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Parkinson: l’apnea notturna aumenta il rischio

La CPAP garantisce un flusso d’aria costante che protegge i neuroni dall’ipossia ripetuta, un possibile fattore scatenante del Parkinson.

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Avatar di Antonello Buzzi

a cura di Antonello Buzzi

Senior Editor @Tom's Hardware Italia

Pubblicato il 28/11/2025 alle 08:20

La notizia in un minuto

  • Uno studio su oltre 11 milioni di veterani dimostra che l'apnea ostruttiva del sonno non trattata raddoppia il rischio di sviluppare il morbo di Parkinson
  • La terapia CPAP potrebbe rappresentare un efficace strumento di prevenzione primaria, riducendo significativamente il rischio neurodegenerativo attraverso il mantenimento di un'ossigenazione cerebrale ottimale durante il sonno
  • La deprivazione cronica di ossigeno causata dalle ripetute interruzioni respiratorie notturne potrebbe innescare meccanismi di danno neuronale che, accumulandosi nel tempo, predispongono alle malattie neurodegenerative

Riassunto generato con l’IA. Potrebbe non essere accurato.

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La qualità del sonno potrebbe svolgere un ruolo determinante nella prevenzione delle malattie neurodegenerative. Una vasta ricerca condotta su oltre 11 milioni di veterani statunitensi ha rivelato che l'apnea ostruttiva del sonno non trattata aumenta significativamente il rischio di sviluppare il morbo di Parkinson, una patologia neurologica progressiva che colpisce circa un milione di persone negli Stati pUniti. Lo studio, pubblicato il 24 novembre sulla prestigiosa rivista JAMA Neurology, suggerisce però che l'utilizzo della terapia CPAP (continuous positive airway pressure) potrebbe rappresentare uno strumento preventivo efficace, riducendo sensibilmente tale rischio attraverso il miglioramento della qualità del sonno e il mantenimento di un flusso d'aria costante durante le ore notturne.

Il team di ricerca dell'Oregon Health & Science University e del Portland VA Health Care System ha analizzato le cartelle cliniche elettroniche di veterani militari seguiti dal Department of Veterans Affairs tra il 1999 e il 2022. L'ampiezza del campione conferisce allo studio una robustezza statistica notevole, permettendo di identificare correlazioni significative anche dopo aver controllato per numerose variabili confondenti come obesità, età e ipertensione. I risultati sono inequivocabili: i pazienti con apnea del sonno non trattata presentano un rischio quasi doppio di ricevere una diagnosi di Parkinson rispetto a coloro che utilizzano regolarmente la terapia CPAP.

Il dottor Lee Neilson, neurologo presso l'OHSU e primo autore dello studio, spiega il meccanismo fisiopatologico alla base di questa associazione: "Quando una persona smette di respirare e i livelli di ossigeno non sono normali, è probabile che anche i neuroni non funzionino a livelli ottimali. Sommare questi episodi notte dopo notte, anno dopo anno, potrebbe spiegare perché correggere il problema con la CPAP può costruire una sorta di resilienza contro le condizioni neurodegenerative, incluso il Parkinson".

"Non è affatto una garanzia che si svilupperà il Parkinson, ma aumenta significativamente le probabilità", ha dichiarato Gregory Scott, patologo e coautore dello studio

L'apnea ostruttiva del sonno rappresenta un disturbo caratterizzato da ripetute interruzioni della respirazione durante il sonno, con conseguente riduzione dell'ossigenazione dei tessuti. Questi eventi possono verificarsi decine di volte per ora, privando il cervello dell'apporto di ossigeno necessario per i normali processi metabolici neuronali. La deprivazione cronica di ossigeno potrebbe quindi innescare meccanismi di danno cellulare che, accumulandosi nel tempo, predispongono allo sviluppo di patologie neurodegenerative. La terapia CPAP interviene mantenendo le vie aeree aperte attraverso una pressione positiva continua, garantendo così un'ossigenazione adeguata durante tutta la notte.

Il morbo di Parkinson è una malattia neurodegenerativa progressiva la cui incidenza aumenta gradualmente dopo i 60 anni. La patologia è caratterizzata dalla degenerazione dei neuroni dopaminergici nella substantia nigra, con conseguente compromissione del controllo motorio e comparsa di sintomi come tremore, rigidità e bradicinesia. Identificare fattori di rischio modificabili rappresenta quindi una priorità nella ricerca neurologica, poiché al momento non esistono terapie in grado di arrestare o invertire la progressione della malattia.

Particolarmente significativo è il fatto che l'associazione tra apnea del sonno e Parkinson permane anche dopo aggiustamento statistico per fattori confondenti importanti quali età, indice di massa corporea e presenza di comorbidità cardiovascolari. Questo rafforza l'ipotesi di un legame causale diretto tra la condizione respiratoria notturna e il rischio neurodegenerativo, piuttosto che una semplice coesistenza di fattori di rischio comuni.

Il dottor Neilson ha sottolineato come questi risultati influenzeranno la sua pratica clinica quotidiana: "Penso che cambierà il mio approccio terapeutico", confermando l'importanza di prioritizzare la salute del sonno nei pazienti, specialmente alla luce dell'elevato rischio di Parkinson emerso dallo studio. La ricerca suggerisce infatti che la gestione dell'apnea del sonno dovrebbe essere considerata non solo come intervento per migliorare la qualità della vita, ma come potenziale strategia di prevenzione primaria contro patologie neurodegenerative.

Scott ha evidenziato che, nonostante alcune persone con apnea del sonno siano riluttanti a utilizzare i dispositivi CPAP, molti veterani riportano esperienze estremamente positive: "I veterani che usano la CPAP la adorano. Ne parlano ad altre persone. Si sentono meglio, sono meno stanchi. Forse sapere di questa riduzione del rischio di Parkinson convincerà ulteriormente le persone con apnea del sonno a provare la CPAP".

Fonte dell'articolo: www.sciencedaily.com

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