L'epidemia di obesità tra i giovani americani sta accelerando a un ritmo allarmante, con proiezioni che indicano come entro il 2050 un adolescente su tre negli Stati Uniti presenterà obesità clinica. Al centro di questa crisi sanitaria si colloca il ruolo controverso degli alimenti ultra-processati, che oggi rappresentano oltre il 55-65% della dieta dei giovani adulti americani. Una nuova ricerca del Virginia Tech, pubblicata sulla rivista Obesity, ha scoperto che gli adolescenti più giovani potrebbero essere biologicamente più vulnerabili agli effetti di questi alimenti rispetto ai loro coetanei di poco più grandi, aprendo importanti interrogativi sui meccanismi neurologici che regolano le scelte alimentari durante le fasi critiche dello sviluppo.
Il team guidato dalla professoressa Brenda Davy del Dipartimento di Nutrizione Umana, Alimenti ed Esercizio Fisico ha condotto uno studio controllato su 27 giovani adulti di età compresa tra 18 e 25 anni, con peso stabile da almeno sei mesi. I ricercatori hanno sottoposto i partecipanti a due regimi alimentari della durata di due settimane ciascuno: il primo forniva l'81% delle calorie totali da alimenti ultra-processati, mentre il secondo escludeva completamente questa categoria di prodotti. La metodologia si è distinta per il rigore scientifico: le due diete erano identicamente bilanciate per 22 parametri nutrizionali, inclusi macronutrienti, fibre, zuccheri aggiunti, densità energetica, vitamine e minerali, eliminando così le variabili confondenti che avevano limitato studi precedenti.
Per classificare i cibi, i ricercatori hanno utilizzato il sistema NOVA, sviluppato dall'Università di São Paulo in Brasile per analizzare l'epidemia di obesità brasiliana. Questo schema categorizza gli alimenti in base al grado di trasformazione industriale: dagli alimenti freschi o minimamente processati (frutta, legumi, yogurt bianco) agli ingredienti culinari (oli, burro, sale), dai prodotti processati tradizionali (formaggi, verdure in scatola, pane fresco) fino agli alimenti ultra-processati, prodotti attraverso processi industriali complessi e contenenti additivi raramente utilizzati nelle cucine domestiche, come bibite gassate, yogurt aromatizzati e la maggior parte dei pasti e snack pre-confezionati.
La fase sperimentale cruciale consisteva in una colazione a buffet offerta ai partecipanti dopo ogni periodo di dieta controllata. Arrivati a digiuno, i soggetti venivano accompagnati in una stanza privata dove trovavano un vassoio con circa 1.800 calorie di cibo, quattro volte il contenuto calorico di una colazione americana standard, comprendente sia opzioni ultra-processate che non processate. Avevano 30 minuti per consumare quanto desideravano. Immediatamente dopo, per studiare il comportamento alimentare in assenza di fame, ricevevano un secondo vassoio di snack: dopo aver assaggiato e valutato ciascun prodotto, potevano continuare a mangiare o semplicemente riposare.
I risultati hanno rivelato un'asimmetria sorprendente legata all'età. Analizzando l'intero gruppo, non emergevano differenze significative nel consumo calorico totale o nella quantità di cibo consumata al buffet tra le due condizioni dietetiche. Tuttavia, stratificando i dati per età, appariva un quadro completamente diverso: i partecipanti tra 18 e 21 anni consumavano significativamente più calorie dopo il periodo di dieta ultra-processata, mentre quelli tra 22 e 25 anni non mostravano questo aumento. Ancora più rilevante, il gruppo più giovane tendeva a continuare a mangiare anche quando non aveva più fame, un comportamento predittivo di futuro aumento ponderale.
Il neuroscienziato Alex DiFeliceantonio, coautore dello studio e ricercatore presso il Fralin Biomedical Research Institute del Virginia Tech, sottolinea l'importanza di questi risultati: i giovani adolescenti sembrano particolarmente vulnerabili agli effetti neurobiologici degli alimenti ultra-processati. Questa finestra di sviluppo, che coincide con l'acquisizione di indipendenza e la formazione di abitudini alimentari durature, rappresenta un periodo critico in cui il rischio di obesità inizia a crescere rapidamente. La scoperta suggerisce che l'esposizione agli alimenti ultra-processati possa alterare i meccanismi di regolazione dell'appetito in modo differenziato a seconda dell'età, con gli adolescenti più giovani che dimostrano una minore capacità di autoregolazione.
Rispetto a precedenti trial clinici negli adulti, che avevano dimostrato come l'accesso continuo a cibi ultra-processati portasse a un maggiore consumo giornaliero e aumento ponderale nel tempo, questo studio ha isolato l'effetto specifico della trasformazione industriale degli alimenti mantenendo costanti le calorie giornaliere e la densità energetica tra le due diete. Questo approccio metodologico ha permesso di osservare l'impatto della processazione alimentare indipendentemente dalle variazioni di peso corporeo e del fabbisogno energetico conseguente, fornendo evidenze più precise sui meccanismi comportamentali alla base del fenomeno.
La ricerca, finanziata dai National Institutes of Health, presenta alcune limitazioni riconosciute dagli autori: la breve durata dell'intervento e la valutazione limitata a un singolo pasto potrebbero non riflettere completamente le condizioni reali, dove le opportunità alimentari sono pressoché continue. Gli sviluppi futuri della ricerca potrebbero estendere il periodo di intervento, includere partecipanti ancora più giovani o fornire accesso continuo agli alimenti per avvicinarsi maggiormente alle condizioni di vita quotidiana. L'espansione del campione, attualmente modesto con 27 partecipanti, potrebbe inoltre chiarire ulteriormente come l'età moduli le risposte alle diete ultra-processate.
DiFeliceantonio e Davy stanno già lavorando per integrare tecniche di neuroimaging e biomarcatori nelle prossime fasi della ricerca, con l'obiettivo di identificare i percorsi biologici che collegano l'esposizione agli alimenti ultra-processati con i cambiamenti nel comportamento alimentare durante lo sviluppo. Comprendere questi meccanismi neurobiologici potrebbe rivelarsi cruciale per sviluppare strategie preventive mirate, capaci di proteggere gli adolescenti durante questa fase vulnerabile della loro vita, quando le scelte alimentari plasmano non solo la salute presente ma anche il rischio metabolico futuro.