L’Italia convive da sempre con i terremoti, eppure continua a oscillare tra consapevolezza e rimozione. Sappiamo con precisione sorprendente dove possono verificarsi eventi importanti, conosciamo la storia sismica del Paese e abbiamo a disposizione strumenti di monitoraggio sempre più sofisticati. Ciò che risulta più sfuggente è la capacità di trasformare questa conoscenza in prevenzione concreta, soprattutto in un territorio in cui vulnerabilità e valore esposto cambiano da comune a comune, spesso nel giro di pochi chilometri.
L’apparente tranquillità di alcune aree può creare un’illusione: il fatto che una faglia non produca eventi da secoli non significa che non possa farlo domani. La memoria umana è corta, soprattutto a confronto con le scale temporali della geologia, e questa distanza genera spesso una percezione distorta del rischio. Parallelamente, l’innovazione tecnologica, dal machine learning all’analisi avanzata dei dati, alimenta aspettative che rischiano di non essere realistiche, specie quando si parla di fenomeni naturali che non possiamo controllare né prevedere in modo deterministico.
In questo scenario, comprendere cosa significhi davvero conoscere un territorio sismico diventa fondamentale. Per farlo, abbiamo coinvolto Gianluca Valensise, sismologo dell’INGV e tra i massimi esperti italiani di faglie attive, sorgenti sismogenetiche e storia sismica. La sua prospettiva permette di riportare il discorso su un piano concreto: quello dei dati, delle ricorrenze geologiche, della vulnerabilità reale degli edifici e del ruolo, spesso decisivo, delle scelte politiche e urbanistiche.
Venendo alla domanda specifica, la difficoltà di svolgere una efficace prevenzione è solo in minima parte un problema scientifico, ma è prima di tutto un fatto politico. È solo la politica che decide quante e quali energie e risorse dedicare alla mitigazione del rischio sismico, in un paese che notoriamente è stato edificato in larga misura in assenza di norme antisismiche (per gli edifici più antichi), o eludendo le norme in vigore. Mi scuso per la apparente brutalità di queste affermazioni: sul dualismo scienza-politica si potrebbe parlare per ore, ma non c’è dubbio che non sono i ricercatori a decidere che uso viene fatto delle conoscenze da loro acquisite e pazientemente organizzate.
Si cita spesso il caso di Norcia, che si dice si sia miracolosamente salvata dai terremoti del 24 agosto e 30 ottobre 2016. Ma l’avverbio miracolosamente qui è improprio e ingiusto. Dopo un forte terremoto nel 1703 e altri terremoti nell’Ottocento, i nursini hanno sviluppato una cultura del ben costruire basata in parte su norme governative e in parte su una tradizione vernacolare; quella che viene chiamata “l'architettura senza architetti”. Purtroppo, per varie ragioni storiche e culturali tutto questo non è successo anche nella vicina Amatrice: e i risultati di questo “diverso destino” sono ancora sotto i nostri occhi.