Il 2025 si colloca al secondo posto nella classifica degli anni più caldi mai registrati, superato soltanto dal 2024. La temperatura media globale ha raggiunto quest'anno 1,48°C al di sopra dei livelli preindustriali, eguagliando il record del 2023 e confermando una tendenza al riscaldamento che procede inesorabilmente nonostante la fase climatica di La Niña, che teoricamente dovrebbe attenuare le temperature planetarie. I dati emergono dalle rilevazioni del Copernicus Climate Change Service (C3S), il servizio dell'Unione Europea dedicato al monitoraggio del cambiamento climatico, e testimoniano come le emissioni di combustibili fossili, ancora una volta ai massimi storici, stiano guidando il sistema climatico terrestre verso scenari sempre più estremi.
La particolarità di questo secondo posto in classifica risiede nel contesto climatico in cui si manifesta. Mentre il 2024 aveva beneficiato della spinta termica di El Niño, fenomeno caratterizzato dal riscaldamento delle acque superficiali del Pacifico tropicale, il 2025 si è sviluppato durante La Niña, la fase opposta del ciclo ENSO (El Niño-Southern Oscillation), contraddistinta da un'emersione di acque fredde che normalmente mitiga le temperature globali. Il fatto che, nonostante questo effetto raffreddante naturale, l'anno si sia comunque posizionato ai vertici della scala termica dimostra inequivocabilmente l'accelerazione del riscaldamento antropogenico.
Le conseguenze del riscaldamento si manifestano non tanto nei decimali di grado quanto negli eventi meteorologici estremi che sconvolgono regioni e popolazioni. Come spiega Samantha Burgess del C3S, "la realtà è che sono gli eventi estremi a impattare le persone, la società e i nostri ecosistemi, e sappiamo che questi eventi aumentano in frequenza e gravità in un mondo più caldo". L'atmosfera riscaldata trattiene maggiori quantità di vapore acqueo secondo le leggi della termodinamica, intensificando precipitazioni e tempeste.
I numeri delle catastrofi del 2025 parlano un linguaggio drammatico. Durante l'estate europea, le ondate di calore amplificate dal cambiamento climatico hanno causato circa 16.500 decessi aggiuntivi, evidenziando la vulnerabilità delle popolazioni alle temperature estreme. In ottobre, l'uragano Melissa ha riscritto i record meteorologici colpendo la Giamaica con un'intensità senza precedenti, provocando oltre 80 vittime e danni stimati in 8,8 miliardi di dollari. L'analisi condotta da World Weather Attribution, un consorzio accademico internazionale specializzato nell'attribuzione degli eventi estremi, ha quantificato l'influenza del riscaldamento globale su Melissa: le precipitazioni sono risultate intensificate del 16% e la velocità dei venti del 7% rispetto a uno scenario climatico preindustriale.
Il continente asiatico ha vissuto una sequenza devastante di cicloni e tempeste tra novembre e dicembre. Sri Lanka, Indonesia, Thailandia, Malesia e Vietnam sono stati colpiti da frane e alluvioni che hanno causato oltre 1.600 vittime, evidenziando come le regioni tropicali stiano pagando il prezzo più alto di un sistema climatico destabilizzato. Nei poli, gli indicatori mostrano anomalie preoccupanti: l'estensione del ghiaccio marino artico ha raggiunto il minimo storico per questo periodo dell'anno, mentre anche il ghiaccio antartico si mantiene al di sotto delle medie.
I dati del C3S rivelano che la media delle temperature su tre anni è ormai in procinto di superare stabilmente la soglia critica di 1,5°C al di sopra dei livelli preindustriali, quella indicata dall'Accordo di Parigi del 2015 come limite da non oltrepassare per evitare impatti climatici irreversibili. Le proiezioni scientifiche suggeriscono che il superamento permanente di questa soglia potrebbe avvenire entro il 2029, sancendo il definitivo fallimento degli obiettivi climatici internazionali.
Come sottolinea Burgess, "non esiste una scogliera magica a 1,5 gradi, ma sappiamo che gli eventi estremi peggioreranno man mano che supereremo questa soglia". Altrettanto preoccupante è l'avvicinarsi alle cosiddette "tipping points", punti di non ritorno nel sistema climatico oltre i quali si innescano cambiamenti irreversibili. Un rapporto pubblicato lo scorso ottobre ha argomentato che uno di questi punti critici, il collasso definitivo delle barriere coralline tropicali, sarebbe già stato superato. Il sistema Terra si trova ora pericolosamente vicino ad altri confini critici: la desertificazione della foresta amazzonica, il collasso delle calotte glaciali della Groenlandia e dell'Antartico occidentale, e la destabilizzazione del ghiaccio marino antartico.
Le prospettive per i prossimi anni indicano una continuazione del trend di riscaldamento, con emissioni globali di gas serra che, anziché diminuire, hanno raggiunto nuovi massimi nel 2025. La comunità scientifica sottolinea che ogni frazione di grado di riscaldamento aggiuntivo amplifica esponenzialmente i rischi per gli ecosistemi e le società umane. Gli strumenti di osservazione satellitare europei di Copernicus continueranno a monitorare con precisione crescente l'evoluzione del sistema climatico, fornendo dati essenziali per comprendere quanto rapidamente ci stiamo avvicinando a soglie da cui potrebbe non essere possibile tornare indietro.