Le torbiere dell'emisfero australe custodiscono nei loro strati di vegetazione decomposta una testimonianza cruciale di drammatici mutamenti climatici avvenuti migliaia di anni fa. Un'équipe internazionale coordinata dall'Università di Southampton ha dimostrato che 15.000 anni fa rapidi spostamenti nei venti occidentali meridionali innescarono un'espansione senza precedenti di questi ecosistemi umidi, trasformando simultaneamente la capacità dell'Oceano Meridionale di assorbire anidride carbonica dall'atmosfera. La ricerca, pubblicata sulla prestigiosa rivista Nature Geoscience, getta nuova luce su un enigma che ha a lungo sfidato i paleoclimatologi: l'improvvisa proliferazione di vaste zone paludose dopo l'ultima glaciazione.
Le torbiere rappresentano uno dei più importanti serbatoi naturali di carbonio terrestre. Si formano quando il suolo saturo d'acqua rallenta la decomposizione della vegetazione morta, permettendo l'accumulo progressivo di strati di torba nel corso di millenni. Per ricostruire la storia di questi ambienti, i ricercatori hanno analizzato campioni di torba provenienti da Sud America, Australasia, Africa meridionale e isole sub-antartiche, utilizzando la datazione al radiocarbonio per determinare con precisione i periodi in cui le condizioni climatiche divennero sufficientemente fredde e umide da favorire la crescita vegetale e l'accumulo organico.
L'aspetto più significativo dello studio risiede nella correlazione temporale scoperta dal gruppo di ricerca. Come spiega la dottoressa Zoë Thomas, principale autrice della pubblicazione, l'espansione delle torbiere coincise esattamente con il momento in cui i venti modificarono il rimescolamento delle acque nell'Oceano Meridionale, che agisce come il più grande pozzo di carbonio naturale della Terra. Questo meccanismo fisico risulta fondamentale per comprendere le dinamiche di assorbimento del CO₂: quando i venti occidentali meridionali si spostarono verso nord 15.000 anni fa, alterarono profondamente la circolazione oceanica e contestualmente i livelli di anidride carbonica atmosferica.
La metodologia adottata ha rivelato uno schema ricorrente attraverso tutto l'emisfero australe. Thomas sottolinea che la formazione intensiva di torba avvenne sistematicamente in concomitanza con gli spostamenti latitudinali dei venti, evidenziando un legame causale tra dinamiche atmosferiche e sviluppo ecosistemico. Questa connessione non si limita al passato remoto: rappresenta un modello attivo che continua a influenzare gli equilibri climatici contemporanei.
Le misurazioni attuali documentano infatti una migrazione verso sud dei venti occidentali meridionali, fenomeno direttamente riconducibile al riscaldamento globale. Le implicazioni di questo spostamento preoccupano profondamente la comunità scientifica. Thomas avverte che se questa tendenza proseguirà, la capacità dell'oceano di assorbire carbonio potrebbe ridursi drasticamente, con conseguenze a cascata sull'intero sistema climatico. Già oggi questo spostamento meridionale contribuisce all'intensificazione di siccità continentali e incendi nelle masse terrestri dell'emisfero australe.
La dottoressa Haidee Cadd dell'Università di Wollongong in Australia, coautrice dello studio, evidenzia la portata sistemica del fenomeno. Se il più grande pozzo di carbonio planetario dovesse perdere efficienza, l'accumulo di CO₂ nell'atmosfera subirebbe un'accelerazione significativa, amplificando le dinamiche di riscaldamento globale in un pericoloso ciclo di retroazione positiva. Le torbiere stesse, che per millenni hanno sequestrato carbonio, potrebbero trasformarsi da alleati in fattori aggravanti del cambiamento climatico.
La ricerca illustra come gli archivi naturali contenuti negli ecosistemi torbosi forniscano strumenti indispensabili per comprendere la sensibilità del sistema climatico terrestre. L'analisi paleoclimatica non costituisce un mero esercizio accademico: permette di calibrare i modelli predittivi e identificare le soglie critiche oltre le quali i meccanismi di regolazione naturale potrebbero collassare. Gli studi futuri dovranno concentrarsi sul monitoraggio continuativo degli spostamenti dei venti meridionali e sulla quantificazione precisa degli effetti sulla circolazione oceanica, per definire scenari sempre più accurati dell'evoluzione climatica nei prossimi decenni.