Irpileaks e Milena Gabanelli per il giornalismo d'inchiesta

Gli italiani di Irpileaks sfidano Wikileaks con il giornalismo di inchiesta.

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a cura di Dario D'Elia

Il giornalismo d'inchiesta è morto? Neanche per idea. Anzi, sta vivendo una nuova vita, come dimostrano i due premi Pulitzer assegnati a Pro Publica, sito di controinformazione ormai prestigioso. C’è stato poi il fenomeno Wikileaks, che ha svelato al grande pubblico cosa si nasconda dietro alle cosiddette fughe di notizie.

Adesso c’è il progetto italiano Irpileaks che procede in questo solco: da una parte uso delle nuove tecnologie di condivisione per raccogliere materiale scottante, dall'altra il lavoro che solo i segugi dell'informazione sanno portare a termine. "Le notizie approfondite e riportate in modo accurato hanno grande pubblico", ha dichiarato recentemente il direttore di Pro Publica, Stephen Engelberg. "Continuo a essere ottimista sull'interesse del pubblico per il giornalismo di inchiesta, e sulla possibilità di pubblicare storie che facciano la differenza. Penso che la gente sia molto più impegnata di quanti molti cinici pensavano". 

Irpileaks

Irpileaks, acronimo di Investigative Reporting Project Italy Leaks, nasce per raccogliere informazioni sensibili da parte di fonti che preferiscono restare anonime. Ma questa rappresenta solo la prima fase, perché tutta la documentazione ricevuta viene usata come traccia per dare il via a eventuali inchieste di stampo nazionale o internazionale. Non si tratta di pubblicare online i contratti segreti di un'azienda o la lettera di un politico corrotto; l'obiettivo è fare informazione, svelando i meccanismi e le dinamiche che si nascondono dietro a un accadimento.

"Se sei a conoscenza di possibili forme illecite su appalti, episodi di corruzione, disastri perpetuati a livello ambientale, abusi e soprusi, truffe o frodi  e vuoi denunciarli all'opinione pubblica ma hai dei timori per la tua incolumità o per possibili ripercussioni, con Irpileaks la trasmissione delle informazioni raggiunge un livello di sicurezza tra i più alti oggi esistenti", si legge sul sito ufficiale.

E infatti Cecilia Anesi, presidente dell'associazione Irpi, nell'intervista con Tom's Hardware ha spiegato che grazie al Centro Studi Hermes per la Trasparenza e Diritti Umani Digitali, è stato possibile sfruttare la piattaforma GlobaLeaks basata su Tor. In pratica ci si affida al cosiddetto deep web non indicizzato da Google e altri motori di ricerca per attivare un canale preferenziale di scambio documenti. GlobaLeaks semplifica le operazioni.

"Irpi è nata circa un anno fa, a luglio. Siamo partiti con 8 soci fondatori, ma complessivamente adesso siamo in 12. Poi abbiamo un comitato scientifico formato da alcuni fra i migliori giornalisti al mondo e un ex magistrato, Mauro Vaudano. Fra gli italiani Milena Gabanelli e Serena Tinari. Ci affidiamo a loro sopratutto per avere consigli nelle indagini", spiega Anesi.

In verità il progetto coinvolge anche guru del giornalismo internazionale come ad esempio David Leigh (Guardian), Mark Lee Hunter (INSEAD) e Charles Lewis (Center for Public Integrity). Senza contare il direttore esecutivo Leo Sisti, che fa parte del network giornalistico International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ) - responsabile della diffusione degli Offshore leaks. Sisti per capire si è occupato degli evasori italiani comparsi nella lista internazionale.

"Abbiamo rapporti con l'ICIJ di Washignton e facciamo parte del Global Investigative Journalism Network che raccoglie i centri di giornalismo di inchiesta di tutto il mondo. Durante la prossima  Conference di Rio saremo gli unici italiani a partecipare", sottolinea la giornalista.

Il team è formato fondamentalmente da giornalisti freelance trentenni, ovviamente sempre alle prese con la precarietà di questo mestiere. Due anni fa si sono incontrati quasi per caso alla Conferenza Mondiale del Giornalismo di Inchiesta di GIJ Network organizzata a Kiev. Erano gli unici italiani. Hanno pensato: perché no?

Centro Hermes

"Al momento stiamo lavorando tutti su una base volontaria, ma collaborando anche con specialisti della raccolta fondi. In Europa poi la situazione del settore è sempre più difficile. È un disastro sia per pubblicare, che trovare spazio e contributi. Stiamo cercando di diventare indipendenti anche da quel punto di vista", prosegue Anesi. Ecco il motivo per cui sono presenti anche su la piattaforma di crowdfunding Indiegogo.

Due grandi inchieste sono già state pubblicate dai grandi quotidiani, come ad esempio The Guardian e Il Fatto Quotidiano. Quella sul triplo concentrato di pomodoro cinese che veniva venduto come italiano all'estero e quella della frode alimentare sull'olio d'oliva.

In ogni caso c'è un problema di spazi di pubblicazione. "Al di là del problema economico, le newsroom hanno difficoltà nel fact checking (controllo dei fatti, NdR.). Ma non riguarda solo i media italiani, anche gli stranieri non hanno più le risorse e team di avvocati per un controllo accurato", sottolinea la presidente di Irpileaks.

E qui si torna alle regole per fare buona informazione. "Fare un'inchiesta non vuol dire pubblicare tutti i documenti sensibili dando informazioni di ogni genere in pasto a chiunque. Sia perché potrebbero non essere comprese, sia perché è giusto che ci sia il fact cecking e il controllo di ciò che è giusto tutelare della persona o le aziende coinvolte. Senza contare ciò che è giusto che il pubblico sappia", conclude Anesi.

"Perché in qualche modo credo che ci voglia un filtro giornalistico, un'analisi per far capire ciò che è importante e ciò che no".

The Newsroom

Prossime inchieste in caldo? Almeno due già completate: una sulle energie alternative, il solare, e l'altra su una grande multinazionale italiana. Sono nei cassetti dei grandi quotidiani a frollare. Con il rischio che qualche grande quotidiano di oltre confine possa avere il tempo di bruciare sul tempo il mondo dell'informazione italiana.

"Un giornalista che ha un'opinione non è un fenomeno nuovo", dice Charlie Skinner, il presidente della divisione News del canale televisivo ACN nella nuova serie televisiva The Newsroom."Murrow ne ebbe una e fu la fine di McCarthy. Cronkite ne ebbe una e fu la fine del Vietnam.

"Io non sono come quegli uomini", risponde l'anchorman del notiziario News Night, Will McAvoy.

"Scommetto tutti i miei soldi che sbagli. Sai una cosa? Ai vecchi tempi in circa 10 minuti facevamo un'ottima informazione. Sai come? Semplicemente decidevamo di farla".