The Terminal List, recensione: la guerra è dentro di noi

La nostra recensione di The Terminal List, la nuova serie televisiva con Chris Pratt in arrivo il 2 luglio su Prime Video.

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a cura di Nicholas Mercurio

La guerra non cambia mai. Per chi non la conoscesse, questa è una frase che arriva direttamente dalle introduzioni degli ultimi tre Fallout, la celeberrima saga videoludica sviluppata da Bethesda. Se non altro, è azzeccata dopo quanto abbiamo visto in The Terminal List, la serie Prime Video prodotta da Chris Pratt (Guardiani della Galassia, The O.C) in arrivo il 2 luglio, basata sull’omonimo romanzo di Jack Carr, ex Navy Seal ed ora autore di successo di alcuni tra i thriller politici più interessanti degli ultimi dieci anni, vantando delle candidature come l’Audie Awards for Thriller/Suspense nel 2018.

The Terminal List, a differenza di American Sniper, non è però una storia che parla di eroi di guerra e di situazioni calde nel Medio Oriente. Se pensate di trovarvi davanti un racconto simile a quello di Chris Kyle, il celebre cecchino delle forze speciali americane, dovete sapere che potrebbe essere una serie non adatta a voi e che probabilmente rivedere la produzione diretta da Clint Eastwood potrebbe essere un’ottima scusa per ritornare in Iraq e accorgersi di quanto la guerra non cambi mai.

Questo, però, rende The Terminal List meno interessante rispetto al capolavoro del regista americano? La risposta è un no secco, perché la produzione che vede Chris Pratt come produttore esecutivo e protagonista delle vicende raccontate per noi da registi del calibro di Antoine Fuqua e Davide DiGilio mette in luce ben più della classica trama thriller cui siamo abituati da sempre. E se aggiungi alla miscela un po’ di politica e complotti degni di Attacco al Potere, il risultato non può che essere convincente.

Una missione e un ritorno traumatico: The Terminal List parla di una storia devastante

Non potendovi fare spoiler sull’intera trama e sui dettagli più delicati di The Terminal List, possiamo solamente dirvi che la storia tratta del Navy Seal James Reece (Chris Pratt), comandante di un plotone in Afghanistan a soli quarant’anni, nonché una delle leggende del deserto più temute dai talebani e dalle forze oscurantiste che dominano il paese mediorientale.

Considerato un uomo efficace e dal grande spirito d’iniziativa, James Reece è rispettato dai suoi uomini quanto dalle più alte sfere dell’unità speciale, tanto da aggiudicarsi il difficile compito di guidare un assalto in una missione delicata e ad alto rischio, quella da cui si può tornare con una stella d’argento di prima classe al petto, anche se da morti. La missione, come è inevitabile, si rivela un fallimento annunciato: le truppe vengono circondate e coinvolte in una fortissima esplosione, che le uccide e disintegra. Del plotone resta solo James Reece, l’unico superstite dell’imboscata e dell’operazione segreta Spada di Odino.

Dopo una breve riabilitazione, James Reece ritorna a casa da eroe, stanco e provato per la perdita dei suoi uomini e per il fallimento della missione, ma comunque felice di rivedere sua moglie Lauren (Riley Keough) e Lucy (Arlo Mertz), che non riabbracciava da diversi mesi. Pur cercando di dimenticare l’accaduto, John Reece affronta i tristi ricordi avvenuti in Afghanistan, cercando di andare avanti, ma senza successo. Inizialmente pensavamo si trattasse del classico disturbo post-traumatico da stress, una condizione psicologica che allontana dalla realtà con sintomi variegati e brutali, capaci di intaccare la serenità di chiunque.

Scopriamo però, una volta compresi i pensieri di James Reece, che quanto vede e prova è reale e tangibile, nonostante abbia pensieri confusi e alle volte perda totalmente il contatto con la realtà. Inizia addirittura a pensare di essere il responsabile del fallimento dell’operazione, arrivando ad accusarsi e sentendosi sempre più affranto e solo.

L’essere umano è al centro del dramma

Certe cose non funzionano affatto come appaiono, anzi: sono addirittura peggiori e ben più brutali. James Reece comincia a dubitare di chiunque, pensando di essere un pazzo e valutando l’idea di ritirarsi dal corpo dei Navy Seal, di andare in pensione e di mettere da parte la sua leggenda. Gli avvenimenti che lo coinvolgono, però, non sono finzioni e neppure sogni ad occhi aperti. C’è effettivamente qualcuno che muove dei fili ed agisce nell’oscurità, qualcuno che ha condannato il suo plotone alla morte e la sua intera esistenza in un purgatorio di sensi di colpa, oltraggiandolo e facendolo sentire sbagliato.

La prima stagione di The Terminal List ruota attorno a James Reece e alla sua vendetta, che spera di consumare lentamente, utilizzando tutto quello che è in suo potere per fermare chi ha ucciso i suoi commilitoni. Nella sua lista ci sono nomi potenti, che però non possiamo rivelarvi: sappiate solamente che la trama ha tanti colpi di scena inaspettati e degni di nota. Portano ad appassionarsi, come era ovvio, ai vari avvenimenti al suo interno, dando modo di provare empatia per James Reece e la sua evoluzione, che avviene lentamente, in modo ponderato e logico.

In tal senso, il talento di Chris Pratt, già noto a molti, è il reale fiore all’occhiello dell’intera produzione. Ci siamo abituati al suo ruolo con Star Lord, e non ci è mai capitato di vederlo afflitto, contorto, riflessivo e triste, con un peso sferzante nel cuore. A rendere grande il personaggio di James Reece è, quindi, la sua interpretazione mai fuori dagli schemi e sempre attenta a far scaturire ogni sentimento, dal più triste al meno scontato, attraverso le sue espressioni e le sue parole. The Terminal List mette al centro le emozioni dei suoi personaggi, inserendoli all’inizio, al centro e alla fine del racconto in maniera omogenea, amalgamandoli nelle dinamiche con creatività. Con James Reece il lavoro è stato certosino e attento, permettendo a Chris Pratt di vestire i suoi panni fornendo un’interpretazione densa e potente, in grado di tenere lo spettatore attaccato allo schermo. Intanto che ci affezionavamo a James Reece e alla sua storia, conoscevamo anche gli altri protagonisti, curati anche loro sotto ogni punto di vista in maniera attenta e scrupolosa.

Se da una parte abbiamo un guerriero indomito, dall’altra c’è la giornalista Katie Buranek (Constance Wu), un personaggio maldestro, distratto e rilevante per l’intera storia, seppure non ricopra il ruolo di una co-protagonista e neppure di una spalla a tutti gli effetti. Potremmo considerarla una sorta di aiutante che però, desiderosa di scoprire la verità a tutti i costi, cerca lo scoop del secolo che porterebbe la sua carriera altalenante a stabilizzarsi definitivamente. Il suo personaggio, interpretato da un’ottima Constante Wu, è stato capace di farci ridere nei rari momenti in cui siamo riusciti a strappare un sorriso, che poi scompariva in un nanosecondo. L’essere umano è al centro del dramma dall’inizio alla fine, e niente viene lasciato al caso, neppure i momenti più lenti e con un ritmo che alle volte tende a essere fin troppo denso e poco fluido. La cinepresa resta fissa su John e Katie, concentrandosi nelle varie sequenze e offrendo uno sviluppo narrativo convincente ed emozionante, prendendosi le tempistiche giuste per venire fuori in maniera definitiva e travolgente.

È una serie che, senza dilungarci troppo, non si accontenta di intrattenere e divertire ma anche di menare pugni nello stomaco a più riprese, non facendosi scrupoli a lasciarci con l’amaro in bocca. Alle volte ci siamo trovati impotenti di fronte a certe scene e, complici alcuni dialoghi scritti con maturità e profondità, non siamo riusciti a distaccarci dallo schermo, perché eravamo occupati a interiorizzare ogni sensazione. Il grande merito di The Terminal List, infatti, è descrivere le emozioni umane con grandi silenzi, sguardi ed espressioni taglienti, capaci di palesare una maturità invidiabile per tante produzioni e serie televisive uscite negli ultimi anni.

The Terminal List non esagera, si prende i suoi tempi e confeziona un risultato finale che va ben oltre le nostre più rosee aspettative. Non è una cosa semplice presentarsi con un thriller politico di questa caratura in un mercato simile, dove è complesso emergere e lasciare il segno con semplicità. Perché The Terminal List è un’opera semplice, scritta e strutturata attraverso delle scelte coraggiose. E cosa dire, poi, del resto del cast scelto per l’occasione? Stiamo parlando di Taylor Kitsch, J.D Pardo, Jai Courtney, Tom Amandes e Sean Gunn: facce, nomi e voci che abbiamo visto negli ultimi anni in molte serie televisive e in tanti film, che in Terminal List hanno brillato grazie alle loro interpretazioni.

La guerra è dentro di noi, ma anche fuori

The Terminal List è un una serie televisiva spettacolare con combattimenti all’arma bianca, pugni e sequenze da cecchino al cardiopalma. Ci sono esplosioni ovunque, morti e panico, tante scene d’azione e degli effetti speciali ben implementati al suo interno, con inseguimenti in macchina e delle fasi crude e violente che però non ci hanno turbato.

In definitiva, The Terminal List è una serie adatta a un pubblico adulto, matura e scritta con amore e passione. Chris Pratt è stato capace di proporre un’interpretazione con i fiocchi, umanizzando il personaggio contorto di James Reece e non accontentandosi solamente di essere l’eroe della situazione, come potrebbe accadere a chiunque interpreti un personaggio del genere. Inoltre, la serie televisiva ci mette davanti a una tremenda verità: vivere il passato è dura, ma sopportare il presente è ancora più difficile. The Terminal List approccia questo concetto nel modo più potente possibile.