La Via Lattea custodisce da decenni un enigma chimico che ha messo alla prova gli astronomi: le stelle vicine al Sole si dividono nettamente in due gruppi distinti, caratterizzati da proporzioni diverse di ferro e magnesio, pur condividendo livelli simili di metallicità complessiva. Questo fenomeno, denominato "bimodalità chimica", rappresenta una firma peculiare della nostra galassia che fino ad oggi mancava di una spiegazione convincente. Un nuovo studio pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society getta finalmente luce sui meccanismi evolutivi che potrebbero aver generato questa insolita struttura, suggerendo percorsi formativi più diversificati di quanto si pensasse.
I ricercatori dell'Institute of Cosmos Sciences dell'Università di Barcellona (ICCUB) e del Centre national de la recherche scientifique (CNRS) hanno utilizzato le sofisticate simulazioni Auriga per ricostruire digitalmente la formazione di trenta galassie simili alla Via Lattea all'interno di un universo virtuale. Questi modelli computazionali avanzati hanno permesso di osservare l'evoluzione galattica su scale temporali cosmiche, identificando i processi fisici responsabili della separazione chimica osservata. L'analisi ha rivelato che non esiste un'unica "ricetta" per produrre la doppia sequenza stellare, ma molteplici percorsi evolutivi possono condurre al medesimo risultato osservativo.
Uno degli scenari emersi prevede cicli alternati di formazione stellare intensa seguiti da periodi di relativa quiete, mentre un secondo meccanismo coinvolge variazioni nella composizione del gas che affluisce dall'ambiente circostante la galassia. Particolarmente significativo è il ruolo del mezzo circumgalattico (CGM), un'enorme riserva di gas povero di metalli che circonda le galassie: l'ingresso di questo materiale primordiale sembra essere determinante per generare la seconda sequenza chimica, quella caratterizzata da un rapporto magnesio-ferro più elevato.
I risultati dello studio ridimensionano anche l'importanza attribuita alla collisione con Gaia-Sausage-Enceladus (GSE), una galassia satellite che si fuse con la Via Lattea circa dieci miliardi di anni fa. Sebbene questo evento catastrofico abbia indubbiamente influenzato l'evoluzione della nostra galassia, le simulazioni dimostrano che la bimodalità chimica può emergere spontaneamente senza necessitare di una fusione maggiore, ridefinendo così l'importanza di GSE nella storia chimica galattica.
Un aspetto particolarmente illuminante della ricerca riguarda il confronto con Andromeda, la galassia spirale più vicina alla Via Lattea: qui non è stata identificata una struttura chimica bimodale simile alla nostra, confermando che ogni sistema galattico segue traiettorie evolutive uniche. Come sottolinea Matthew Orkney, primo autore dello studio e ricercatore presso l'ICCUB e l'Institut d'Estudis Espacials de Catalunya (IEEC), "la struttura chimica della Via Lattea non rappresenta uno schema universale. Le galassie possono seguire percorsi differenti per raggiungere esiti simili, e questa diversità costituisce la chiave per comprendere l'evoluzione galattica".
La verifica sperimentale di questi modelli teorici arriverà nei prossimi anni grazie alle osservazioni di nuova generazione. Il James Webb Space Telescope sta già fornendo dati senza precedenti sulla composizione chimica delle stelle in galassie esterne, mentre missioni future come PLATO e Chronos affineranno ulteriormente le misurazioni. Chervin Laporte, co-autore dello studio presso ICCUB-IEEC, CNRS-Observatoire de Paris e Kavli IPMU, anticipa che "questa ricerca predice che altre galassie dovrebbero esibire una diversità di sequenze chimiche, ipotesi che sarà presto verificabile nell'era dei telescopi da trenta metri, quando questi studi in galassie esterne diventeranno routine".
Comprendere la struttura chimica della Via Lattea significa ricostruire il suo albero genealogico cosmico, identificando gli episodi di accrescimento di gas, le fasi di intensa attività stellare e le fusioni con galassie minori che hanno plasmato il nostro angolo di universo. Questo tipo di archeologia galattica non solo illumina il passato della nostra casa cosmica, ma fornisce anche strumenti predittivi per interpretare le osservazioni di galassie lontane, contribuendo a costruire un quadro coerente dell'evoluzione delle strutture nell'universo primordiale.