Il sistema immunitario del cervello potrebbe essere il vero regista dell'ansia. Una scoperta condotta presso l'University of Utah Health ribalta le convinzioni consolidate sui meccanismi neurobiologici alla base dei disturbi d'ansia, spostando l'attenzione dai neuroni alle cellule immunitarie cerebrali. I ricercatori hanno identificato due popolazioni distinte di microglia che operano come sistemi antagonisti: una funziona come "acceleratore" dell'ansia, l'altra come "freno inibitore". Questo paradigma rappresenta una svolta nella comprensione delle radici biologiche dell'ansia, un gruppo di patologie che negli Stati Uniti colpisce circa una persona su cinque, rendendole tra le condizioni di salute mentale più diffuse.
Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Molecular Psychiatry, ha utilizzato modelli murini per isolare e caratterizzare il ruolo di specifiche sottopopolazioni di microglia. Le microglia sono cellule immunitarie residenti nel sistema nervoso centrale, tradizionalmente associate alla sorveglianza immunitaria e alla riparazione tissutale. Fino ad oggi, però, la loro influenza diretta su comportamenti complessi come l'ansia restava controversa e poco compresa. Il team guidato da Mario Capecchi, professore emerito di genetica umana all'University of Utah Health e premio Nobel per la Medicina nel 2007, ha dimostrato che queste cellule non si limitano a funzioni di supporto, ma modulano attivamente stati comportamentali specifici.
La metodologia sperimentale ha richiesto un approccio innovativo: i ricercatori hanno trapiantato selettivamente diverse tipologie di microglia in topi geneticamente modificati privi di queste cellule. Questo ha permesso di osservare gli effetti comportamentali di ciascuna popolazione in isolamento. I risultati hanno rivelato che le microglia non-Hoxb8 agiscono come promotori dell'ansia: quando trapiantate da sole, inducevano nei topi comportamenti caratteristici di stati ansiosi intensi, tra cui grooming compulsivo (pulizia eccessiva del pelo) ed evitamento degli spazi aperti, parametri comportamentali standardizzati per valutare l'ansia nei roditori.
Al contrario, le microglia Hoxb8 – chiamate così perché esprimono il gene Hoxb8 – hanno mostrato proprietà ansiolitiche. I topi che ricevevano esclusivamente questa popolazione cellulare non manifestavano segni di ansia. L'aspetto più rilevante è emerso quando entrambe le popolazioni venivano trapiantate insieme: in questo caso, l'effetto ansiogeno delle microglia non-Hoxb8 veniva completamente neutralizzato dalla presenza delle microglia Hoxb8, risultando in comportamenti normali. Questo equilibrio dinamico suggerisce un meccanismo di regolazione bidirezionale, dove il bilanciamento tra le due popolazioni determina il livello complessivo di risposta ansiosa.
Secondo Donn Van Deren, ricercatore postdottorale presso l'University of Pennsylvania che ha condotto gli esperimenti durante il suo periodo all'University of Utah Health, la scoperta rappresenta "un cambio di paradigma". Come sottolinea Van Deren, la ricerca dimostra che disfunzioni nel sistema immunitario cerebrale possono tradursi direttamente in patologie neuropsichiatriche specifiche, una prospettiva che sfida l'approccio dominante incentrato esclusivamente sulla neurotrasmissione. Gli esperimenti precedenti avevano già suggerito un coinvolgimento delle microglia nei meccanismi dell'ansia, ma risultati contraddittori avevano reso difficile definirne il ruolo preciso: bloccare tutte le microglia contemporaneamente normalizzava il comportamento dei topi, mentre interferire selettivamente con le microglia Hoxb8 induceva ansia.
Le implicazioni terapeutiche di questa scoperta potrebbero rivelarsi significative, sebbene ancora lontane dall'applicazione clinica immediata. Capecchi sottolinea che anche gli esseri umani possiedono due popolazioni di microglia con funzionamento simile, eppure praticamente tutti i farmaci psichiatrici attualmente disponibili per i disturbi d'ansia agiscono sui neuroni e sui sistemi di neurotrasmissione – principalmente sui recettori serotoninergici, GABAergici o noradrenergici – senza considerare il ruolo delle cellule immunitarie cerebrali. Questo orientamento terapeutico potrebbe essere troppo limitato.
La comprensione dei meccanismi attraverso cui le microglia modulano l'ansia apre prospettive per lo sviluppo di approcci farmacologici o immunoterapeutici mirati. Strategie future potrebbero concentrarsi sull'amplificazione dell'effetto "freno" delle microglia Hoxb8 o sulla riduzione dell'attività "acceleratrice" delle microglia non-Hoxb8. Come evidenzia Capecchi, questa conoscenza fornirà i mezzi per permettere ai pazienti che hanno perso la capacità di controllare i propri livelli d'ansia di recuperarla. Van Deren mantiene tuttavia un approccio cauto riguardo alle tempistiche: "Siamo ancora lontani dall'aspetto terapeutico, ma in futuro si potrebbero probabilmente targeting popolazioni cellulari immunitarie molto specifiche nel cervello e correggerle attraverso approcci farmacologici o immunoterapeutici".
La ricerca è stata finanziata dal National Institutes of Health, in particolare dal National Institute of Mental Health (grant R01 MH093595), dalla Dauten Family Foundation e dalla University of Utah Flow Cytometry Facility. Gli autori precisano che il contenuto dello studio rimane sotto la loro esclusiva responsabilità e non rappresenta necessariamente le posizioni ufficiali del NIH. Il prossimo passo nella ricerca sarà comprendere i meccanismi molecolari precisi attraverso cui queste due popolazioni di microglia esercitano i loro effetti opposti, identificare i mediatori biochimici coinvolti e verificare se alterazioni nell'equilibrio tra queste popolazioni siano riscontrabili anche nei pazienti umani con disturbi d'ansia. Solo allora sarà possibile progettare interventi terapeutici mirati che traducano queste scoperte fondamentali in benefici clinici concreti per milioni di persone che convivono con l'ansia patologica.