L'obesità potrebbe accelerare significativamente l'accumulo di marcatori patologici dell'Alzheimer nel cervello, secondo una ricerca pionieristica che per la prima volta ha indagato la relazione tra eccesso ponderale e biomarcatori ematici della malattia neurodegenerativa. Lo studio, presentato al congresso annuale della Radiological Society of North America (RSNA), rivela come l'indice di massa corporea elevato influenzi in modo complesso e apparentemente contraddittorio i parametri utilizzati per diagnosticare e monitorare la progressione dell'Alzheimer. I risultati aprono nuove prospettive nella comprensione dei fattori di rischio modificabili per questa patologia che colpisce milioni di persone nel mondo.
Il team di ricerca guidato da Cyrus Raji, medico e dottore di ricerca presso il Neuroimaging Labs Research Center del Mallinckrodt Institute of Radiology della Washington University School of Medicine di St. Louis, ha analizzato cinque anni di dati provenienti da 407 volontari arruolati nell'Alzheimer's Disease Neuroimaging Initiative. L'approccio metodologico ha combinato scansioni cerebrali tramite tomografia a emissione di positroni (PET) per l'amiloide e analisi seriali di campioni plasmatici, permettendo di correlare l'accumulo cerebrale di placche beta-amiloidi con i livelli ematici di diversi biomarcatori.
I ricercatori hanno misurato nel plasma tre indicatori chiave della patologia alzheimer: i livelli di pTau217, una proteina tau fosforilata utilizzata nella diagnosi e nel monitoraggio della malattia; la catena leggera dei neurofilamenti (NfL), un frammento proteico rilasciato dai neuroni danneggiati o morenti; e la proteina acida fibrillare gliale (GFAP), espressa principalmente dagli astrociti, le cellule che supportano e proteggono i neuroni nel sistema nervoso centrale. Le analisi sono state condotte utilizzando sei test commerciali di riferimento nel campo diagnostico.
I risultati iniziali dello studio hanno rivelato un paradosso apparente: all'inizio dell'indagine, i partecipanti con obesità mostravano livelli più bassi di biomarcatori ematici e un carico amiloide cerebrale complessivamente ridotto rispetto ai soggetti normopeso. Come spiega Soheil Mohammadi, primo autore dello studio e ricercatore postdottorale presso il Mallinckrodt Institute, "la riduzione dei biomarcatori negli individui obesi era dovuta alla diluizione causata dal maggiore volume ematico". Questo fenomeno potrebbe indurre in errore clinici che si basassero esclusivamente su misurazioni trasversali, facendo apparire i pazienti obesi come meno esposti alla patologia alzheimer.
La natura longitudinale dello studio, che ha raccolto ripetutamente dati dagli stessi individui nel corso degli anni, ha tuttavia svelato una dinamica completamente diversa. Con il passare del tempo, sia i biomarcatori ematici sia le scansioni PET hanno evidenziato un accumulo significativamente più rapido di pathologia correlata all'Alzheimer nei partecipanti con obesità. In particolare, questi soggetti hanno mostrato un incremento dal 29% al 95% più veloce nei livelli del rapporto plasmatico pTau217, un aumento del 24% più rapido della catena leggera dei neurofilamenti e una progressione dell'accumulo amiloide superiore del 3,7% rispetto ai controlli normopeso.
Un aspetto particolarmente rilevante emerso dalla ricerca riguarda la maggiore sensibilità dei test ematici rispetto alle scansioni PET nel rilevare l'influenza dell'obesità sui cambiamenti cerebrali legati all'Alzheimer. Secondo Raji, "il fatto che possiamo tracciare l'influenza predittiva dell'obesità sull'aumento dei biomarcatori ematici in modo più sensibile rispetto alla PET è ciò che mi ha sorpreso in questo studio". Questa scoperta suggerisce che i biomarcatori plasmatici potrebbero rappresentare strumenti più efficaci e accessibili per il monitoraggio della progressione della malattia in popolazioni a rischio.
Le implicazioni cliniche di questi risultati si inseriscono nel contesto più ampio dei fattori di rischio modificabili per l'Alzheimer. Mohammadi sottolinea come il rapporto 2024 della Lancet Commission abbia identificato 14 fattori di rischio modificabili che contribuiscono a circa il 45% del rischio complessivo di sviluppare la malattia. L'obesità, essendo tra questi fattori potenzialmente controllabili attraverso interventi sullo stile di vita o terapie farmacologiche, rappresenta un obiettivo strategico per la prevenzione o il ritardo dell'insorgenza della patologia neurodegenerativa.
La ricerca apre prospettive concrete per futuri studi e trial clinici. Raji anticipa che misurazioni ripetute dei biomarcatori ematici, integrate con imaging cerebrale, diventeranno sempre più centrali nel monitoraggio delle strategie terapeutiche, inclusi i farmaci anti-amiloide già approvati o in fase di sviluppo. Particolarmente promettente appare la possibilità di valutare l'effetto dei nuovi farmaci per la perdita di peso sui biomarcatori dell'Alzheimer, creando un ponte tra il trattamento dell'obesità e la prevenzione del declino cognitivo. La disponibilità di biomarcatori ematici per tracciare la patologia molecolare dell'Alzheimer, insieme alle tecniche di risonanza magnetica per monitorare la degenerazione cerebrale, costituisce secondo i ricercatori una base fondamentale per future sperimentazioni terapeutiche.