La lotta contro il cancro potrebbe ricevere un contributo inaspettato da una variabile apparentemente banale: l'ora del giorno in cui vengono somministrate le terapie. Un crescente corpo di evidenze scientifiche suggerisce che i ritmi circadiani – quei cicli biologici di circa 24 ore che regolano praticamente ogni funzione del nostro organismo – influenzino profondamente l'efficacia dei trattamenti oncologici, in particolare degli inibitori dei checkpoint immunitari. Se confermato da studi più ampi, questo approccio noto come cronoterapia potrebbe rappresentare un'innovazione a costo quasi zero capace di migliorare significativamente la sopravvivenza dei pazienti oncologici, semplicemente ripensando gli orari delle infusioni ospedaliere.
I ritmi circadiani orchestrano l'attività di cellule e tessuti secondo cicli precisi che coordinano il rilascio ormonale, i processi di divisione cellulare e i meccanismi di riparazione del DNA. Nelle cellule tumorali, tuttavia, questi ritmi risultano frequentemente alterati: invece di dividersi in momenti specifici della giornata, le cellule cancerose tendono a proliferare in modo continuo e disordinato. Questa osservazione ha portato negli anni a sperimentare la somministrazione della chemioterapia – che colpisce preferenzialmente le cellule in rapida divisione – negli orari in cui i tessuti sani sono meno attivi, riducendo così gli effetti collaterali. Ora l'attenzione si è spostata su un obiettivo più ambizioso: non solo minimizzare i danni, ma massimizzare l'efficacia terapeutica.
Un team guidato da Yongchang Zhang e Zhe Huang della Central South University di Changsha, in Cina, ha analizzato i dati di 397 pazienti affetti da carcinoma polmonare a piccole cellule – una forma particolarmente aggressiva e a crescita rapida – trattati tra il 2019 e il 2023 con inibitori dei checkpoint immunitari (atezolizumab o durvalumab) in combinazione con chemioterapia. I risultati, che si aggiungono a un precedente studio del gruppo sullo stesso approccio nel carcinoma polmonare non a piccole cellule, mostrano differenze sorprendenti: i pazienti che hanno ricevuto il trattamento prima delle 15:00 hanno presentato una sopravvivenza libera da progressione e una sopravvivenza globale significativamente più lunghe rispetto a chi è stato trattato più tardi nella giornata.
Dopo aver corretto i dati per numerosi fattori confondenti, la somministrazione mattutina è risultata associata a una riduzione del 52% del rischio di progressione del tumore e a una riduzione del 63% del rischio di morte. Numeri che, se confermati da trial randomizzati controllati con campioni più ampi, potrebbero trasformare le pratiche cliniche correnti. Il meccanismo biologico alla base di questo fenomeno sembra risiedere nell'attività delle cellule T del sistema immunitario, che sono naturalmente più attive e pronte a rispondere nelle ore mattutine. Come spiega Seline Ismail-Sutton dell'ospedale Ysbyty Gwynedd di Bangor, nel Regno Unito, "somministrare inibitori dei checkpoint immunitari durante questa finestra temporale può amplificare gli effetti antitumorali e potenziare l'efficacia."
Gli studi precedenti condotti dal gruppo cinese sul carcinoma polmonare non a piccole cellule avanzato hanno dimostrato che somministrare l'inibitore pembrolizumab insieme alla chemioterapia prima delle 11:30 era associato a una sopravvivenza quasi doppia rispetto ai trattamenti pomeridiani. Le analisi hanno rivelato che la somministrazione mattutina aumenta il numero e l'attivazione delle cellule T circolanti, mentre il dosaggio serale produce l'effetto opposto. Esperimenti su modelli murini hanno inoltre mostrato che le cellule T che infiltrano i tumori variano nelle loro funzioni nell'arco delle 24 ore, e che gli orologi circadiani delle cellule endoteliali vicine possono regolare il momento in cui le cellule immunitarie penetrano nelle masse tumorali.
Pasquale Innominato dell'Università di Warwick, nel Regno Unito, sottolinea che questo studio "supporta ulteriormente il crescente numero di rapporti provenienti da tutto il mondo che descrivono risultati migliori con la somministrazione precoce nella giornata dei farmaci immunoterapici." Indizi simili emergono da ricerche sul carcinoma a cellule renali e sul melanoma, suggerendo che l'effetto possa estendersi ad altri tipi tumorali. Zhang ritiene probabile che questo fenomeno abbia validità generale e propone un'implementazione pratica: "Rispetto all'aggiunta di trattamenti, regolare l'orario dell'infusione è una decisione clinica semplice che non comporta praticamente alcun costo aggiuntivo."
Tuttavia, l'applicazione universale di questa strategia presenta sfide concrete. Come osserva Robert Dallmann, anch'egli dell'Università di Warwick, trattare tutti i pazienti nelle prime ore del giorno non è realisticamente praticabile dal punto di vista organizzativo ospedaliero. Inoltre, gli orologi biologici individuali differiscono notevolmente: "La differenza nel tempo biologico tra persone mattiniere e nottambule può essere di molte ore", evidenzia Dallmann. La soluzione potrebbe venire dallo sviluppo di biomarcatori capaci di determinare con precisione il cronotipo di ciascun paziente – il suo personale profilo di ritmi circadiani.
Una volta testati e validati attraverso trial randomizzati controllati su larga scala, questi biomarcatori potrebbero rendere la cronoterapia uno strumento di medicina di precisione accessibile e sostenibile. Come conclude Ismail-Sutton in una recente pubblicazione di prospettiva su questo approccio, la cronoterapia "potrebbe rappresentare un'innovazione a basso costo ed efficiente in termini di risorse, con il potere di migliorare profondamente i risultati: un semplice cambiamento nei tempi che apre una nuova dimensione della medicina di precisione."