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La Prigioniera d’Oro: la recensione del fantasy Armenia

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Libri e Fumetti

La Prigioniera d’Oro: la recensione del fantasy Armenia

di Rossana Barbagallo sabato 21 Maggio 2022 11:00
  • 5 min
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Più informazioni su
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La Prigioniera d’Oro è un romanzo difficile da collocare in un genere chiaramente identificabile, ma proprio per questo scevro da etichette costrittive che possano “ingabbiarlo“, come la protagonista di cui narra. Il libro dell’autrice americana Raven Kennedy edito in Italia da Armenia, fa parte infatti della saga Re Mida e la Gabbia Dorata: un retelling della figura mitica della Frigia, che non si muove entro canoni stabiliti ma riscrive un fantasy con regole proprie. Allo stesso tempo, tuttavia, non è semplice inquadrare La Prigioniera d’Oro nella struttura della saga che compone, poiché primo volume che lascia aperte troppe domande e troppe congetture in vista di un seguito. Abbiamo provato a dare un ordine a quanto letto e vogliamo proporvelo nella nostra recensione.

La Prigioniera d'Oro

La Prigioniera d’Oro, la trama

Nel mondo magico di Orea, vive re Mida: il re dal tocco d’oro, tanto che ogni cosa nel suo fantastico castello di Highbell è dorata. Anche la sua favorita, Auren, giovane donna che vive al piano superiore del castello, dove ogni stanza e ogni corridoio sono circondati da sbarre. Auren vive dunque da anni in una gabbia dorata, poiché anch’essa interamente coperta d’oro dalla testa fino ai piedi, e nessuno al di fuori di re Mida può avvicinarsi a lei o toccarla.

La Prigioniera d'Oro

La favorita del re si sente tuttavia protetta, dietro le sbarre che ne costringono i movimenti entro un perimetro definito: sfuggita a fame e guerra, Auren è stata salvata da re Mida e adesso è grata all’uomo che, dapprima suo amico, è diventato suo amante. Un accordo bellico tra il Sesto Regno di Highbell e il Quinto Regno governato da re Fulke sta però per mettere in discussione la sicurezza di Auren, facendole scoprire quanto può essere stretta una gabbia, seppur d’oro.

Il primo volume di Re Mida e la Gabbia Dorata: prime impressioni

Armenia, che nel suo catalogo Fantasy può vantare la presenza di saghe come Il Libro Malazan dei Caduti e i Romanzi di Forgotten Realms, porta in Italia anche La Prigioniera d’Oro di Raven Kennedy, che in questo genere si colloca in maniera un po’ “ribelle” e peculiare. La Prigioniera d’Oro è infatti un romanzo multiforme, cangiante, che si avvale di molteplici elementi per raccontare un mondo con regole proprie. È innanzitutto difficile collocarlo in un’ambientazione definita: da un retelling del mito di re Mida ci si aspetterebbe un luogo che rimandi alla tipicità mediterranea della Frigia, tuttavia veniamo introdotti in una location fredda e costantemente innevata in cui la descrizione di castelli, spade, armature e armi da fuoco richiamano un’epoca a cavallo tra Medioevo e Rinascimento.

In questo contesto apprendiamo dell’esistenza di individui dotati di particolari doti magiche e solo a essi è concesso il diritto di sedere su un trono per governare i sei regni che compongono Orea. Come re Mida che trasforma in oro ciò che tocca (riuscendo, a differenza del suo omonimo frigio, a controllare tale potere), anche i re degli altri regni possiedono doti specifiche: re Fulke duplica gli oggetti, re Ravinger del Quarto Regno può far marcire in pochi istanti qualunque essere vivente, e così via. Non mancano figure temibili come i Pirati delle Nevi, uomini spietati che si spostano tra i ghiacci per mezzo di enormi navi trainate da Artigli di Fuoco, grossi felini dalle zampe infuocate. E non è considerato inconsueto il fatto che i re espongano al pubblico dominio il loro possesso di “selle” reali: prostitute d’alto bordo che hanno il compito esclusivo di soddisfare qualsiasi richiesta del loro sovrano.

La Prigioniera d'Oro

Un po’ dark fantasy, un po’ anche Final Fantasy in versione adulta e “cattiva”, con tanto erotismo e tanta violenza, la Prigioniera d’Oro si avvale di un’ambientazione fantastica appartenente a uno pseudo-passato vagamente riconoscibile, per raccontare una storia contemporanea e autentica. Nel farlo perde lungo il percorso la bussola del linguaggio, inserendo termini un po’ troppo contemporanei, come ad esempio gli “Okay” pronunciati spesso da Auren. Non si può certo dire, però, che la scrittura non sia scorrevole e godibile, cosa che talvolta chi scrive fantasy dimentica di utilizzare: un linguaggio privo di pomposità e libero dal tono di aulica austerità, che rendono difficoltosa la lettura e spezzano il ritmo della narrazione.

Raven Kennedy riscrive il mito di re Mida e in un certo senso riscrive il dark fantasy per adulti a suo modo. Può essere una formula che in certi termini non porta al perfetto funzionamento dell’equazione soprattutto perché, come accennato, la descrizione delle ambientazioni e dell’epoca in cui la trama è inserita sono vaghe e lasciano forse troppo spazio all’immaginazione. Nell’economia generale dell’opera anche il cliffhanger finale è una conclusione amara, che lascia così tante domande in sospeso da non permettere di dare un giudizio netto, ma dà adito a a una moltitudine di congetture, tanto da inquinare la valutazione. Il punto fondamentale de La Prigioniera d’Oro rimane comunque il messaggio che lascia trasparire attraverso le vicende di Auren, vera protagonista del romanzo, donna rinchiusa in una gabbia materiale e figurata, prigioniera di un ambiente fortemente patriarcale e di una relazione tossica.

Raccontare il ruolo della donna attraverso il fantasy

La Prigioniera d’Oro di Raven Kennedy è una lettura che cela un’anima nera sotto strati di oro brillante e opulenza. Per leggere questo romanzo è innanzitutto necessario possedere uno stomaco forte, utile per affrontare le frequenti sequenze di violenza e le scene a sfondo erotico, non necessariamente slegate le une dalle altre. Esse tuttavia non sono mai fini a sé stesse: nulla è gratuito, buttato lì per il mero intento di sconvolgere il lettore, quanto piuttosto per parlare dei meccanismi patriarcali, autentici e crudeli, che governano il mondo narrato.

La Prigioniera d'Oro

Il ruolo della donna è infatti marginale, relegato a posizioni che prevedono unicamente la soddisfazione dell’uomo. Persino la regina Malina, moglie di re Mida, è costretta ad accettare senza diritto di replica le decisioni strategiche prese dal marito, nonostante sia di fatto la legittima erede al trono del regno di Highbell. Le sorti peggiori toccano ovviamente alle selle reali, il cui dovere è procurare piacere, e ad Auren: una prigioniera che, salvata in passato dal suo stesso “aguzzino”, non può che accettare la sua condizione attuale in una sorta di sindrome di Stoccolma che vive con sentimenti contrastanti.

Situazioni estreme, certo, ma che non sono poi così lontane dalla realtà contemporanea. Basti pensare alla relazione tossica tra Auren e re Mida, qui narrata figurativamente attraverso le sbarre della gabbia che li separa e che preclude alla giovane donna di vivere nel mondo esterno, ma metafora di una libertà che spesso viene negata alla donna nel quotidiano ambiente domestico in nome di un affetto falso e presunto. Ciò che ne La Prigioniera d’Oro risulta un po’ gratuito è quel linguaggio contenente oscenità che viene utilizzato per gran parte del libro, funzionale inizialmente, poi solo piuttosto volgare e ripetitivo. La trama è cruda, non c’è dubbio, ma a nostro parere funziona anche senza l’uso tanto eccessivo di turpiloqui e risulta essere schietta e genuina, metafora di una condizione femminile che nel mondo reale sarebbe tristemente realistica.

La Prigioniera d'Oro

In conclusione, il plauso va ancora una volta anche ad Armenia, per la qualità dell’impaginazione, dal materiale all’editing del testo. L’unica scelta discutibile riguarda la grafica del titolo in copertina: “La Prigioniera d’Oro” risulta infatti nascosto tra le sbarre della gabbia dorata raffigurata, un tripudio confusionario di lettere e sbarre che non valorizza quindi appieno il titolo. Ottima, invece, la scelta dei colori nero e oro che rappresentano bene il nucleo dell’opera. Resta tuttavia da capire se i romanzi della saga di Re Mida e la Gabbia Dorata consentiranno di formulare un giudizio più strutturato, poiché al momento è facile cadere in un generale senso di vaghezza.

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La Prigioniera d’Oro

La Prigioniera d'Oro
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Non è semplice incasellare La Prigioniera d'Oro entro parametri riconoscibili: questo dark fantasy per adulti di Armenia riscrive un po' le regole del gioco, attraverso un retelling della figura mitica di re Mida in un mondo costruito con regole proprie. Un fantasy peculiare, dunque, quello di Raven Kennedy, che colpisce per la sua originalità facendosi carico di tematiche forti e crude che hanno al loro centro il ruolo della donna in una società prettamente patriarcale. Relazioni tossiche, violenza, intrighi politici, il tutto condito da tanto erotismo. Nulla è gratuito o lasciato al caso, ma funzionale a descrivere una condizione tristemente contemporanea. Non è ancora chiaro, tuttavia, come approcciarsi a La Prigioniera d'Oro, poiché primo volume di una saga che attualmente dà adito a troppe congetture per formulare un giudizio netto. Sarà necessario dunque scoprire come proseguirà questa storia, che in ogni caso possiede un ottimo tasso di coinvolgimento (a patto che si abbia uno stomaco di ferro).

Pro

  • Un dark fantasy per adulti originale, con elementi peculiari;
  • Un retelling della figura di re Mida che non ci si aspetta;
  • Di forte impatto la tematica trattata del ruolo della donna...
  • ...che rende questo fantasy autenticamente contemporaneo;
  • Ottima impaginazione e scelta dei colori in copertina

Contro

  • Descrizione dell'ambientazione un po' vaga...
  • ...e troppo spazio a numerose domande e congetture...
  • ...che non consentono un giudizio netto e univoco;
  • Scelta discutibile per la grafica del titolo in copertina
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