estende anche alle conseguenze legali: casi di diffamazione o violazioni prodotte con l'ausilio dell'IA ricadono comunque sulla responsabilità dell'autore che ha pubblicato il contenuto.
"L'IA, di per sé è sicuramente un vantaggio, anche dal punto di vista educativo. Il rischio di chiudersi dentro una bolla di vetro, un percorso che continua a utilizzare solo metodi classici, è discutibile. Anche le modalità con cui gli studenti affrontano a casa i compiti sono da rivedere, avendo tra le mani una conoscenza che può rispondere a qualsiasi quesito. La parte di ricerca, analisi e validazione delle fonti, deve continuare a esserci perché l'IA è un'opinione non è un oracolo" sottolinea Degni. "È utopistico pensare di fermare la tecnologia ma lavorare per governarla da parte del legislatore. Tutti dobbiamo avere le stesse opportunità di studio".
L'appiattimento stilistico
Un rischio significativo è rappresentato dall'appiattimento stilistico: se un numero crescente di scrittori si affida agli stessi strumenti, potremmo assistere a una progressiva omogeneizzazione della produzione letteraria. "La ricchezza lessicale del vocabolario italiano, che conta circa 250.000 termini, rischia di essere compressa in un insieme molto più limitato di parole e costruzioni sintattiche tipiche dei modelli di intelligenza artificiale".
Questo fenomeno di "distant writing" rappresenta in realtà solo la punta dell'iceberg di una trasformazione più ampia che potremmo definire "distant doing". Programmatori, designer, marketing specialist e professionisti di ogni settore stanno sperimentando questa stessa separazione tra progettazione e esecuzione. Stiamo diventando una società di progettisti piuttosto che di esecutori, almeno nei lavori intellettuali, con conseguenze che è ancora difficile prevedere completamente. "Non c'è nessuna conoscenza pregressa sull'IA. In corsa d'opera stiamo acquisendo o meglio 'subendo' questa trasformazione" conclude Degni.
La sfida principale rimane dunque quella di sviluppare le competenze necessarie per gestire questa trasformazione. Non esiste ancora un bagaglio di conoscenze consolidato per affrontare questo nuovo ruolo di "regista" della creatività artificiale. L'importante è mantenere una consapevolezza critica di questi strumenti, utilizzandoli come amplificatori delle nostre capacità piuttosto che come sostituti del pensiero creativo.