Immaginate questa scena. Una persona qualsiasi esce dall’ufficio, sale sul tram, apre il laptop e invece di scrollare social scrive poche righe a un’AI: “Vorrei una piattaforma per gestire i corsi che tengo la sera: calendario, iscrizioni, pagamenti, e una piccola area community”. Dopo pochi minuti ha davanti una prima versione del suo prodotto: schermate, pulsanti, login. È grezza, imperfetta, ma esiste. Il resto si sistema strada facendo, provando, correggendo, aggiungendo pezzi.
Fino a ieri, per fare una cosa del genere, questa persona, avrebbe dovuto chiamare un’agenzia, cercare uno sviluppatore, parlare un linguaggio che non conosceva. Più realisticamente, avrebbe rinunciato. Persone che prima usavano soltanto il software, ora iniziano a costruirlo, o almeno nella sua versione beta.
Dentro questo movimento è spuntata una parola che, in pochi mesi, è uscita dal gergo degli addetti ai lavori per diventare cultura pop: vibe coding.
Mettetevi comodi, iniziamo!
I protagonisti di questo cambiamento: Andrej Karpathy, ex OpenAI, Michele Catasta, Replit e Elena Verna, Lovable. Oggi parliamo di loro e di come con il Vibe Coding stanno ridisegnando il modo di sviluppare software.
Vibe Coding: “Word of the Year”
Quello che per quella persona di cui parlavamo prima, è solo un esperimento sul tram, in realtà è un tassello di qualcosa di molto più grande: un cambio di paradigma nel modo in cui un software, un'app, un sito viene immaginato, progettato e costruito.
È dentro questo contesto che, a febbraio 2025, Andrej Karpathy – informatico, cofondatore di OpenAI ed ex responsabile dell’AI di Tesla – conia l’espressione “vibe coding”. Lo fa dopo un weekend passato a "smanettare" con assistenti di coding basati su modelli linguistici avanzati. In un lunga serie di post che diventa virale racconta la sensazione di lavorare quasi “a vibrazioni”: invece di concentrarsi sulle singole righe, si limita a dire al modello cosa vuole ottenere, affidandosi alle sue proposte e “dando completamente fiducia alle vibes”.
Da lì la parola esce dal recinto della community. Arrivano gli articoli sui grandi quotidiani internazionali, poi le rubriche di linguaggio e costume, fino al passaggio simbolico: il Collins Dictionary che elegge “vibe coding” Word of the Year 2025. Nella motivazione la definizione è chiara: l’uso dell’Intelligenza Artificiale, guidata da istruzioni in linguaggio naturale, per assistere la scrittura di codice. Sembra un dettaglio, ma non lo è. Quando una parola del genere entra in un dizionario importante, vuol dire che non stiamo più parlando solo di tecnologia: stiamo dando un nome nuovo al rapporto tra le persone e il software.
Collins ha scelto “vibe coding” come Parola dell’Anno 2025: un termine coniato da Andrej Karpathy che indica l’uso dell’Intelligenza Artificiale per scrivere software a partire dal linguaggio naturale—spieghi cosa vuoi, e l’AI genera il codice. La shortlist riflette uno spostamento culturale verso la tecnologia, ma anche la ricerca di autenticità in un mondo performativo. Qui la news.
Cos’è davvero il Vibe Coding
Ma, concretamente, che cosa significa “fare vibe coding”? Torniamo alla scena di partenza. Quella stessa persona, apre una piattaforma di vibe coding e scrive: mi serve un’app per gestire i preventivi dei clienti, con login, dashboard, approvazione o rifiuto delle proposte e una sezione note. Dall’altra parte non c’è uno sviluppatore umano, ma un agente di intelligenza artificiale che interpreta la richiesta, genera il codice, costruisce l’interfaccia e in pochi istanti le restituisce una prima versione funzionante.
Da lì parte un dialogo: si prova l’app, si chiede di cambiare un colore, semplificare un passaggio, aggiungere un campo, segnalare ciò che non funziona. L’Intelligenza Artificiale aggiorna il codice, rilancia una nuova versione, e il ciclo continua finché il risultato non assomiglia abbastanza a quello che aveva in mente. Il focus si sposta: non è più la sintassi del linguaggio di programmazione al centro della scena, ma la capacità di spiegare bene il risultato desiderato, leggere con occhio critico ciò che l’AI produce, testare che ogni pezzo faccia davvero il suo lavoro.
Qui sta lo scarto rispetto all’uso “classico” dell’AI nel coding. Non è solo un aiuto a completare righe di codice, è un modo diverso di lavorare: chi sviluppa – o chi non ha mai scritto una riga – rinuncia a controllare ogni singolo comando e si concentra sul comportamento complessivo del software, sull’esperienza d’uso, sui test. Il codice resta importante, ma si sposta un passo indietro.
Per chi non è sviluppatore, questo significa poter passare dall’idea al prototipo senza anni di studio su un linguaggio. Per chi il software lo costruisce di mestiere, il vibe coding sposta l’attenzione su architettura, progettazione, sicurezza, manutenzione nel tempo. In tutti i casi, l’AI non è un sostituto, ma un partner operativo da guidare e verificare: un collega junior velocissimo che, se lo indirizzi bene e lo controlli, ti moltiplica il lavoro; se lo lasci da solo, può combinare qualche guaio.
Andrej Karpathy (39) è un informatico slovacco-canadese che ha ricoperto il ruolo di direttore dell'intelligenza artificiale e di Autopilot Vision presso Tesla. Ha co-fondato e in precedenza ha lavorato presso OpenAI, dove si è specializzato in deep learning e computer vision. Qui il suo post sul profilo X che ha dato il via alla nascita della filosofia "Vibe Coding". Puoi leggerlo qui.
Lovable: dalla chat alle metriche da record
Per capire cosa succede quando il vibe coding smette di essere un’idea e diventa un prodotto per milioni di persone, basta guardare Lovable. In poco tempo è passata da nome sconosciuto a caso di studio in tutte le slide sul futuro del software.
La storia, in numeri, è impressionante. Nata a Stoccolma e lanciata alla fine del 2024, in meno di un anno Lovable supera i 200 milioni di dollari di ricavi ricorrenti annui. Chiude un round da 200 milioni che la porta a una valutazione intorno a 1,8 miliardi di dollari: un unicorno lampo, come l’hanno definita Forbes e Saastr.
Per raggiungere i primi 100 milioni di ricavi ricorrenti annui le bastano circa otto mesi, una traiettoria che molti analisti hanno paragonato – e talvolta giudicato persino più veloce – a quella iniziale di ChatGPT. Nel frattempo, la base utenti continua a crescere e oggi sfiora gli otto milioni di iscritti attivi sulla piattaforma. Il cuore del servizio sta proprio in questa continuità conversazionale.
L’app nasce da una chat, cresce per interazioni rapide, viene provata dagli utenti finali e rimodellata quasi in tempo reale. È anche per questo che Lovable è diventata uno dei simboli commerciali del vibe coding: per chi ha un’idea ma non un team di sviluppo, la distanza tra il pensiero e il software – tra “magari un giorno” e “ce l’ho sullo schermo” – si accorcia in modo drastico.
Il 19 e 20 maggio 2026 alla AI WEEK potremo sentire questa storia raccontata in prima persona da Elena Verna, responsabile della crescita di Lovable e tra le artefici principali del suo successo.
Elena Verna, responsabile della crescita di Lovable e tra le artefici principali del suo successo sarà speaker il 19 e 20 Maggio 2026 alla AI WEEK. Qui puoi prendere il tuo Pass per incontrarla.
Replit: gli agenti che capiscono, costruiscono e fanno debugging
Se Lovable è il volto più “consumer” e orientato alle startup di questa rivoluzione, Replit è il ponte ideale con il mondo degli sviluppatori professionisti. È nata come ambiente di sviluppo online, un posto dove scrivere ed eseguire codice dal browser, e oggi è diventata uno degli spazi naturali per fare vibe coding in chiave pro.
Anche qui, il racconto si intreccia con AI WEEK: il 19 e 20 maggio 2026 a Milano, sul palco arriverà Michele Catasta, Presidente e Head of AI di Replit, per mostrare cosa significa lavorare con una squadra di agenti intelligenti al proprio fianco.
Il centro dell’offerta è proprio questo sistema di agenti. L’utente descrive in linguaggio naturale il tipo di applicazione che vuole: un gestionale, un gioco, un portale interno aziendale. L’agente legge la richiesta, la scompone, prepara la struttura del progetto, genera i file necessari, sceglie librerie e framework, scrive il codice e lo manda in esecuzione.
La parte davvero interessante, però, arriva dopo il primo “wow”. Questi agenti non si limitano a costruire: si occupano anche della fase più delicata, quella che tradizionalmente fa perdere più tempo a chi sviluppa, il debugging. Grazie a un sistema di self-testing, gli agenti di Replit aprono l’app in un browser, cliccano sui pulsanti, compilano i form, simulano il comportamento di un utente reale e tengono traccia di errori, anomalie, comportamenti inattesi.
Quando qualcosa non funziona, non si fermano alla segnalazione: propongono una correzione, modificano il codice e ripetono i test, in un ciclo continuo.
Michele Catasta, Presidente ed Head of AI di Replit sarà speaker il 19 e 20 Maggio 2026 alla AI WEEK. Qui puoi prendere il tuo Pass per incontrarla.
Sipario e Conclusioni
Se il modo di sviluppare software sta cambiando, quali competenze dobbiamo allenare oggi? Imparare a dialogare con l’Intelligenza Artificiale, fare domande precise, definire bene i requisiti, leggere criticamente i risultati, testare e misurare l’impatto diventa centrale quanto conoscere un linguaggio di programmazione. Per anni “saper programmare” ha significato soprattutto scrivere codice; il vibe coding suggerisce un orizzonte diverso: saper costruire prodotti digitali partendo da idee chiare, capacità di progettazione e un uso consapevole dell’intelligenza artificiale come partner creativo e operativo.
È questo il modo di usare l’AI che ci piace raccontare: non come fine, ma come mezzo per allargare le possibilità. Quando ti permette di togliere la polvere a un’idea nel cassetto, quando accorcia la distanza tra “magari un giorno” e “oggi faccio una prova”, quando rende concretizzabile – quasi in un soffio – ciò che fino a qualche anno fa era fuori portata.
Il vibe coding è esattamente questo: un invito gentile a non fermarsi al sogno, ma a vedere cosa succede quando lo racconti ad un’Intelligenza Artificiale e le chiedi di farlo diventare reale.
Two Humans in The Loop
Il podcast dove si parla di Intelligenza Artificiale e Umanità.
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