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La Città che siamo diventati: tutte le anime di New York [Recensione]

La città che siamo diventati: tutte le anime di New York magnificamente raccolte da N.K. Jemsin nel nuovo romanzo edito da Oscar Vault.

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Avatar di Manuel Enrico

a cura di Manuel Enrico

Pubblicato il 03/09/2022 alle 10:00
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In sintesi

La città che siamo diventati: tutte le anime di New York

  • Pro
    • - Ritratto impeccabile dell'anima di New York
    • - Storia intrigante e ben sviluppata
    • - Personaggi ben sviluppati
  • Contro
    • - In alcuni passaggi richiede una certa conoscenza della storia di New York

Il verdetto di Tom's Hardware

La Città che siamo diventati si basa su un’opera di world building particolarmente ispirata. La scelta dell’autrice di trasformare delle persone comuni, che siano figli del melting pot culturale newyorkese o futuri cittadini, coincide con la rappresentazione metaforica dei tratti tipici delle diverse circoscrizioni della città, frutto di storie specifiche che, pur appartenenti alla macro-narrazione della città, sono comunque entità autonome, ermetiche.


Informazioni sul prodotto

Immagine di La città che siamo diventati

La città che siamo diventati

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‘Una volta che siete vissuti a New York per qualche tempo e la città è diventata casa vostra, non c’è posto altrettanto bello’. Con queste parole, John Steinbeck condensava il suo pensiero sulla metropoli per eccellenza, quel dedalo urbano di grattacieli e piccoli caseggiati che compone l’anima della Grande Mela. Difficile camminare per le anguste vie di Chelsea o per le più note strade di New York e non sentirsi parte di una comunità più grande, variegata e capace di mostrare diverse anime man mano che si passa da un quartiere all’altro. Una sensazione di mutamento emotivo che viene magnificamente raccolta e rielaborata da N.K. Jemsin con il suo La città che siamo diventati, nuovo romanzo che Oscar Vault presenta sotto l’etichetta Oscar Fantastica.

Cogliere l’essenza di una città tentacolare che vive grazie a una varietà umana capace di affondare le proprie radici in diverse parti del mondo, è un’opera impossibile. Da Ellis Island sono transitati milioni di immigrati, che arrivando sul suolo americano hanno cercato un nuovo futuro, portando con sé un bagaglio culturale e umano che, amalgamandosi con le altre culture accolte all’ombra di Lady Liberty, hanno dato a un microcosmo unico nel suo genere. Una caleidoscopica multietnicità che ha portato alla nascita di piccole enclavi, come la ‘nostra’ Little Big Italy, ma che ha rappresentato la forza di questa città, che specie nei momenti peggiori della sua storia ha trovato in questa ricchezza umana il proprio spirito. Non stupisce che ad ispirare la Jemsin per questo suo racconto fantastico sia stata proprio la geografia di questo centro urbano, diviso in distretti che sono diventati nomi carichi di promesse e di fascino.

La città che siamo diventati: tutte le anime di New York

Le grandi città non sono solo una cornice per la vita degli esseri umani, ma sono degli organismi viventi, con un proprio ciclo vitale, che passano dall’essere un semplice agglomerato di metallo e cemento a entità vivente tramite una nascita, una presa di coscienza collettiva resa possibile da un avatar, un umano che ne diviene il custode e protettore, mostrandone i tratti tipici. E una metropoli come New York, fatta da una miriade di micro-culture e da quartieri con identità specifiche, non può avere un solo avatar, ma ne rivendica uno per ogni distretto: Manhattan, Queens, Bronx, Brooklyn, Staten Island. Una compagine di manifestazioni fisiche dell’identità dei quartieri newyorkesi che deve proteggere la Grande Mela nel momento della sua nascita, l’attimo più pericoloso della sua esistenza, dove è più vulnerabile agli attacchi di un misterioso nemico.

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La Città che siamo diventati si basa su un’opera di world building particolarmente ispirata. La scelta dell’autrice di trasformare delle persone comuni, che siano figli del melting pot culturale newyorkese o futuri cittadini, coincide con la rappresentazione metaforica dei tratti tipici delle diverse circoscrizioni della città, frutto di storie specifiche che, pur appartenenti alla macro-narrazione della città, sono comunque entità autonome, ermetiche. Facile quindi vedere come Manhattan sia visto con iniziale sospetto da un quartiere più popolare come il Bronx, o come Staten Island, spesso dimenticato quando si parla della bellezza di New York, abbia un atteggiamento scostante e ribelle nei confronti delle altre parti della città. Calato all’interno di un racconto dal deciso sapore urban fantasy, questo concept consente non solo di vivere un’avventura che ci conduce alla scoperta di angoli poco turistici di NYC, offrendoci quindi una visione unica della ‘vera’ New York, ma pone davanti al lettore una fotografia autentica della città, con precisi riferimenti storici e rendendosi uno strumento analitico atipico ma affascinante di una delle più complesse e ammalianti entità sociali del mondo contemporaneo.

La dinamica con cui N.K. Jemsin ci guida attraverso questa lotta per la salvezza di New York trova nella scansione dei tempi e nella costruzione della dinamica interpersonale tra i personaggi una felice crasi, che consente sia di mantenere alta l’attenzione del lettore, sia di concedersi il giusto tempo per far evolvere la trama senza dimenticare di dare spessore e anima ai protagonisti. Anche la gestione dell’amnesia di Manhattan non viene utilizzata come un deus ex machina per aggiungere un tocco di incolore mistero, ma trasforma questo avatar nella figura più magnetica, nella sua ricerca di un’identità che, diversamente agli altri, è più radicata nel suo contesto urbano, a costo di rinunciare al proprio ‘io’ autentico.

In New York, concrete jungle where dreams are made of...

Non avendo letto in originale il romanzo, per giudicare la scrittura della Jemsin dobbiamo affidarci alla traduzione di Alba Mantovani, che nell’adattamento coglie una buona dialettica nei dialoghi, sempre vivaci e dal gusto realistico, mentre nelle descrizioni e nei lunghi capitoli ritrattistici non manca di utilizzare aggettivi che ben si adattano alla caratterizzazione di una New York che risulta ben più dell’immaginario cinematografico cui siamo abituati, consentendoci di immaginare scorci raramente valorizzati dal mondo dell’entertainment, ma che rappresentano la vera essenza della città, la sua anima autentica. Essenziale nella convincente creazione di questa New York immaginari la visione fantasy di Jemsin, che trova una felice sinergia tra la natura urbana della metropoli e la concezione di una componente fantastica che varia a seconda delle percezioni dei personaggi coinvolti, passando da un immaginario alla Borges, con una realtà ulteriore ai margini della percezione, sino a una più devastante interazione orrorifica che attinge a pieni mani alla narrativa di Lovecraft, grazie al quale realizza uno dei momenti più intensi dell'intero racconto.

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Con La Città che siamo diventati, Oscar Vault sceglie di pubblicare un romanzo coraggioso, diverso dal tradizionale urban fantasy, che per ispirazione sembra ricordare quanto fatto a suo tempo da Neil Gaiman con il suo Nessundove. Sembra quasi poeticamente giusto che sulla copertina dalle affascinanti tinte psichedeliche di La Città che siamo diventati campeggi un rapido giudizio dello stesso Gaiman, che definisce il romanzo della Jemsin come ‘un fantasy meraviglioso’. In una proposta letteraria ampia come quella di Oscar Vautl, in cui si alternano nuove proposte e importanti recuperi dei classici del genere, un romanzo come La Città che siamo diventati rappresenta un’interessante alternativa, che unisce il gusto della letteratura fantastica alla metaforica descrizione di uno dei punti nevralgici del nostro mondo.

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