Il raggiungimento della neutralità carbonica rappresenta l'obiettivo climatico più urgente del nostro tempo, ma una nuova ricerca pubblicata su Environmental Research: Climate ribalta una convinzione diffusa: anche dopo aver azzerato le emissioni nette di gas serra, le ondate di calore estremo non si attenueranno per almeno un millennio. Ancora più preoccupante è la scoperta che ogni cinque anni di ritardo nel raggiungere il net zero condannerà il pianeta a eventi termici progressivamente più intensi, duraturi e frequenti. Lo studio, condotto attraverso simulazioni climatiche su supercomputer da ricercatori dell'ARC Centre of Excellence for 21st Century Weather e del CSIRO australiano, offre per la prima volta una prospettiva temporale senza precedenti sulle conseguenze a lungo termine delle nostre scelte emissive attuali.
Il team guidato dalla professoressa Sarah Perkins-Kirkpatrick dell'Australian National University ha sviluppato modelli climatici che proiettano l'evoluzione delle ondate di calore fino all'anno 3000, considerando diversi scenari in cui il net zero viene raggiunto tra il 2030 e il 2060. La metodologia si basa su simulazioni su larga scala che analizzano il comportamento del sistema climatico terrestre nel lunghissimo periodo, un approccio raramente adottato nella ricerca climatica tradizionale che generalmente si ferma al 2100. I risultati mostrano una tendenza univoca: per ogni quinquennio di ritardo nell'azzeramento delle emissioni, le ondate di calore che oggi consideriamo eccezionali diventeranno la norma.
Le proiezioni sono particolarmente allarmanti per le regioni equatoriali, già vulnerabili dal punto di vista socioeconomico e sanitario. Il dottor Andrew King, ricercatore dell'Università di Melbourne e coautore dello studio, spiega che in questi territori un'ondata di calore capace di infrangere gli attuali record storici si verificherebbe almeno una volta l'anno, o anche più frequentemente, se il net zero venisse posticipato al 2050 o oltre. Questa trasformazione radicale del clima non rappresenta un evento transitorio: le simulazioni dimostrano che nella maggior parte delle regioni terrestri non si registra alcun ritorno verso le condizioni termiche preindustriali per almeno mille anni dopo il raggiungimento della neutralità carbonica.
Un elemento critico emerso dalla ricerca riguarda il ruolo dell'Oceano Meridionale, la vasta massa d'acqua che circonda l'Antartide. I modelli indicano che il riscaldamento di questo oceano continuerebbe a intensificare le ondate di calore terrestri per secoli anche dopo l'azzeramento delle emissioni, fungendo da serbatoio termico che alimenta il sistema climatico globale. In alcuni scenari, quando il net zero viene raggiunto nel 2050 o successivamente, le ondate di calore non solo persistono ma diventano addirittura più severe nel corso dei secoli seguenti, contraddicendo l'aspettativa intuitiva che il clima si stabilizzi gradualmente.
La professoressa Perkins-Kirkpatrick sottolinea come questi risultati sfidino un'assunzione diffusa anche tra i decisori politici: quella che il raggiungimento del net zero garantisca automaticamente un miglioramento delle condizioni climatiche. La realtà fisica emersa dalle simulazioni è ben diversa e richiede una revisione profonda delle strategie di adattamento. La ricercatrice evidenzia tuttavia che questi dati allarmanti offrono uno sguardo vitale sul futuro, permettendo di pianificare e implementare misure di adattamento efficaci e permanenti. La finestra temporale per minimizzare la gravità delle ondate di calore si sta rapidamente chiudendo: secondo lo studio, raggiungere il net zero globale entro il 2040 al più tardi risulta cruciale per limitare i danni.
Le implicazioni pratiche dello studio si estendono ben oltre la climatologia teorica, toccando la pianificazione urbana, i sistemi sanitari e le politiche sociali. Il dottor King avverte che gli investimenti necessari in infrastrutture pubbliche, edilizia residenziale e servizi sanitari per proteggere le popolazioni dal calore estremo varieranno drasticamente in termini di scala, costi e risorse richieste a seconda che il net zero venga raggiunto prima o dopo. La differenza tra uno scenario con stabilizzazione nel 2030 e uno nel 2050 non è semplicemente quantitativa, ma qualitativa: cambia la natura stessa della sfida adattativa che l'umanità dovrà affrontare.
La ricerca, pur basandosi su dati del contesto australiano e dell'emisfero meridionale, ha rilevanza globale e si inserisce nel crescente corpus di evidenze scientifiche che documentano l'inerzia del sistema climatico. A livello europeo, questi risultati rafforzano l'urgenza delle politiche del Green Deal e degli obiettivi di Fit for 55, mentre l'Italia, paese mediterraneo particolarmente esposto agli estremi termici, dovrà considerare queste proiezioni millenarie nella pianificazione delle proprie strategie di adattamento climatico e nella progettazione delle città resilienti del futuro.
La prospettiva temporale millenaria adottata dallo studio rappresenta un cambio di paradigma nella comunicazione scientifica del cambiamento climatico. Non si tratta più soltanto di proteggere le generazioni future immediate, ma di comprendere che le decisioni emissive di questo decennio determineranno le condizioni di vita sul pianeta per i prossimi trenta o quaranta secoli.