La comprensione di cosa renda davvero sano il microbioma intestinale ha compiuto un passo avanti decisivo grazie a uno studio su scala senza precedenti che ha analizzato i dati di oltre 34.000 persone. Per anni i ricercatori hanno saputo che i trilioni di batteri microscopici che popolano il nostro intestino influenzano profondamente immunità, invecchiamento, salute metabolica e persino benessere mentale, ma identificare con precisione quali comunità microbiche segnalino uno stato di salute ottimale è rimasto un enigma scientifico. La difficoltà principale risiede nell'enorme variabilità individuale: ogni microbioma è un ecosistema unico, modellato da dieta, ambiente, età e storia clinica personale.
Il gruppo di ricerca coordinato da Nicola Segata dell'Università di Trento ha affrontato questa complessità analizzando i dati del programma PREDICT, condotto nel Regno Unito e negli Stati Uniti dalla società di testing del microbioma Zoe, validando poi i risultati attraverso il confronto con 25 coorti indipendenti provenienti da paesi occidentali. L'approccio metodologico si è concentrato su 661 specie batteriche presenti in almeno il 20% dei partecipanti, permettendo di identificare pattern statisticamente significativi tra composizione microbica e marcatori di salute come indice di massa corporea, livelli di glucosio ematico, colesterolo e indicatori infiammatori.
I risultati hanno permesso di stilare due classifiche di 50 specie ciascuna: quelle associate a buona salute e quelle correlate a condizioni patologiche. Tra le specie benefiche, 22 risultano nuove per la scienza, evidenziando quanto resti ancora da scoprire nell'universo microbico intestinale. Queste specie "amiche" sembrano influenzare quattro aree critiche per la salute: il metabolismo del colesterolo, la regolazione dell'infiammazione e la risposta immunitaria, la distribuzione del grasso corporeo e il controllo glicemico. I partecipanti privi di condizioni mediche note ospitavano in media 3,6 specie benefiche in più rispetto a chi presentava patologie, mentre chi manteneva un peso nella norma ne aveva circa 5,2 in più rispetto alle persone con obesità.
L'analisi tassonomica ha rivelato un dato apparentemente controintuitivo: sia tra i batteri "buoni" che tra quelli "cattivi" predominano specie appartenenti alla classe Clostridia. In particolare, la famiglia Lachnospiraceae compare 40 volte nelle due classifiche, con 13 specie dall'effetto favorevole e 27 dall'impatto negativo. Questo sottolinea come non sia la presenza o assenza di un intero gruppo tassonomico a determinare gli effetti sulla salute, ma piuttosto le caratteristiche specifiche di singole specie o ceppi all'interno dello stesso gruppo batterico.
Il legame con l'alimentazione è stato valutato attraverso questionari dietetici e dati registrati sull'app Zoe, che raccomanda almeno 30 varietà vegetali diverse a settimana e tre porzioni giornaliere di alimenti fermentati, con particolare attenzione alle fibre e limitazione dei cibi ultra-processati. L'analisi ha mostrato che la maggioranza dei microbi si allinea con una dieta sana e migliori parametri di salute, oppure con un'alimentazione scadente e indicatori peggiori. Tuttavia, 65 delle 661 specie studiate non seguono questo schema, suggerendo l'esistenza di interazioni più complesse ancora da decifrare.
Come spiega Segata, che collabora anche come consulente per Zoe, "questi 65 batteri testimoniano che il quadro è ancora più complesso di quanto osservato. Gli effetti possono dipendere dagli altri microbi presenti, dal ceppo specifico del batterio o dalla dieta particolare". Questa comprensione ha portato alla creazione di una scala di valutazione da 0 a 1000 per la salute complessiva del microbiota intestinale, già implementata nei test commerciali dell'azienda.
Tim Spector del King's College di Londra, co-fondatore di Zoe e membro del team di ricerca, propone un'analogia efficace: "Pensate a un microbioma intestinale sano come a una comunità di fabbriche chimiche. Vogliamo un grande numero di specie, vogliamo che quelle buone superino numericamente quelle cattive, e quando si ottiene questo equilibrio, si producono sostanze chimiche davvero salutari che hanno impatti in tutto l'organismo".
Ines Moura dell'Università di Leeds sottolinea l'importanza metodologica dello studio: "La ricerca evidenzia gruppi batterici che potrebbero essere ulteriormente investigati riguardo al loro potenziale impatto positivo o negativo su condizioni di salute come elevati livelli di glucosio nel sangue o obesità". Tuttavia, avverte che definire un microbioma sano rimane un compito complesso, poiché la composizione è influenzata non solo dalla dieta ma anche da fattori ambientali, età e terapie farmacologiche a lungo termine.
Segata riconosce apertamente le sfide ancora aperte: "Dobbiamo pensare al nostro corpo e al nostro microbioma come a due sistemi complessi che insieme formano un sistema ancora più complesso. Quando si modifica una cosa, tutto viene modificato un po' di conseguenza. Comprendere cosa sia causa e cosa effetto può essere molto intricato in molti casi". La distinzione tra correlazione e causalità resta una questione metodologica centrale, che richiederà studi prospettici più ampi e interventi controllati per essere chiarita definitivamente.
Le prospettive future richiedono coorti di studio ancora più vaste e geograficamente diverse per catturare la variabilità globale del microbioma umano, che differisce significativamente tra popolazioni con tradizioni alimentari e stili di vita distinti. L'obiettivo ambizioso è stabilire una baseline personalizzata che combini parametri di salute e profilo microbico individuale, per poi sviluppare raccomandazioni alimentari specifiche capaci di modulare in modo mirato la composizione batterica intestinale. Questa medicina di precisione del microbioma rappresenta una frontiera promettente, ma richiederà ancora anni di ricerca per trasformare le correlazioni statistiche in interventi terapeutici validati e sicuri.