La capacità di alcune piante di crescere senza fertilizzanti artificiali potrebbe presto essere trasferita ai cereali che sfamano il mondo. Un gruppo di ricerca dell'Università di Aarhus, guidato dai professori di biologia molecolare Kasper Røjkjær Andersen e Simona Radutoiu, ha identificato il meccanismo molecolare che consente a leguminose come piselli, fagioli e trifoglio di entrare in simbiosi con batteri capaci di fissare l'azoto atmosferico. La scoperta, che si concentra su modifiche minime a livello di singoli amminoacidi in proteine recettoriali, apre prospettive concrete per ridurre la dipendenza dell'agricoltura moderna dai fertilizzanti sintetici, responsabili di circa il due per cento del consumo energetico globale e di ingenti emissioni di CO2.
L'azoto rappresenta un elemento essenziale per la crescita vegetale, ma la maggior parte delle specie coltivate non può assorbirlo direttamente dall'atmosfera, dove è abbondantissimo sotto forma di gas N2. Solo un ristretto gruppo di piante, principalmente leguminose, ha sviluppato nel corso dell'evoluzione la capacità di stabilire una partnership biologica con specifici batteri del suolo. Questi microrganismi, una volta entrati nei tessuti radicali, convertono l'azoto atmosferico in composti assimilabili dalla pianta, in cambio di nutrienti organici. Questo processo di simbiosi mutualistica elimina la necessità di apporti esterni di azoto sotto forma di fertilizzanti chimici.
Il cuore della scoperta riguarda proteine recettoriali presenti sulla superficie delle cellule radicali, che fungono da sensori molecolari per i segnali chimici provenienti dal suolo. Quando i batteri si avvicinano alle radici, rilasciano composti specifici che la pianta deve interpretare: alcuni identificano "nemici" potenziali, attivando le difese immunitarie vegetali; altri segnalano "alleati" capaci di fornire nutrienti. Il team danese ha identificato una regione specifica di queste proteine recettoriali, denominata Symbiosis Determinant 1, che funziona come un interruttore molecolare determinando se la pianta debba attivare la risposta immunitaria o accettare la colonizzazione batterica.
La scoperta più significativa risiede nella semplicità del meccanismo: modificando soltanto due amminoacidi all'interno di questa regione critica, i ricercatori sono riusciti a trasformare un recettore che normalmente innesca la risposta immunitaria in uno che invece avvia la simbiosi con batteri azotofissatori. "Abbiamo dimostrato che due piccole modifiche possono indurre le piante a modificare il loro comportamento su un punto cruciale, passando dal respingere i batteri al cooperare con essi", spiega Simona Radutoiu. Questo risultato suggerisce che la distinzione tra difesa e cooperazione dipende da cambiamenti molecolari sorprendentemente minimali.
Gli esperimenti di laboratorio hanno inizialmente validato questo approccio su Lotus japonicus, una pianta modello comunemente utilizzata negli studi di biologia molecolare vegetale. Ma il passo successivo ha dimostrato la portata potenziale della scoperta: applicando lo stesso principio all'orzo, un cereale di importanza agronomica globale, il meccanismo si è rivelato funzionale. Secondo Kasper Røjkjær Andersen, questa trasferibilità rappresenta un elemento cruciale: la possibilità che modifiche analoghe possano essere introdotte in grano, mais o riso apre scenari in cui questi cereali fondamentali per l'alimentazione mondiale potrebbero un giorno fissare autonomamente l'azoto, proprio come fanno le leguminose.
Le implicazioni agronomiche ed ambientali sono considerevoli. La produzione di fertilizzanti azotati sintetici attraverso il processo Haber-Bosch richiede temperature e pressioni elevatissime, consumando enormi quantità di energia fossile e contribuendo significativamente alle emissioni di gas serra. Rendere le principali colture cerealicole capaci di simbiosi azotofissatrice potrebbe drasticamente ridurre questa dipendenza energetica, con benefici climatici sostanziali. Inoltre, l'eccesso di fertilizzanti azotati che non vengono assorbiti dalle colture contribuisce all'eutrofizzazione delle acque superficiali e all'emissione di protossido di azoto, un gas serra particolarmente potente.
Tuttavia, i ricercatori mantengono un approccio cauto riguardo ai tempi di applicazione pratica. "Dobbiamo prima trovare le altre chiavi essenziali", precisa Radutoiu. La simbiosi azotofissatrice è un processo biologico complesso che coinvolge numerosi geni e vie metaboliche, non solo i recettori di superficie. Le leguminose hanno sviluppato nel corso di milioni di anni strutture radicali specializzate chiamate noduli, dove i batteri vengono ospitati e riforniti di ossigeno in condizioni controllate. Trasferire l'intero sistema a piante che non hanno mai posseduto queste capacità richiederà ulteriori modifiche genetiche coordinate.
Nonostante queste sfide, la ricerca pubblicata dal gruppo di Aarhus rappresenta un avanzamento metodologico significativo nella comprensione dei meccanismi molecolari alla base della simbiosi vegetale-batterica. La capacità di identificare e modificare con precisione interruttori molecolari così piccoli ma determinanti apre nuove strade per l'ingegneria genetica vegetale. Progetti di ricerca internazionali stanno già lavorando per integrare queste conoscenze con altre scoperte nel campo, con l'obiettivo finale di sviluppare varietà di cereali azotofissatrici entro i prossimi decenni. Come sottolinea Radutoiu, "se riuscissimo ad estendere questa capacità alle colture più diffuse, potrebbe davvero fare una grande differenza nella quantità di azoto che deve essere utilizzata", trasformando radicalmente la sostenibilità dell'agricoltura moderna.