La sindrome da fatica cronica, nota anche come encefalomielite mialgica (ME/CFS), rappresenta da decenni uno dei grandi enigmi della medicina moderna. Questa condizione debilitante colpisce migliaia di persone, costringendole spesso a una vita di invalidità, eppure fino a oggi le sue basi biologiche sono rimaste in gran parte oscure. Un nuovo studio genetico su larga scala promette ora di cambiare radicalmente questo scenario, identificando oltre 250 geni coinvolti nella predisposizione alla malattia e aprendo prospettive concrete sia per lo sviluppo di nuove terapie sia per comprendere meglio il suo rapporto con un'altra condizione altrettanto enigmatica: il long covid. La ricerca rappresenta un avanzamento significativo rispetto agli studi precedenti e potrebbe finalmente far uscire questa patologia dall'ombra dell'incomprensione e della negligenza medica.
Il team guidato da Steve Gardner della società Precision Life di Oxford ha analizzato dati genomici di oltre 10.500 persone con diagnosi confermata di ME/CFS, utilizzando informazioni raccolte dal progetto DecodeME. L'approccio metodologico adottato dai ricercatori si distingue nettamente dalle analisi genetiche convenzionali. Anziché esaminare singolarmente le varianti genetiche chiamate polimorfismi a singolo nucleotide (SNP), dove una singola "lettera" del genoma risulta modificata, gli scienziati hanno cercato gruppi di SNP che agiscono in sinergia. Questo perché, come sottolinea Gardner, "la biologia delle malattie complesse non funziona così semplicemente: ci sono geni multipli coinvolti che interagiscono tra loro, alcuni amplificando gli effetti reciproci, altri inibendoli".
L'analisi ha identificato 22.411 gruppi di SNP associati al rischio di sviluppare ME/CFS, composti da combinazioni di 7.555 SNP su oltre 300.000 esaminati complessivamente. Un risultato particolarmente significativo emerso dallo studio è che più gruppi di SNP una persona presenta, maggiore risulta la probabilità di sviluppare la sindrome. Questi polimorfismi sono stati successivamente mappati su 2.311 geni, ciascuno dei quali contribuisce in misura modesta al rischio individuale. Di questi, i ricercatori hanno individuato 259 "geni core" che mostrano le correlazioni più robuste con la ME/CFS e contengono gli SNP più comuni nella popolazione studiata.
Il confronto con lo studio condotto ad agosto dal team di DecodeME evidenzia la portata dell'avanzamento: mentre la ricerca precedente aveva identificato 43 geni, il nuovo lavoro ne individua sei volte di più. Jacqueline Cliff della Brunel University di Londra commenta positivamente la metodologia: "È qui che fanno davvero progredire la questione". Tutti gli otto regioni genomiche precedentemente identificate sono state confermate nella nuova analisi, rafforzando l'affidabilità dei risultati. Gardner sottolinea l'importanza pratica di questi dati: "Se si è realmente interessati alla possibilità di sviluppare farmaci e si vuole beneficiare il maggior numero possibile di pazienti, le varianti con prevalenza più alta e dimensione dell'effetto maggiore sono ovviamente quelle da investigare per prime".
La ME/CFS è una condizione cronica caratterizzata da molteplici sintomi, il cui elemento distintivo è la cosiddetta malessere post-sforzo: anche quantità minime di attività fisica o mentale provocano un esaurimento prolungato e sproporzionato. La sindrome viene generalmente scatenata da un'infezione, ma rimane inspiegato perché solo alcune persone sviluppino la condizione dopo eventi infettivi che la maggioranza della popolazione supera senza conseguenze. Attualmente non esistono farmaci specifici per trattare la ME/CFS, e ai pazienti vengono offerti principalmente analgesici, antidepressivi e strategie di gestione dell'energia.
Un aspetto cruciale della ricerca riguarda il confronto con il long covid, sindrome emersa dopo la pandemia di COVID-19 e caratterizzata da sintomi sorprendentemente simili, incluso il malessere post-sforzo. I ricercatori hanno confrontato i geni associati alla ME/CFS con quelli precedentemente collegati al long covid, scoprendo una sovrapposizione genetica di circa il 42%. Questo dato suggerisce che le due condizioni, pur mantenendo caratteristiche distintive, condividono meccanismi biologici comuni. Tuttavia, come avverte Cliff, occorre cautela nell'interpretazione: gli individui con long covid sono stati analizzati con metodologie differenti rispetto ai pazienti con ME/CFS, e gli stessi autori dello studio ammettono che la sovrapposizione genetica identificata rappresenta "una stima minima", lasciando intendere che le somiglianze potrebbero essere ancora maggiori.
Danny Altmann dell'Imperial College di Londra esprime ottimismo riguardo alle potenziali ricadute di queste ricerche. "Stiamo assistendo a una maturazione in termini di genomica e fisiopatologia", afferma lo scienziato, che insieme alla collega Rosemary Boyton ha recentemente ottenuto un finanziamento di 1,1 milioni di sterline per investigare i collegamenti tra ME/CFS e long covid. Il loro progetto prevede il reclutamento di pazienti affetti da entrambe le condizioni e l'esecuzione di "analisi ad altissima tecnologia e risoluzione", comprendendo lo studio approfondito del sistema immunitario, la ricerca di virus latenti persistenti nell'organismo e l'analisi del microbioma intestinale, tutti fattori implicati in queste patologie.
Altmann sottolinea come la ME/CFS sia stata fraintesa e trascurata per decenni, una condizione che ha inflitto sofferenze gravi a innumerevoli pazienti senza ricevere l'attenzione medica e scientifica che meritava. Gli studi genetici su larga scala rappresentano ora una svolta potenziale. Come nota lo stesso ricercatore, indagini precedenti hanno tentato di identificare fattori di rischio genetici per la ME/CFS, ma "alcune hanno replicato i reciproci risultati, altre no. Tutto dipende dalla scala e dalla potenza statistica". Studi con campioni troppo ridotti tendono a perdere segnali genetici reali, mentre ricerche come quella attuale, basate su coorti numerose, offrono risultati più robusti e affidabili.
Le prospettive aperte da questa ricerca sono molteplici. Gardner parla di "un numero enorme di nuove strade, sia per lo sviluppo di terapie innovative sia per il riposizionamento di farmaci esistenti". La comprensione dei meccanismi molecolari alla base della ME/CFS e del long covid, e la caratterizzazione delle loro variazioni da persona a persona, permetteranno finalmente di sviluppare trattamenti mirati. La speranza è che questa nuova generazione di studi genomici e fisiopatologici possa tradursi in benefici concreti per i milioni di pazienti che convivono con queste condizioni debilitanti, trasformando decenni di sofferenza ignorata in opportunità terapeutiche basate su solide evidenze scientifiche.