Un'eruzione vulcanica avvenuta intorno al 1345 potrebbe aver innescato la catena di eventi che portò alla diffusione della Peste Nera in Europa, la pandemia più letale del continente che tra il 1348 e il 1349 decimò fino alla metà della popolazione. Questa ipotesi, formulata da un team di ricerca dell'Università di Cambridge e dell'Istituto Leibniz per la Storia e la Cultura dell'Europa Orientale di Lipsia, si basa sull'analisi di archivi naturali come gli anelli di accrescimento degli alberi e le carote di ghiaccio, che hanno permesso di ricostruire le condizioni climatiche dell'epoca. Lo studio, pubblicato sulla rivista Communications Earth & Environment, suggerisce che l'attività vulcanica abbia provocato uno shock climatico che, combinato con le reti commerciali del Mediterraneo medievale, creò le condizioni perfette per la diffusione del batterio Yersinia pestis, responsabile della malattia.
La metodologia dello studio si è concentrata sull'analisi dendrocronologica di alberi dei Pirenei spagnoli, i cui anelli mostrano segni inequivocabili di estati insolitamente fredde negli anni 1345, 1346 e 1347. Questi dati sono stati incrociati con le informazioni contenute nelle carote glaciali, che hanno confermato la presenza di particelle vulcaniche nell'atmosfera proprio in quel periodo. L'eruzione vulcanica rilasciò enormi quantità di cenere e gas nell'atmosfera, che bloccarono parzialmente la radiazione solare causando un rapido abbassamento delle temperature per anni consecutivi. Questo fenomeno climatico estremo ebbe conseguenze devastanti sull'agricoltura mediterranea, provocando raccolti fallimentari in tutta la regione.
Le città-stato italiane, già densamente popolate e dipendenti dalle importazioni alimentari, si trovarono di fronte a una crisi di sicurezza alimentare senza precedenti. Per evitare la carestia, queste potenze commerciali intensificarono gli scambi con i produttori di grano delle regioni del Mar Nero, dove da oltre un secolo avevano stabilito rotte commerciali a lungo raggio attraverso il Mediterraneo. Il dottor Martin Bauch, storico del clima medievale e dell'epidemiologia presso il GWZO, spiega che gli eventi climatici si scontrarono con un sistema complesso di sicurezza alimentare in quella che definisce una "tempesta perfetta". Le navi che trasportavano il grano tanto necessario portarono con sé anche pulci infette che vivevano sui ratti, vettori del batterio responsabile della peste.
La Peste Nera, causata dal batterio Yersinia pestis trasmesso da roditori selvatici e pulci, si ritiene abbia avuto origine nell'Asia centrale prima di diffondersi nel mondo attraverso le vie commerciali. Tuttavia, la sequenza precisa degli eventi che permisero alla malattia di raggiungere l'Europa e sterminare milioni di persone è stata a lungo oggetto di dibattito tra gli studiosi. Questa nuova ricerca riempie un tassello mancante del puzzle, dimostrando come fattori ambientali, climatici ed economici abbiano interagito in modo complesso per facilitare l'esplosione della pandemia.
Le implicazioni di questo studio vanno ben oltre la comprensione storica della Peste Nera. Il dottor Ulf Büntgen dell'Università di Cambridge sottolinea che, sebbene la coincidenza di fattori che contribuirono alla pandemia medievale possa sembrare rara, la probabilità che malattie zoonotiche emergano in condizioni di cambiamento climatico e si trasformino in pandemie è destinata ad aumentare in un mondo globalizzato. Il riferimento all'esperienza recente con la pandemia di COVID-19 non è casuale: entrambi i casi mostrano come le malattie possano emergere e diffondersi rapidamente quando si combinano fattori ambientali, commerciali e demografici.
La ricerca evidenzia la vulnerabilità dei sistemi interconnessi di fronte a shock climatici improvvisi. Le città-stato italiane del XIV secolo avevano sviluppato un sistema sofisticato ed efficiente per prevenire le carestie attraverso il commercio internazionale, ma questa stessa rete di sicurezza si trasformò nel veicolo di trasmissione della malattia. Analogamente, nel mondo contemporaneo, le reti globali di commercio e trasporto che garantiscono la nostra sicurezza alimentare ed economica possono diventare canali di rapida diffusione di agenti patogeni emergenti, soprattutto in un contesto di crescente instabilità climatica.
Gli autori dello studio sottolineano l'importanza di comprendere queste dinamiche storiche per prepararsi meglio alle sfide future. Con il riscaldamento globale che altera gli ecosistemi e le condizioni ambientali, aumenta il rischio di spillover, ovvero il passaggio di patogeni dagli animali all'uomo. La combinazione di questi fenomeni con sistemi di commercio globalizzati crea condizioni potenzialmente favorevoli all'emergere e alla diffusione di nuove pandemie.