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Terremoti in Italia: sappiamo tutto, ma facciamo ancora troppo poco

Abbiamo intervistato Gianluca Valensise, sismologo dell’INGV, per capire com'è la situazione oggi nel nostro paese.

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Avatar di Andrea Ferrario

a cura di Andrea Ferrario

Editor in Chief @Tom's Hardware Italia

Pubblicato il 18/12/2025 alle 12:18
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L’Italia convive da sempre con i terremoti, eppure continua a oscillare tra consapevolezza e rimozione. Sappiamo con precisione sorprendente dove possono verificarsi eventi importanti, conosciamo la storia sismica del Paese e abbiamo a disposizione strumenti di monitoraggio sempre più sofisticati. Ciò che risulta più sfuggente è la capacità di trasformare questa conoscenza in prevenzione concreta, soprattutto in un territorio in cui vulnerabilità e valore esposto cambiano da comune a comune, spesso nel giro di pochi chilometri.

L’apparente tranquillità di alcune aree può creare un’illusione: il fatto che una faglia non produca eventi da secoli non significa che non possa farlo domani. La memoria umana è corta, soprattutto a confronto con le scale temporali della geologia, e questa distanza genera spesso una percezione distorta del rischio. Parallelamente, l’innovazione tecnologica, dal machine learning all’analisi avanzata dei dati, alimenta aspettative che rischiano di non essere realistiche, specie quando si parla di fenomeni naturali che non possiamo controllare né prevedere in modo deterministico.

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In questo scenario, comprendere cosa significhi davvero conoscere un territorio sismico diventa fondamentale. Per farlo, abbiamo coinvolto Gianluca Valensise, sismologo dell’INGV e tra i massimi esperti italiani di faglie attive, sorgenti sismogenetiche e storia sismica. La sua prospettiva permette di riportare il discorso su un piano concreto: quello dei dati, delle ricorrenze geologiche, della vulnerabilità reale degli edifici e del ruolo, spesso decisivo, delle scelte politiche e urbanistiche.

Andrea Ferrario
In Italia conosciamo abbastanza bene dove possono verificarsi terremoti importanti. Quanto possiamo già dire oggi, con certezza ragionevole, sulle aree a rischio e perché è così difficile tradurre questa conoscenza in prevenzione?
Andrea Ferrario
Gianluca Valensise
In Italia oggi conosciamo decisamente bene le aree in cui possono verificarsi forti terremoti: possiamo stimare con accuratezza le dimensioni attese di questi terremoti, e conosciamo abbastanza bene anche i loro predecessori, che hanno modellato la storia sismica del paese. Si tratta però di aree non necessariamente a rischio, ma sicuramente ad elevata pericolosità sismica. Diventano anche a rischio solo se sul territorio c’è valore esposto, quindi edifici di varia natura ed infrastrutture, e questo rischio è funzione crescente di quanto tale patrimonio è anche vulnerabile.
Venendo alla domanda specifica, la difficoltà di svolgere una efficace prevenzione è solo in minima parte un problema scientifico, ma è prima di tutto un fatto politico. È solo la politica che decide quante e quali energie e risorse dedicare alla mitigazione del rischio sismico, in un paese che notoriamente è stato edificato in larga misura in assenza di norme antisismiche (per gli edifici più antichi), o eludendo le norme in vigore. Mi scuso per la apparente brutalità di queste affermazioni: sul dualismo scienza-politica si potrebbe parlare per ore, ma non c’è dubbio che non sono i ricercatori a decidere che uso viene fatto delle conoscenze da loro acquisite e pazientemente organizzate.
Gianluca Valensise
Andrea Ferrario
Molte faglie attive non hanno prodotto terremoti recenti ma possono farlo in futuro. Perché una lunga tranquillità geologica può essere ingannevole per un territorio?
Andrea Ferrario
Gianluca Valensise
Prima di tutto bisognerebbe capirsi su qual è la lunghezza attesa dei processi geologici. Mille anni sono una grandezza infinitesimale per la geologia, ma molto lunga per la storia umana. Ciò premesso, e sapendo anche che noi conosciamo numerose faglie in grado di generare forti terremoti ma che oggi sono quiescenti, l’inganno può nascere proprio dalla errata valutazione che le persone normalmente hanno della ricorrenza dei fenomeni sismici. Espressioni come “a memoria d'uomo, qui un terremoto non c’era mai stato” spiegano in modo semplice dove può annidarsi l'inganno. In Italia abbiamo una storia sismica molto ricca e molto studiata, in alcune zone estesa anche per molti secoli, e nonostante questo non è detto che si riesca ad avere testimonianze dell’ultimo forte terremoto che ha colpito una zona che la geologia ci indica come certamente sismica. In Italia i forti terremoti avvengono con cadenza grossolanamente millenaria, ed è impensabile credere di potersi basare solo sulla memoria umana: anche perché come ampiamente dimostrato, anche la memoria dei forti terremoti tende ad affievolirsi e scomparire già dopo un paio di generazioni.
Gianluca Valensise
Andrea Ferrario
Quali fattori incidono di più sulla vulnerabilità di un’area, oltre alla sua pericolosità naturale?
Andrea Ferrario
Gianluca Valensise
Per quanto abbiamo detto prima, la pericolosità non incide sulla vulnerabilità. La pericolosità sismica è una caratteristica intrinseca e oggettiva di ogni area del globo, e la si studia con approcci basati sia sull’evidenza geologica, sia sulla storia sismica locale, se disponibile. La vulnerabilità è invece esclusivamente un carattere delle attività antropiche, e segnatamente delle modalità di insediamento delle popolazioni. Nella storia la vulnerabilità è cambiata secondo un andamento curiosamente sinusoidale. Nell’antichità si viveva in ripari di fortuna o in caverne, ed era facile sopravvivere agli effetti di un terremoto. Nell’età classica l’uomo si è spostato in edifici fatti con materiali più pesanti, suscettibili di crollare a seguito dei terremoti anche non forti. In seguito ha imparato dai propri errori e ha cercato di costruire meglio, fino ad arrivare ai giorni nostri.
Gianluca Valensise
Andrea Ferrario
L’intelligenza artificiale viene spesso citata come possibile rivoluzione nella sismologia. Quali aspetti dell’analisi sismica può realmente migliorare oggi e quali invece restano fuori dalla sua portata?
Andrea Ferrario
Gianluca Valensise
L’intelligenza artificiale sta dimostrando di essere molto utile nella nell’analisi dei dati raccolti dagli strumenti geofisici: ad esempio, l'IA può essere istruita per leggere un sismogramma, ed è ampiamente dimostrato che ha una capacità di interpretare correttamente le informazioni contenute in quel sismogramma molto superiore a quelle di un operatore umano. Più in generale, il cosiddetto machine learning aiuterà sempre più nell’analisi dei dati di qualunque natura. Ma quei dati devono già esistere, e procacciarseli è una sfida in cui l'intelligenza artificiale può dare solo un contributo. Questo è particolarmente vero per le Scienze della Terra, perché i nostri osservabili sono spesso nascosti nella profondità della crosta terrestre, e quindi difficilmente accessibili; ed è ancora più vero per i forti terremoti, che sono essenziali per apprendere ma che allo stesso tempo rappresentano “un esperimento della natura”, sul cui accadimento non abbiamo alcun controllo.
Gianluca Valensise
Andrea Ferrario
L’INGV raccoglie enormi quantità di dati: reti di sensori, satelliti, modelli, archivi storici. Quali tecnologie stanno dando il contributo più concreto nel rendere più precisa la valutazione del rischio?
Andrea Ferrario
Gianluca Valensise
Devo tornare sul dualismo tra rischio e pericolosità. L’INGV valuta soprattutto la pericolosità naturale associata a terremoti, maremoti, eruzioni: si interessa solo marginalmente al rischio associato a questi fenomeni, che come si è detto dipende da quello che quei fenomeni trovano sul territorio. Una pericolosità molto elevata in un’area desertica può corrispondere a un rischio zero semplicemente perché non c’è nulla di esposto a quel pericolo. Ciò detto, negli ultimi decenni si è assistito ad una crescita enorme della nostra capacità di osservare i fenomeni fisici, grazie a reti di osservazione più dense ma anche a strumenti di recente concezione, come ad esempio la interferometria SAR: una tecnica basata su sensori montati su satelliti e in grado di misurare con precisione la forma della Terra grazie a passaggi ripetuti al di sopra di uno stesso punto del territorio.
Gianluca Valensise
Andrea Ferrario
Guardando al futuro, combinando big data, modellazione avanzata e IA: fino a che punto possiamo sperare in strumenti che aiutino davvero amministrazioni e territori a reagire prima e meglio?
Andrea Ferrario
Gianluca Valensise
Anche qui, e a costo di apparire un ricercatore “all’antica”, devo insistere sul fatto che è illusorio ritenere che la IA possa aiutarci nella gestione degli eventuali fenomeni avversi del futuro. Sicuramente ci aiuta a studiarli e a capirli, ma poi il ricercatore dovrà passare la mano a chi deve fare scelte concrete a protezione del territorio e della popolazione. Gestire significa fare scelte che possono andare dall’implementazione di meccanismi di Early Warning, ad esempio per fermare i treni ad alta velocità in pochi secondi non appena si inizia a registrare un terremoto, al lancio di campagne di incentivazione per la riduzione della vulnerabilità, come il SismaBonus, alla scelta su dove collocare o non collocare insediamenti e infrastrutture del futuro. In una società moderna e ben organizzata, gestire è esattamente quello che i ricercatori non fanno né devono fare, ma è invece il pane quotidiano di politici e amministratori.
Gianluca Valensise
Andrea Ferrario
Guardando all’esperienza italiana, quali categorie di edifici risultano ancora oggi le più fragili e perché?
Andrea Ferrario
Gianluca Valensise
In questo campo, l’esperienza italiana è sicuramente unica e irripetibile. In poche altre aree del globo si concentra un patrimonio edilizio monumentale storico così vasto e così pervasivamente esposto ai fenomeni naturali avversi, tra cui non ci sono solo terremoti, maremoti ed eruzioni, ma anche alluvioni e frane. Se parliamo di edifici fragili, dobbiamo partire da quelli storici e monumentali e arrivare fino ai condomini costruiti con imperizia o dolo che abbiamo visto crollare nei terremoti di San Giuliano di Puglia del 2002, di L’Aquila del 2009 e dell’Appennino centrale del 2016. In mezzo c’è un edilizia di epoca antica, poi medievale e poi sette-ottocentesca che in molti casi ha saputo fare tesoro delle esperienze negative e adeguare i propri canoni costruttivi.
Si cita spesso il caso di Norcia, che si dice si sia miracolosamente salvata dai terremoti del 24 agosto e 30 ottobre 2016. Ma l’avverbio miracolosamente qui è improprio e ingiusto. Dopo un forte terremoto nel 1703 e altri terremoti nell’Ottocento, i nursini hanno sviluppato una cultura del ben costruire basata in parte su norme governative e in parte su una tradizione vernacolare; quella che viene chiamata “l'architettura senza architetti”. Purtroppo, per varie ragioni storiche e culturali tutto questo non è successo anche nella vicina Amatrice: e i risultati di questo “diverso destino” sono ancora sotto i nostri occhi.
Gianluca Valensise
Andrea Ferrario
Spesso il tema del rischio sembra astratto finché non accade un evento grave. Come si può comunicare il rischio senza creare allarmismo, ma stimolando consapevolezza e responsabilità?
Andrea Ferrario
Gianluca Valensise
Il rischio è indubbiamente un tema che può apparire astratto, anche se i media stanno avendo un ruolo sempre più cruciale nel mostrare gli effetti dei fenomeni naturali avversi anche a chi non li ha mai subiti sulla propria pelle. È difficile dire come andrebbe comunicato il rischio: su questo tema in Italia si stanno esercitando in tanti, e le proposte non mancano. Il tema è complesso da affrontare in poche righe: tuttavia, a me sembra che un punto qualificante, forse il principale, sia la sensibilizzazione già in età scolare della parte più giovane della popolazione: gli ingegneri, geometri, medici e vigili del fuoco del futuro.
Gianluca Valensise
Andrea Ferrario
Abbiamo esempi di aree italiane che hanno affrontato bene il rischio sismico grazie a scelte lungimiranti? Ci sono buone pratiche da cui possiamo imparare?
Andrea Ferrario
Gianluca Valensise
Come ho detto in precedenza, esiste il caso del sorprendente comportamento degli edifici della città di Norcia, a seguito dei terremoti del 2016. In molti hanno pubblicato analisi su questo caso, a partire dal sottoscritto. Ma c’è un però: la buona performance di Norcia non è stata dovuta a scelte lungimiranti dei governi degli ultimi decenni, ma a una combinazione delle norme imposte dal governo pontificio che gestì gli effetti del terremoto di Norcia del 1859 (la città allora ricadeva nello Stato della Chiesa), e della saggezza dei manovali locali, che interpretarono al meglio tali norme. Sicuramente una buona pratica da cui si può imparare e si è imparato, quantomeno per ridurre la vulnerabilità dei tanti centri storici italiani senza snaturarli con interventi inutilmente invasivi. Quanto alle norme successive, come quelle che furono redatte a partire 1909, all’indomani del grande terremoto che aveva colpito Reggio e Messina nel 1908, fortunatamente non abbiamo visto un numero sufficiente di forti terremoti per sapere se essi hanno avuto un ruolo nel mitigare il rischio sismico.
Gianluca Valensise
Andrea Ferrario
Guardando ai prossimi decenni: qual è la sfida più importante per ridurre realmente l’impatto dei terremoti in Italia? Parliamo di monitoraggio, pianificazione, cultura del rischio, o altro ancora?
Andrea Ferrario
Gianluca Valensise
Metterei la cultura del rischio al primo posto, perché fa da volano a una serie di comportamenti virtuosi: da parte delle istituzioni e amministrazioni locali, ma soprattutto da parte dei singoli cittadini. Lo dico perché sono convinto – e il caso di Norcia lo dimostra plasticamente – che contro i terremoti – ma anche contro tutti gli altri fenomeni naturali avversi, in primis le alluvioni – vale soprattutto l’autodifesa. Al secondo posto metterei la pianificazione, che include la mitigazione a tappeto della vulnerabilità e quindi del rischio, anche attraverso opportune incentivazioni da parte dello Stato: ma sappiamo che il SismaBonus, poi confluito nel SuperBonus110%, è stato nei fatti sovrastato dal più “maneggevole” EcoBonus. Quanto al monitoraggio, sarei per considerarlo da un lato come un fatto soprattutto scientifico, volto a migliorare la comprensione dei processi geodinamici nel nostro paese, e dall’altro come uno strumento utile a gestire le emergenze una volta che sono iniziate; ma non certo a prevenire gli effetti dei forti terremoti.
Gianluca Valensise

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