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La Terra primordiale era viva: nuovi dati lo dimostrano

Un nuovo studio mostra che subduzione e formazione della crosta erano attive già 4 miliardi di anni fa, rivoluzionando l’idea della Terra primitiva.

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Avatar di Antonello Buzzi

a cura di Antonello Buzzi

Senior Editor @Tom's Hardware Italia

Pubblicato il 05/12/2025 alle 08:40

La notizia in un minuto

  • L'analisi di inclusioni fuse in cristalli di olivina di 3,3 miliardi di anni rivela che subduzione e formazione di crosta continentale erano attive già nell'Eone Adeano, scardinando l'ipotesi del "coperchio stagnante"
  • La ricerca del progetto MEET combina analisi geochimiche degli isotopi dello strontio con modelli geodinamici avanzati, dimostrando che la Terra primordiale era tettonicamente attiva centinaia di milioni di anni prima del previsto
  • Una Terra dinamica già nell'Adeano avrebbe potuto creare ambienti geochimici diversificati molto prima, con possibili implicazioni per l'emergere delle prime condizioni favorevoli alla vita

Riassunto generato con l’IA. Potrebbe non essere accurato.

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Le profondità temporali dell'Eone Adeano, il periodo più antico e misterioso della storia terrestre compreso tra 4,6 e 4,0 miliardi di anni fa, stanno rivelando segreti inaspettati sulla giovinezza turbolenta del nostro pianeta. Una ricerca pubblicata su Nature Communications da un team internazionale del progetto MEET (Monitoring Earth Evolution through Time), finanziato dal programma ERC Synergy Grant, sta scardinando l'ipotesi consolidata secondo cui la Terra primordiale sarebbe rimasta in uno stato tettonico quiescente per centinaia di milioni di anni. Al contrario, i nuovi dati suggeriscono che processi dinamici fondamentali come la subduzione e la formazione della crosta continentale potrebbero essere iniziati molto prima di quanto finora ipotizzato, delineando un pianeta sorprendentemente attivo già nelle sue fasi embrionali.

La collaborazione scientifica che ha prodotto questi risultati unisce competenze complementari: geochimici dell'Università di Grenoble in Francia e dell'Università del Wisconsin a Madison negli Stati Uniti hanno lavorato insieme a esperti di geodinamica del Centro Helmholtz di Potsdam (GFZ) in Germania. L'approccio metodologico integrato ha permesso di combinare analisi geochimiche di precisione con sofisticate simulazioni geodinamiche, creando un quadro interpretativo robusto di eventi accaduti quando la Terra aveva appena concluso la sua fase di accrescimento planetario.

Il cuore della scoperta risiede nell'analisi di microscopiche inclusioni fuse intrappolate all'interno di cristalli di olivina vecchi di 3,3 miliardi di anni. Questi minuscoli campioni di materiale fuso, preservati come capsule temporali all'interno della struttura cristallina del minerale, conservano la firma geochimica dell'ambiente in cui si formarono. Il gruppo di Grenoble ha concentrato la propria attenzione sugli isotopi dello stronzio e sugli elementi in traccia presenti in queste inclusioni, ricavandone informazioni preziose sulla composizione e l'origine dei magmi che caratterizzavano la Terra arcaica.

Gli isotopi dello stronzio funzionano come veri e propri marcatori genetici delle rocce: il rapporto tra le diverse forme isotopiche di questo elemento chimico permette di ricostruire i processi che hanno generato il magma e la storia termica del materiale da cui proviene. I dati raccolti mostrano firme geochimiche coerenti con la presenza di subduzione attiva, il processo attraverso cui porzioni di crosta terrestre sprofondano nel mantello sottostante, innescando cicli di riciclo del materiale che caratterizzano la moderna tettonica delle placche.

Le inclusioni fuse nei cristalli di olivina conservano prove geochimiche che la subduzione e la formazione di crosta continentale erano attive nell'Eone Adeano, probabilmente con intensità superiori a quelle attuali

Parallelamente all'indagine geochimica, il team tedesco del GFZ ha sviluppato modelli geodinamici avanzati per verificare se le condizioni termiche e meccaniche della Terra primordiale potessero effettivamente sostenere processi di subduzione. Questi modelli computazionali simulano il comportamento della convezione mantellica, il lento movimento del materiale roccioso surriscaldato all'interno del mantello terrestre, e la risposta meccanica della crosta in formazione. I risultati indicano che, contrariamente all'ipotesi del "coperchio stagnante" che ha dominato il pensiero scientifico per decenni, le condizioni dell'Adeano avrebbero potuto favorire una tettonica dinamica.

L'ipotesi tradizionale del coperchio stagnante postulava che dopo la solidificazione iniziale della crosta terrestre, avvenuta circa 4,5 miliardi di anni fa, il pianeta sarebbe rimasto incapsulato da un guscio rigido e immobile fino alla fine dell'Eone Adeano. Secondo questa visione, il calore interno veniva dissipato principalmente attraverso la convezione mantellica in profondità, senza significativi movimenti della superficie. Solo successivamente, in epoche più recenti, si sarebbero attivati i meccanismi della tettonica a placche con subduzione e produzione di crosta continentale differenziata.

La nuova interpretazione proposta dal team MEET sposta indietro di diverse centinaia di milioni di anni l'avvio di questi processi fondamentali. Le implicazioni sono profonde per la comprensione dell'evoluzione planetaria: una Terra tettonicamente attiva già nell'Adeano avrebbe potuto sviluppare ambienti geochimici diversificati molto prima del previsto, con possibili conseguenze per l'emergere delle prime condizioni favorevoli alla vita. La formazione di crosta continentale attraverso processi di subduzione crea infatti ambienti geologici complessi, con differenziazione chimica e concentrazione di elementi che possono essere cruciali per lo sviluppo della biosfera.

Il contesto temporale della ricerca è particolarmente significativo: l'Eone Adeano si apre con la formazione stessa della Terra per accrescimento di planetesimi nel disco protoplanetario, seguita quasi immediatamente dall'impatto gigante con Theia, un corpo planetario delle dimensioni di Marte che frammentò parte del mantello terrestre generando la Luna e lasciando il pianeta completamente fuso. La successiva solidificazione crostale rappresentò un momento di transizione cruciale, ma le dinamiche successive sono rimaste largamente speculative a causa della scarsità di testimonianze geologiche sopravvissute a quattro miliardi di anni di evoluzione planetaria.

I cristalli di olivina analizzati nello studio rappresentano alcune delle pochissime finestre dirette su quest'epoca remota. Questo minerale verde-oliva, comune nel mantello terrestre e nelle rocce vulcaniche, possiede una struttura cristallina robusta che può preservare inclusioni magmatiche per miliardi di anni. La capacità di analizzare queste microscopiche capsule con tecniche spettroscopiche e di spettrometria di massa ad alta risoluzione ha aperto possibilità investigative impensabili fino a pochi anni fa.

Fonte dell'articolo: www.sciencedaily.com

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