Batterie smartphone più longeve: l'elettrodo si autoripara

A Stanford un gruppo di ricercatori ha realizzato un elettrodo per batterie che ripara automaticamente le fratture causate dal processo di carica e scarica. Il merito è di un polimero.

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a cura di Manolo De Agostini

Creato il primo elettrodo in grado di curarsi da solo. A realizzarlo un team di ricercatori della Stanford University insieme allo SLAC National Accelerator Laboratory del Dipartimento dell'Energia statunitense. L'importanza di questo traguardo è trasversale al mondo dell'industria, in quanto riguarda sia le batterie per auto che quelle per i più comuni prodotti elettronici come gli smartphone.

Prototipo della batteria

Gli elettrodi all'interno delle batterie agli ioni di litio sono costantemente soggetti a un processo di carica e scarica (cioè si gonfiano e sgonfiano) che impatta sulle loro proprietà fisiche e prestazionali, creando microfratture che a lungo andare pregiudicano la durata di vita della batteria. Risolvere questo problema, in modo del tutto automatico, spiana la strada a nuovi scenari.

"Il segreto è un polimero elastico che ricopre l'elettrodo. Il polimero si lega all'elettrodo e guarisce spontaneamente le piccole crepe che si sviluppano durante il funzionamento della batteria", si legge nel comunicato diffuso dai ricercatori. Secondo Chao Wang, uno degli autori dello studio, "l'autoguarigione è molto importante per la sopravvivenza e la durata di vita di animali e piante. Vogliamo integrare questa caratteristica nelle batterie agli ioni di litio in modo che possano resistere più a lungo".

Dalle fratture alla guarigione. Dopo cinque ore le crepe più piccole sono state curate dal polimero - clicca per ingrandire

Per sviluppare l'elettrodo autoriparante Chao e il gruppo di ricercatori ha aggiunto piccole nanoparticelle di carbonio al polimero in modo che potesse condurre elettricità. "Abbiamo riscontrato che gli elettrodi in silicio duravano dieci volte di più, in quanto il polimero ha riparato ogni frattura entro poche ore", ha affermato Zhenan Bao, professore di Stanford. Gli elettrodi hanno funzionato sopportando 100 cicli di carica e scarica senza perdere molta dell'energia immagazzinata. "Siamo piuttosto lontani dai circa 500 cicli necessari per un telefono e dai 3000 cicli per un'automobile, ma c'è grande potenziale e tutti i nostri dati dicono che funziona".

Il silicio è uno dei materiali più promettenti per migliorare la capacità di un elettrodo, ma allo stesso tempo questo materiale si gonfia fino a tre volte la dimensione normale e si restringe nuovamente ogni volta che la batteria si scarica, facendo sì che si formino fratture deleterie per le prestazioni della batteria. Per rendere il rivestimento autocurante, gli scienziati hanno deliberatamente indebolito alcuni dei legami chimici nei polimeri. Questo fa sì che il materiale si rompa facilmente, ma le estremità delle parti rotte siano attratte chimicamente l'una con l'altra e si ricolleghino di nuovo, mimando il processo di molecole biologiche come il DNA.

I ricercatori hanno battuto diverse strade per mantenere gli elettrodi di silicio intatti e migliorare le loro prestazioni. Alcuni elettrodi sono in fase di studio per uso commerciale, ma molti si avvalgono di materiali esotici e tecniche di fabbricazione poco adatte alle necessità produttive attuali. Il nuovo elettrodo fatto di microparticelle di silicio sembra essere la prima soluzione che ha la strada spianata verso un'applicazione futura. I ricercatori pensano che quest'approccio possa funzionare per altri materiali con cui realizzare elettrodi, e continueranno a perfezionare la tecnica per migliorare le prestazioni dell'elettrodo di silicio e la sua longevità.