Emendamento Fava anti-pirateria nuovamente bocciato

La Commissione, Politiche dell'Unione Europea della Camera dei deputati non solo ha dichiarato inammissibile l'emendamento anti-pirateria dell'Onorevole Fava ma ne ha spiegato i motivi. La speranza è che il deputato leghista non faccia perdere ulteriore tempo sulla questione.

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a cura di Dario D'Elia

La Commissione, Politiche dell'Unione Europea della Camera dei deputati ha nuovamente bocciato l'emendamento anti-pirateria e anti-contraffazione dell'Onorevole Gianni Fava. È da agosto scorso che il deputato leghista sta cercando di trasformare i provider in sceriffi del Web con una piccola correzione alla legge comunitaria 2012. Malgrado i voti contrari di commissioni e Parlamento, Fava si ostina a non voler comprendere che la richiesta (a un provider) di rimozione di un contenuto illegale, senza accertamenti di alcun genere, è contro ogni direttiva europea e anche la Costituzione Italiana.

Il Presidente della Commissione Mario Pescante ha ricordato inoltre che non si può emendare la Legge Comunitaria con interventi normativi ispirati da altre finalità, come spiega oggi l'avvocato IT Guido Sforza sul suo blog. Ecco quindi una bocciatura per evitare "che l'esame del disegno di legge comunitaria sia ritardato dalla discussione di emendamenti su materie complesse e controverse, non strettamente volti ad adempiere obblighi scaduti o in scadenza, pregiudicando il tempestivo recepimento delle direttive contenute in allegato al disegno di legge".

L'Onorevole Fava persevera

Di fatto questa è la terza volta che Fava ci prova in questo modo - la prima avvenne con il Disegno di Legge n. 4511 intitolato "Modifica degli articoli 16 e 17 del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, in materia di responsabilità e di obblighi dei prestatori di servizi della società dell'informazione". E quindi non è un caso che la Commissione abbia sentito l'esigenza di chiarire definitivamente al deputato in cosa stia sbagliando.

L'emendamento, come riporta Pescante, "intende modificare la disciplina vigente (articoli 16 e 17 del decreto legislativo 70/2003), introducendo ulteriori previsioni, che pur inquadrandosi nelle facoltà previste dalla direttiva, come interpretata dalla Corte di Giustizia UE, non sono necessarie a dare corretta attuazione alla direttiva, in ordine alla quale, peraltro, non sono state notificate procedure di infrazione a carico dell'Italia, né sono state pronunciate sentenze di condanna".

Senza contare che "la normativa interna già recepisce pienamente il dettato della normativa dell'UE e le sentenze (UE) citate prevedono la mera facoltà per gli Stati membri – non l'obbligo – di introdurre previsioni più restrittive rispetto a quelle europee in materia di obblighi specifici a carico dei prestatori di servizi (ISP)".

Insomma, Fava non ne ha beccata una. Neanche per sbaglio.